La strage dell’Hotel Meina: la storia di Bechy Behar Ottolenghi

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I colpevoli di quella strage non pagarono mai per le loro colpe, nonostante nel 1968, a Osnabruck, si tenne un processo in cui i Behar si costituirono parte civile...

Bechy Behar Ottolenghi era nata in Turchia  nel 1930.
La sua famiglia era di origine ebrea.
Nel 1943 i suoi  genitori gestivano una struttura alberghiera sul lago Maggiore, chiamata Hotel Meina.
Quando aveva solo 13 anni fu testimone di quella che la storia ricorda come la prima strage di ebrei in Italia compiuta per mano nazista.
In quel periodo i soldati della Divisione corazzata Leibstandarte Adolf Hitler erano alloggiati presso l’hotel “Beau Rivage” di Baveno. Seguendo le indicazioni fornite dagli uffici comunali della zona, tra il 15 settembre e l’11 ottobre del 1943, le SS individuarono e uccisero 54 ebrei.


Fra loro, 16 vennero prelevati dall’ hotel Meina, gestito dai Behar. Gli ebrei arrestati furono uccisi e gettati nel lago con una pietra al collo ad alcune centinaia di metri di distanza del paese. Alcuni corpi affiorarono dopo il primo giorno e vennero riconosciuti dagli abitanti del luogo.
Fra loro anche alcuni bambini.
Bechy si salvò grazie all’amicizia fra suo padre Alberto e il console turco a Milano, che intervenne presso le SS e ottenne che i Behar se la cavassero solo con una multa.
I colpevoli di quella strage non pagarono mai per le loro colpe, nonostante nel 1968, a Osnabruck, si tenne un processo in cui i Behar si costituirono parte civile. Il procedimento  si concluse con la condanna all’ergastolo di due ufficiali delle SS.
Due anni dopo la Corte Suprema di Berlino cancellò la sentenza in quanto i reati “erano da considerarsi caduti in prescrizione”.
In Italia non si è mai celebrato un processo per le vittime di quella strage.
Fino alla fine dei suoi giorni Bechy non ha mai smesso di raccontare i fatti dell’hotel Meina e la persecuzione a cui furono sottoposti gli ebrei in Italia.

BIBLIOGRAFIA

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