La strage di Gubbio

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Tra urla e spintoni, legati fra loro perché non possano fuggire, 40 civili vengono giustiziati con scariche di mitra e finiti a colpi di pistola...

22 giugno 1944.
É l’alba a Gubbio, in una città ormai deserta perché terrorizzata dal coprifuoco e dai rastrellamenti dei giorni precedenti da parte delle truppe naziste.
Qualcosa di tremendo sta per accadere.
Dopo la liberazione di Roma del 4 giugno, l’esercito tedesco batte ritirata verso nord, in direzione della linea Gotica.
Proprio in quei giorni i soldati nazisti si trovano ad attraversare il comune di Gubbio. I Partigiani che operano nella zona vogliono liberare la città prima dell’arrivo degli alleati, proprio come hanno fatto il 13 giugno a Terni, il 16 a Foligno e il 20 a Perugia. Ed è così che proprio nel pomeriggio del 20 giugno, presi dall’entusiasmo generale e convinti che avrebbero potuto liberare anche Gubbio, i Partigiani, con i loro capi a cavallo, scendono verso la città dal monte Ingino.
Alcuni di loro hanno ricevuto l’ordine di recarsi a Mocaiana, per sorprendere alcuni soldati tedeschi che stanno saccheggiando e terrorizzando la popolazione. Prima di eseguire gli ordini una pattuglia Gap inizia a pedinare due ufficiali tedeschi che sono in un bar del centro, il caffè Nafissi o “de la Caterina”.
Ne nasce uno scontro a fuoco.
Uno dei due, Kurt Staudacher, Tenente medico, viene ucciso, mentre l’altro, Hermann Pfeil, viene ferito in modo grave.
I Partigiani, terminata l’azione, si ritirano verso la montagna, mentre l’ufficiale ferito riesce a farsi strada con la pistola in pugno e a raggiungere il comando tedesco.
La reazione è immediata: un gruppo di soldati tedeschi, ancora presenti nella zona, sistemano dei cannoni e alcuni mitragliatrici, e dalla piazza Mercato, iniziano a sparare verso la montagna e verso alcuni palazzi cittadini.
Iniziano anche un rastrellamento, prendendo in ostaggio tutti quelli che incontrano o che trovano nelle abitazioni. Verso sera sembra che la furia nazista sia finita, grazie anche all’intervento di Monsignor Beniamino Ubaldi, che cerca di far ricadere la responsabilità dell’azione su alcuni soldati slavi.
Il suo intervento sembra aver placato la rabbia dei tedeschi, che accettano le sue giustificazioni e promettono di non proseguire oltre a patto che nessun attacco venga più perpetrato ai loro danni.
Ma la promessa non viene rispettata: poche ore dopo, nella notte, riprendono il rastrellamenti.
Vengono arrestati uomini, donne, giovani, anziani. Alcuni vengono interrogati e poi rilasciati, altri restano in prigione. Nella mattina del 21 giugno ancora una volta Monsignor Ubaldi tenta di intervenire. Offre anche se stesso per salvare gli ostaggi e la città, ma i nazisti rifiutano.
E così arriva all’alba del 22 giugno….
38 uomini e 2 donne, madre e figlia, vengono portati dall’edificio delle scuole elementari in via Perugina, dove sono rimasti per due giorni, fino a un luogo poco distante, nei pressi di una fossa scavata da altri ostaggi. Lì accanto li aspetta un muro che ancora conserva i segni delle pallottole.
Tra urla e spintoni, legati fra loro perché non possano fuggire, 40 civili vengono giustiziati con scariche di mitra e finiti a colpi di pistola.
Nessuno di loro è un soldato, nessuno di loro è un partigiano, sono semplicemente operai, artigiani, contadini…alcuni hanno famiglie numerose. Gente comune scelta a caso per poter placare la sete di sangue e di vendetta dei nazisti.
L’eccidio viene eseguito su ordine del generale Johann Carl Bolsen, comandante della 114ª Jäger Division.
Questo episodio fa parte di una serie di altre azioni violente compiute dall’esercito nazifascista.
Dopo la strage del 22 giugno il clima a Gubbio cambia completamente.
Paura e sfiducia si impadroniscono della popolazione. Ci si interroga sull’inopportunità di alcune iniziative da parte dei Partigiani. Vengono chiamati in causa gli esecutori materiali della sparatoria al caffè Nafissi, il comando della GAP di riferimento, il comando dei Partigiani che hanno avuto l’ordine di liberare Gubbio e i vertici dell’antifascismo locale.
In seguito ad alcune indagini emerge la figura di un delatore, che si ritiene abbia rivelato al comando tedesco che l’uccisione dell’ufficiale medico é stata opera di alcuni elementi appartenenti alla Resistenza.
Se ne discute a lungo, ma ben presto la vicenda entra a far parte della storia e non se ne parla più.
Resta ora un mausoleo eretto nel luogo della fucilazione, a perenne ricordo di quel 22 giugno 1944 , giorno in cui morirono 40 civili innocenti per mano delle truppe tedesche.

BIBLIOGRAFIA

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