Varese, ai piedi delle Prealpi, potrebbe sembrare un’anonima città del nord Italia. Eppure vanta uno dei più interessanti complessi monumentali di epoca manierista e barocca: si tratta del complesso di Santa Maria del Monte con il santuario dedicato a Maria e il viale delle cappelle. Il progetto è nato poggiandosi sui valori della Controriforma.
Erano gli anni successivi alla battaglia di Lepanto (1571), che aveva introdotto il culto della Madonna del Rosario. Non mi dilungo sulla storia del complesso di Santa Maria, perché meriterebbe più di una trattazione a parte. In breve, il culto alla Vergine sul monte alle spalle di Varese ha origini molto antiche ed era diventato particolarmente fiorente nel XVI secolo.
Al santuario si giungeva per il sentiero impervio e pericoloso, ancora oggi esistente, che collega il borgo di Velate con il Campo dei Fiori e che passa per il Monte di San Francesco in Pertica, che ha ospitato una delle più antiche comunità francescane. Venne da una delle suore del monastero di Santa Maria, suor Maria Tecla Cid, all’inizio del XVII secolo, l’idea di realizzare un percorso che mettesse agevolmente in comunicazione la pianura di Varese con il santuario ed il borgo sul monte di Santa Maria.
Fu così che prese vita l’idea di un cammino che si snodasse sulle pendici del monte, fiancheggiato da cappelle che offrissero l’opportunità di meditare sui Misteri del Rosario. Un progetto grandioso, con quattordici cappelle più il santuario, organizzate secondo i Misteri: gaudiosi, dolorosi e gloriosi. La colossale opera venne iniziata nel 1604. Fondamentale per la raccolta dei fondi fu la predicazione del frate cappuccino Giovanni Battista Aguggiari, il quale svolgeva il suo ministero apostolico anche presso il monastero di Santa Maria.
Il concorso economico e materiale fu tale che, in una relazione del 1623, risultavano realizzate oltre una decina delle quattordici cappelle previste. Sappiamo che l’intero progetto, con tanto di dipinti, statue, stucchi e dorature, fu completato nel 1680. Tuttavia, il percorso, sebbene scenografico, perfettamente in linea con la predilezione per la teatralità del periodo, presenta un’anomalia piuttosto evidente: non si conclude davanti alla facciata del santuario, ma raggiunge, dopo alcune rampe di scale, una piazzetta sul retro, per cui l’accesso all’edificio religioso avviene tramite un corridoio che sbuca a metà navata.
Come mai una simile scelta, quando, come detto prima, i periodi manierista e barocco privilegiavano tutto quello che riconduceva al teatro e alle scenografie? La motivazione esatta non è ancora nota, ma si può fare un’ipotesi piuttosto plausibile. Infatti, le cappelle, a ben vedere, non sono quattordici, ma quindici. Arrivando alla decima cappella, quella della Crocefissione, quando gli alberi sono spogli, si intravede una costruzione, raggiungibile da un viottolo che si apre subito dopo l’arco di Sant’Ambrogio, che segna l’inizio dei misteri gloriosi. Visto da vicino l’edificio, in pietre vive, sebbene visibilmente rimaneggiato, presenta una pianta circolare; si notano alcune aperture ad arco, ora tamponate, e delle decorazioni in pietra (come i basamenti delle lesene).
Facendo mente locale, la cappella precedente è dunque la decima. Vediamo cosa dice la relazione del 1623 dell’undicesima cappella, quella della Resurrezione: «Più oltre si trova la Cappella della Resurettione fatta di forma rotonda, cinta d’un portico con colonne tonde archeggiate fra l’un e l’altra, e sopra detto portico ascende un altr’ordine ornato di nizze con finestre, e partimenti di rilievo, che fanno bello aspetto.» La cappella della Resurrezione ora non si presenta circolare: è di pianta rettangolare. Che la cappella della Resurrezione fosse quell’edificio particolare ora dismesso?
Esistono due raffigurazioni seicentesche della Via Sacra: uno è l’affresco della fontana della Samaritana, all’inizio del viale, mentre l’altro è il dipinto del Pellegrinaggio del Cardinale Federigo Borromeo al Sacro Monte. In entrambe le immagini, viene raffigurato un edificio circolare subito dopo la
decima cappella. È questo l’edificio abbandonato che vediamo ora, quello che gli abitanti del borgo chiamano “la falada”, la (cappella) fallita. È un’ipotesi più che probabile che il percorso del viale dovesse inizialmente seguire un altro tracciato, con una brusca curva dopo l’arco di Sant’Ambrogio, in modo da aggirare il borgo di Santa Maria e terminare poi davanti all’ingresso principale del santuario, seguendo quella che ora è la via Fincarà.
Forse l’instabilità del terreno, o altri motivazioni simili, hanno portato a praticare una modifica in corso d’opera, prolungando il percorso oltre l’arco di Sant’Ambrogio e girando sul lato opposto del monte. In questo modo è possibile spiegare l’anomalia della conclusione della Via Sacra sul retro del santuario. Una sorta di “incidente di percorso” quindi. Non è stato l’unico: anche il campanile ora appare tozzo e severo, ma all’inizio era svettante e slanciato. Purtroppo, la sua conformazione sembrava attirare i fulmini, quindi l’altezza fu drasticamente ridotta.
Nonostante queste modifiche al progetto iniziale, ci troviamo comunque di fronte a un complesso di notevole bellezza e significato spirituale.