10 aprile 1919.
Nella città di Amritsar, in India, scoppia una ribellione anticoloniale.
Il popolo oppresso intona slogan nazionalisti.
Si susseguono furti, incendi, saccheggi, chiunque si trovi al momento sbagliato nel luogo sbagliato viene coinvolto dalla furia di chi protesta.
Al grido di “Gandhi ki jai”, vittoria al Mahatma, Gli indiani insorgono contro gli inglesi che da tempo li opprimono.
Ma il governo coloniale non ci sta.
Giusto il tempo di organizzare la repressione e il 13 aprile il generale di brigata Reginald Dyer, appartenente all’esercito indiano britannico, scatena le sue truppe su una folla di persone disarmate radunate in un giardino recintato.
L’occasione per quel ritrovo è la festività Sikh di Baisakhi in cui è tradizione festeggiare l’arrivo della primavera ritrovandosi in comunità.
La folla sfida l’articolo della legge marziale che proibisce le riunioni di 5 o più persone in città. Il luogo del ritrovo è un parco circondato su tutti i lati da mura di mattoni e con una sola stretta apertura per l’accesso e l’uscita.
I soldati marciano fino al parco accompagnati da un mezzo blindato su cui sono montate mitragliatrici, che rimane fuori dal giardino perché non in grado di passare nello stretto ingresso.
Dyer, senza sparare alcun colpo di avvertimento per consentire alla folla di disperdersi, ordina ai suoi uomini di aprire il fuoco.
Dato che non esistevano nel parco altre uscite oltre a quella già ingombrata dai soldati, la gente tentò disperatamente di scappare arrampicandosi sui muri e alcuni si gettarono in un pozzo per sfuggire ai proiettili, molti altri morirono calpestati.
Si spara fino all’esaurimento dell’ultimo colpo e in pochi minuti cadono “ufficialmente “almeno 379 persone. Le truppe si ritirano senza fornire alcuna assistenza medica ai feriti.
Un migliaio circa restano feriti e agonizzanti sul campo, senza possibilità di cercare aiuto a causa del coprifuoco.
Questo episodio verrà definito come “uno dei passi più noti della macelleria imperiale”.
Il massacro di Amritsar resta impunito.
Se da una parte la Camera dei Comuni condannerà il gesto di Dayer, dall’altra la Camera dei Lord definirà il generale come una specie di eroe, un buon soldato.
Qualche giorno dopo l’episodio al generale Dyer viene recapitato un telegramma in cui si rassicura il generale con queste parole: “La vostra azione è corretta è il Vicegovernatore approva.”
Quel giorno centinaia furono le vittime. I testimoni raccontano di corpi ammassati crivellati di colpi, di lamenti, lacrime e dolore. fra loro sembra ci fosse anche un bambino di sole 6 settimane.
Il massacro di Amritsar ha diviso l’opinione pubblica a tal punto che il generale Dyer è costretto a dimettersi.
Viene sottoposto a procedimento disciplinare da una commissione appositamente costituita dal governo britannico in India, composta da 9 giudici dei quali 3 indiani. La commissione condanna all’unanimità le azioni di Dyer, anche se il giudizio sulle azioni del militare vengono espresse con opinioni diametralmente opposte dai giudici indiani e da quelli britannici.
A seguito di questo verdetto Dyer viene dimissionato dall’esercito britannico e torna in Gran Bretagna senza ricoprire altri incarichi ufficiali fino al giorno della sua morte, il 23 luglio 1927.
In un comunicato ufficiale il giorno successivo al massacro Dyer scrive: “…Per me il campo di battaglia di Francia o di Amritsar è lo stesso. Sono un militare e andrò dritto…”
I territori del Raj britannico raggiungono l’indipendenza nel 1947, dopo 3 secoli di colonialismo, grazie alle campagne non violente di Gandhi. Si formano così gli attuali stati di India, Birmania e Pakistan, da cui nel 1971 otterrà l’indipendenza il Bangladesh.
Il processo di separazione dal Regno Unito non è stato facile.
I territori in questione costituivano all’epoca circa il 75% dell’impero coloniale. La maggior parte delle esportazioni di materie prime si concentravano soprattutto qui.
La libertà è un diritto che ciascun popolo dovrebbe poter godere senza restrizioni, ma come la storia ci insegna il colonialismo non è stata sicuramente una bella pagina dell’umanità, da qualsiasi lato la si voglia guardare.
