La Resistenza delle donne

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A fianco dei Partigiani, oltre a compiti  di prima necessità, come cucire le uniformi, cucinare e soccorrere i feriti, partecipavano alle riunioni dando un contributo politico importante, esprimendo la propria opinione e diventando poco a poco attive in tutto ciò che riguardava l’impegno sul campo.....

La storia della Resistenza italiana è piena di personaggi di grande importanza, di donne e uomini che hanno sacrificato la loro vita e la loro esistenza per liberare l’Italia dall’oppressione fascista e nazista.
Mi piace parlare di donne proprio perché nella Resistenza ebbero un ruolo importante, fondamentale, ma spesso sottovalutato e bistrattato.
Per loro non fu facile, vittime del pregiudizio che vedeva in loro, in quanto donne, esseri fragili ed inferiori rispetto agli uomini che potevano imbracciare il fucile e combattere il nemico sul campo.
Non sono sicuramente state risparmiate, sottoposte a umiliazioni,  torture e stupri per piegare la loro volontà, vittime nel dopoguerra delle malelingue che le chiamavano le p****** dei Partigiani.
Ma se penso a quante donne hanno contribuito con la loro coraggiosa opera ad arrivare al giorno della Liberazione, non posso far altro che sentirmi orgogliosa di essere, in alcuni casi, portavoce di queste figure femminili di grande importanza.


Lo faccio volentieri, non per ricevere i consensi o per cavalcare l’onda del momento, come fanno alcuni uomini che nel segreto delle loro case  trattano ancora le donne, che hanno la forza e il coraggio di opporsi al loro debole carattere di prepotenti mascherati in giacca e cravatta, come inferiori.
Lo faccio perché da donna, da mamma, da professionista, da ambientalista, convinta antifascista, per chi ancora non lo avesse capito, credo che si debba dar voce ogni giorno a queste piccole grandi storie che hanno contribuito a fare dell’Italia un paese libero.
Come ho già avuto modo di raccontare più volte, le donne impegnate nella Resistenza, le nostre Partigiane, lottavano quotidianamente a fianco degli uomini ricoprendo i più disparati ruoli.
Facevano parte di organizzazioni come i GAP e come le SAP.


Fondarono anche veri e propri “Gruppi di difesa della donna”, a cui potevano aderire tutte coloro che volevano contribuire alla liberazione della patria, emanciparsi e lottare per i propri diritti.
Durante il conflitto le donne presero spesso il posto degli uomini, impegnati nel conflitto,  all’interno delle fabbriche, nelle catene di montaggio, nei campi dove erano costrette a svolgere le attività più faticose, negli impieghi pubblici e a capo delle proprie famiglie.
I compiti che potevano assolvere erano tantissimi.
Il loro ruolo non fu sicuramente da meno nella Resistenza.
Fondarono squadre di primo soccorso per aiutare i feriti e i malati, raccolsero indumenti, cibo e medicinali, si occuparono dell’identificazione dei cadaveri e dell’assistenza ai familiari di chi aveva perso la vita in combattimento.


A fianco dei Partigiani, oltre a compiti  di prima necessità, come cucire le uniformi, cucinare e soccorrere i feriti, partecipavano alle riunioni dando un contributo politico importante, esprimendo la propria opinione e diventando poco a poco attive in tutto ciò che riguardava l’impegno sul campo.
In Piemonte, nel 1944, nacque il primo distaccamento di donne all’interno della Brigata garibaldina “Eusebio Giabone”.
Ma a mio avviso, uno dei compiti più importanti che ricoprirono, fu quello della comunicazione: spesso risultavano insospettabili e per questo riuscivano a passare i posti di blocco, portando a destinazione importanti messaggi e mantenendo i contatti tra le varie Brigate.
Il loro operato era rischioso quanto quello degli uomini e la loro sorte era in un certo senso peggiore quando cadevano nelle mani di nazisti e fascisti: subivano le torture più atroci, venivano umiliate psicologicamente, fisicamente e sessualmente. Molte di loro alla fine del conflitto rimasero mutilate e portarono per tutta la vita i segni delle violenze subite.
Il ruolo della “staffetta”, cioè di colei che fungeva da collegamento fra diversi gruppi, era proprio ricoperto da giovani donne fra il 16 e 18 anni.
Venivano scelte proprio perché si riteneva destassero meno sospetti. Oltre a garantire i contatti, avevano anche il compito di accompagnare gli eventuali resistenti da una parte all’altra. La staffetta spesso diventava anche infermiera, mantenendo in comunicazione medico e farmacista.
Non essendo armate Il loro compito era spesso molto pericoloso.
Si spostavano coprendo lunghi tragitti in bicicletta, a piedi, su camion, in corriera oppure stipate sui treni insieme al bestiame.
Portavano armi, munizioni, messaggi e  medicinali sotto  la costante minaccia di cadere nelle mani dei nazifascisti.
Tra le Staffette Partigiane mi è capitato già di scrivere, ad esempio, di Stefanina Moro, una giovane di soli 16 anni catturata e torturata a morte dai nazifascisti.
Alcune donne furono impegnate attivamente anche in combattimento, imbracciando le armi a fianco dei compagni uomini
Fra loro mi piace ricordare Tina Merlin, di cui ho scritto tempo fa, che nel dopoguerra è stata la portavoce  di tutte le vittime della tragedia del Vajont, ed Elsa Oliva, di cui ho raccontato la storia, mia conterranea e donna di grande coraggio.
Per molti anni, l’impegno delle donne nella Resistenza, una volta finito il conflitto, non è stato riconosciuto in maniera adeguata, passando alcune volte in secondo piano rispetto alle mansioni svolte dagli uomini.
Sono state relegate a un ruolo di secondaria importanza, lasciando  ai colleghi Partigiani onori e onorificenze, in un momento in cui l’Italia festeggiava la propria Liberazione.
Mi piacerebbe, per far meglio comprendere l’importanza delle donne in quel periodo storico, lasciare qualche dato, ovviamente stimato, sull’impegno femminile nella Resistenza:
35.000 furono le Partigiane combattenti, 20.000 quelle con funzioni di supporto e collegamento, 4.500 le arrestate, torturate e condannate dai fascisti, 70.000 quelle organizzate nei gruppi di difesa della donna, 2.700 le deportate nei lager, 650 quelle cadute in combattimento oppure fucilate.
A dispetto di ciò che i fascisti volevano, cioè escludere completamente le donne da ogni attività extra familiare, il loro ruolo durante il conflitto e dopo l’armistizio fu molto importante.
Solo nella seconda metà degli anni Sessanta alcuni libri, scritti proprio per mano femminile, riuscirono a colmare il vuoto degli studi sulla reale partecipazione delle donne nella Guerra di Liberazione del nostro paese.
ANPI dedica loro ampio spazio e rilievo proprio perché nessuno di noi possa mai dimenticare che, se oggi è possibile festeggiare il 25 aprile, è grazie anche al sacrificio di moltissime DONNE che si impegnarono con ogni mezzo per liberare il nostro paese.

BIBLIOGRAFIA

– Renata Viganò, L’Agnese va a morire, Einaudi, Torino 1949
– Marina Addis Saba, Partigiane. Le donne della Resistenza, Mursia 1998

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