Francesca del Rio nasce a Bibbiano nel 1925.
Vive con la sua famiglia, di idee antifasciste, in campagna.
Quando Francesca ha solo 10 anni, suo padre viene aggredito e picchiato duramente dalle squadre fasciste. Da quel giorno il suo fisico e il suo spirito rimangono profondamente segnati, tanto che morirà nel 1940 senza mai riprendersi pienamente, dopo “un calvario durato cinque anni”.
Anche in seguito a questa vicenda, l’8 settembre 1943, all’età di 18 anni, Francesca aderisce come staffetta alla 144ª Brigata Garibaldi “Antonio Gramsci”, operativa in Val d’Enza, con il nome di battaglia di “Mimma”.
La giovane Mimma si dà molto da fare: riceve volantini e comunicazioni, prende parte a un gruppo di donne collaboratrici; durante la sua attività conosce un giovane arruolato in montagna tra i Partigiani e si fidanza con lui.
La sua vita cambia l’11 dicembre del 1944. A seguito della delazione di un fascista locale, amico di famiglia, viene arrestata e portata a Ciano d’Enza, un centro tedesco antiguerriglia.
Da quel piccolo paese vengono organizzati i rastrellamenti, si ingaggiano spie e delatori, si raccolgono informazioni, e soprattutto si ottengono confessioni con i più disparati metodi di sevizie.
Ma non è la sola quel giorno a entrare nella caserma e ad essere sottoposta ad estenuanti sessioni di tortura. Con lei c’è anche Jones Del Rio, un partigiano di Montecchio, che viene fucilato sulla strada di Rossena, insieme ad altri, dopo qualche giorno.
Dalla prigione di Ciano nessuno esce vivo. La sorte di Mimma sembra ormai segnata.
È destinata a morire e con lei anche il bambino che porta in grembo.
I suoi carcerieri la torturano tutti i giorni per un mese: “Non piangevo, non volevo dargli soddisfazione. Chiudevo gli occhi , non guardavo. Loro sghignazzavano, avevano dei grembiuli tutti insanguinati, sembravano macellai”.
Le asportano un seno.
Non ottenendo nessuna informazione utile, i fascisti decidono di mandarla a Mauthausen per finire lì i suoi giorni.
Ma Mimma non vuole arrendersi.
La notte del 9 gennaio 1945 riesce a fuggire.
Nella latrina della prigione c’è un finestrino alto e stretto, e all’esterno il tubo discendente della grondaia.
Si arrampica con grande fatica, vince il dolore, il freddo e la paura. Riesce a passare con fatica da quella piccola apertura, e con tutte le forze che le sono rimaste, si attacca alla grondaia e si lascia cadere sulla neve.
E’ scalza, sporca, insanguinata, le fa male tutto il corpo.
Fugge senza voltarsi indietro, fino alle case di alcuni contadini che la aiutano.
Mimma vuole proseguire, tornare alla sua formazione.
La raggiunge la madre che le porta dei vestiti e delle scarpe, che fatica ad indossare perché ha i piedi congelati.
La sua avventura non è finita perché in sella ad un cavallo riesce ad attraversare i boschi e un torrente, fino a raggiungere la zona presidiata dai Partigiani.
Appena giunta a destinazione, riprende subito la sua attività e porta avanti con grande fatica la sua gravidanza.
Il 9 aprile partorisce ma, senza un’assistenza qualificata, il suo bambino non sopravvive.
Quelli purtroppo non sono i giorni in cui ci si può lasciare andare alla sofferenza, in cui si può piangere e dare libero sfogo al proprio dolore, quel dolore immenso che solo una mamma che ha perso il proprio bambino può comprendere.
Mimma torna al lavoro solo 9 giorni dopo il parto.
Nei giorni successivi, con altre Partigiane organizza degli incontri con lo scopo di aiutare altre donne impegnate come lei nella battaglia. Ma quelle riunioni non si terranno mai perché il 25 aprile inizia la battaglia finale.
Il presidio nazisa di Ciano è stato nel frattempo liberato grazie all’azione congiunta dei Partigiani di Reggio Emilia e di Parma.
I testimoni di quei giorni raccontano che i giovani della Resistenza erano scesi dalla Val d’Enza in squadra. Alla testa di quel gruppo c’è una giovane donna a cavallo, che non vuole impressionare chi la sta a guardare, ma semplicemente non può camminare a causa dei danni da congelamento subiti durante la fuga di qualche mese prima.
Questa è la storia di Francesca Del Rio, nome di battaglia “Mimma”, che con tenacia si è impegnata per liberare il nostro paese dall’oppressione nazista e fascista.
Le viene data la Medaglia d’Oro al merito Civile.
Dopo la Liberazione Francesca Del Rio si sposa e ha 3 figli.
Per tutta la vita non parla mai delle torture subite, fino al 7 febbraio 2007, quando ai ragazzi della III media di Bibbiano, riesce a raccontare la sua vicenda.
Da quei giorni tremendi nella caserma di Ciano “Mimma” si è ripresa nonostante le indicibili sofferenze: ha allattato 3 figli con un seno solo, ha subito numerosi interventi ai piedi congelati. Nonostante tutto questo si è ripresa e ha studiato alle scuole serali, conseguendo un titolo di studio.
Raccontare la sua storia per me è un grande onore. Vorrei che per tutti noi fosse un esempio di coraggio e uno stimolo a far sì che quella “stagione di dolore armato” che noi tutti chiamiamo Resistenza non venga mai dimenticata o sminuita.
