Questa storia la racconto per almeno due motivi. Uno è che a fronte di continue estinzioni di animali rari e preziosi per il nostro pianeta, questa storia almeno è a lieto fine, e anche per merito dell’uomo (che prima combina disastri e poi, a volte, tenta di rimediare). La seconda è che questo magnifico uccello l’ho potuto vedere dal vivo, proprio nei luoghi da cui era quasi totalmente scomparso, e quindi è una storia che mi piace particolarmente.
Lui comunque è uno che se l’è vista brutta.
Il Condor della California (Gymnogyps californianus)
Era diffusissimo in tutto il West (proprio il vecchio Far West). Un animale fondamentale anche per i nativi americani, presente in moltissime rappresentazioni e leggende di quei popoli, addirittura come simbolo dell’immortalità.
Un animale enorme ed elegante nel volo, che può vivere fino a cinquant’anni, signore dei venti e delle gole rocciose, delle scogliere oceaniche e delle pianure sconfinate.
Poi naturalmente siamo arrivati noi, gli occidentali. Cowboy, ferrovie, pascoli, bestiame. E chissà perché abbiamo deciso che i condor erano brutti e cattivi. Nessuno che si sia posto il problema che forse, mangiando solo animali lasciati morti sulle pianure, fra i tanti loro possibili meriti avevano anche quello di limitare il diffondersi delle malattie.
Avevano ragione i disegnatori di Tex Willer a far vedere che ogni tanto sparava agli avvoltoi imprecando “maledetti uccellacci” (forse aggiungeva anche “del malaugurio”, un po’ di superstizione non ce la facciamo mai mancare). Avevano ragione perché è così che è andata: il Condor della California è stato cacciato in modo irragionevolmente spietato. Per pura cattiveria.
Alla fine dell’800 era già definito un uccello condannato, agli inizi del 900 era dato per spacciato.
Per fortuna, fiero e indomabile, resisteva ancora fra mille fatiche. Ai censimento effettuati negli anni quaranta (in particolare dal naturalista Koford) ne risultavano al massimo sessanta esemplari sparsi in tre o quattro zone fra California, Nevada e Arizona. E il declino purtroppo proseguiva, perfino a dispetto dei tentativi di salvarlo. Furono acquistati territori immensi per garantire la sua sopravvivenza ma la popolazione di questi enormi uccelli continuava a diminuire.
Ad un certo punto si scoprì che c’erano altri motivi a determinarne lo sterminio. Sempre per via dei cacciatori, ma per una strada più tortuosa e perversa. La grande frontiera continuava ad essere ancora un po’ terra di nessuno, e lo sterminato amore degli americani per l’uso delle armi senza controllo aveva portato ad un’altra situazione: molti cacciatori sparavano alle prede, spesso male. Spessissimo non riuscivano neanche a recuperarle, e quelle morivano qualche giorno dopo chissà dove ferite a morte. Oppure venivano impallinate soltanto per il gusto di sparare e uccidere ma lasciate lì, senza portarsele via.
Ma una volta andati via i cacciatori arrivavano gli avvoltoi a ripulire. Ma ripulivano carcasse con le pallottole dentro. E le ingerivano.
Ebbene sì: Avvelenamento da piombo.
Quale stregone, per quanto illuminato, dei popoli nativi avrebbe mai immaginato che il loro simbolo dell’immortalità avrebbe rischiato di scomparire per sempre a causa dell’idiozia dei cacciatori moderni?
La scoperta avvenne soltanto negli anni ottanta. Quando si erano già tentate mille strade e si erano anche consumate feroci battaglie fra fazioni ambientaliste di diverse opinioni sul modo migliore per salvare la specie.
Si arrivò al 1986 quando morì l’ultima femmina ancora esistente in natura. Restavano liberi soltanto pochi maschi, e una ventina di esemplari ambosessi in cattività, di cui in realtà soltanto 14 che non fossero già geneticamente dipendenti uno dall’altro.
Si arrivò così alla decisione estrema, che per fortuna si rivelò quella giusta.
Vennero catturati anche gli ultimi esemplari selvatici.
Nel 1987 nessun condor della California volava più nei cieli americani.
Subito partì un programma di riproduzione serratissimo e anche forzoso (uno dei metodi era togliere le uova e farle schiudere in incubatrice, in questo modo una coppia, perdendo la covata, ne faceva subito una seconda, e si raddoppiavano le nascite). I piccoli vennero cresciuti e allevati senza che vedessero nessun uomo, nutriti attraverso guanti speciali aventi la forma della testa e del becco dei genitori.
Fu un tentativo disperato ma, per una volta, di spettacolare riuscita.
Nel 1991 erano nati già cinquanta esemplari.
Nel 1992 iniziarono i primi rilasci in Natura.
Il condor tornava a casa.
Nel 2002 si registrò la prima nuova nascita in natura. Nel 2008 se ne sono contate almeno 10.
Oggi i condor della California che volano liberi sono più di 200.
Non è finita e non sono ancora salvi. La strada è lunga. Il problema del piombo esiste ancora (e quando li convinci a smettere di sparare gli americani?). La California ha dovuto emanare una legge che vieta l’utilizzo della cartucce contenenti piombo, e quelle senza piombo l’Arizona le distribuisce gratis. Insomma: sparate quanto volete ma non sparate piombo. Ancora ogni anno i condor devono essere trattati con medicine per limitare i danni dell’avvelenamento, però la storia ha cambiato corso.
Di sicuro ormai molti lo guardano veleggiare senza odiarlo, anzi, ammirandolo come è giusto che sia.
Se ne trovano ormai colonie importanti e stabili sulle coste californiane, al Big Sur e Point Reyes, e al Grand Canyon.
In quei luoghi magnifici lo si può di nuovo ammirare. E lui, fiero e selvaggio, non è uno che si nasconde.
Chi vi sta raccontando questa storia, che certo per questo cose non si fa pregare, é andato a vederlo proprio in tutti questi luoghi, durante un viaggio negli Stati Uniti nel 2011. E il fatto che già nel 2011 si sia fatto vedere ovunque, lascia ben sperare sulle sue capacità e possibilità di continuare a riprendersi i territori che erano suoi.
E posso assicurarvelo per esperienza diretta: un condor che volteggia fra le falesie del Grand Canyon non si può raccontare.
Si può solo guardare e piangere per tutta la bellezza che hai di fronte.