Gina Borellini nacque a San Possidonio, in provincia di Modena, il 24 ottobre 1919.
A soli 16 anni si sposò con Antichiaro Martini, un falegname più vecchio di lei di 10 anni.
Nel 1936 partorì il primo figlio, che morì appena due anni dopo.
Nel 1939 nacque il suo secondogenito.
Il marito, essendo Bersagliere, fu costretto a partire per il fronte libico.
Da quel giorno toccò a Gina sostenere tutta la famiglia lavorando nella moda del riso in Piemonte.
Nel 1943 fu proprio Gina una delle organizzatrici del grande sciopero delle mondine nella provincia di Novara.
Dopo la firma dell’armistizio, con il marito ritornato ferito dal fronte, si unì alla resistenza, sia come staffetta sia come sostegno ai militari che cercavano di disertare.
Non tardò ad unirsi anche al fronte combattente delle formazioni della zona di Modena.
Il 22 febbraio 1944 Gina e suo marito vennero catturati. Arrestati dai fascisti e condotti in carcere, vennero entrambi torturati con lo scopo di ottenere informazioni.
Per tre volte Gina venne portata di fronte al protone di esecuzione, con la minaccia di essere giustiziata.
Ma non cedette mai: fu rilasciata dai fascisti, mentre Antichiaro rimase in carcere.
Anziché pensare alla propria salvezza, Gina rimase accanto al marito ancora prigioniero. Purtroppo venne fucilato il 19 marzo 1945 in Piazza d’Armi a Modena.
Nonostante questo, Gina non si perse d’animo.
Riprese il suo posto fra i combattenti, unendosi alla Brigata “Remo” con il nome di battaglia di “Kira”. Organizzò i gruppi di difesa della donna a Concordia sulla Secchia con la funzione di ispettrice e il grado di capitano.
Il 12 aprile 1945, coinvolta in un violento scontro a fuoco con i fascisti della Brigata nera Pappalardo a San Possidonio, venne gravemente ferita.
Per non intralciare la lotta dei suoi compagni rifiutò qualsiasi aiuto; riuscì da sola a fermare una grave emorragia alla gamba sinistra e a raggiungere l’ospedale di Carpi dove fu costretta a subire l’amputazione dell’arto ferito.
Mentre era ancora ricoverata venne scoperta dalla polizia fascista che la sottopose nuovamente a sfiancanti interrogatori. Fortunatamente Gina scampò alla fucilazione perché il 25 aprile l’Italia venne liberata.
Dopo la liberazione partecipò attivamente alla riorganizzazione.
Il 17 marzo 1946 venne eletta al consiglio di comunale di Concordia sulla Secchia; l’anno successivo fu una delle 19 donne a cui venne conferita la medaglia d’oro al Valor militare, per la sua attività durante la Resistenza. Nel 1948 fu eletta in parlamento dove rimase fino al 1963. Si batté per il miglioramento delle condizioni dei combattenti in guerra e per l’emancipazione delle donne.
Il suo esempio di coraggio e di forza devono essere per noi un costante stimolo a cercare di non dimenticare chi per noi ha combattuto, sacrificando tutto il nome della libertà.
Gina Borellini è morta il 2 febbraio 2007 a Modena.
Ricevette La Medaglia con queste parole:
“Giovane sposa, fin dai primi giorni dedicava tutta sé stessa alla causa della liberazione d’Italia, rifugiando militari sbandati e ricercati e aiutandoli nel sottrarsi al servizio con i tedeschi, staffetta. Instancabile ed audacissima, trasportava armi, diffondeva opuscoli di propaganda, comunicava ordini, sempre incurante del grave pericolo cui si esponeva. Arrestata col marito, resisteva alle più atroci torture senza dire una parola sui suoi compagni di lotta. Tre volte condotta davanti al plotone di esecuzione assieme al suo consorte, continuava a tacere. Inopinatamente rilasciata, rifiutava di nascondersi in montagna per essere più vicina al marito tuttora detenuto. Fucilato questo, arrestatole un fratello, raggiunse una formazione partigiana con la quale affrontava rischi e disagi inenarrabili e non esitava ad impugnare le armi dando frequenti e luminose prove di virile coraggio. Sorpresa la sua formazione dalle Brigate Nere, gravemente ferita ad una gamba nella disperata eroica resistenza, non permetteva ai suoi compagni di soccorrerla, sola riusciva a frenare la copiosa emorragia e, traendo coraggio dal pensiero dei propri figli, si sottraeva alle ricerche nemiche. Nell’ospedale di Carpi, individuata dalla polizia fascista subisce, sebbene già in gravissime condizioni, estenuanti interrogatori, ma tace incrollabile nella decisione eroica. Amputatale la gamba, l’insurrezione la sottrae alla vendetta del nemico fuggente. Fulgido esempio di sacrificio e di eroismo”.