Saman, 575 giorni tra i rifiuti…

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Saman non poteva continuare a vivere. E così tutto si era compiuto in pochi minuti...

È finita così, dopo 575 giorni, la storia di Saman.
Abbiamo sperato tutti che fosse ancora viva, magari prigioniera da qualche parte in Pakistan, ma pur sempre viva.
Solo la confessione di uno dei suoi assassini ha reso possibile il ritrovamento del corpo di Saman.
Era sepolto a meno di un chilometro dalla casa che divideva con la sua famiglia, con quel fratellino, coinvolto in questa terribile vicenda, di 15 anni che sarà il primo a dire che Saman era stata uccisa, con un padre violento e spesso ubriaco, con una madre succube e incapace di proteggere  i suoi figli.
Saman era scomparsa nella notte fra il 30 aprile e il 1° maggio 2021. Le telecamere avevano inquadrato la sua esile e giovane figura di ragazza di 18 anni che si allontanava con il padre e la madre verso i campi attorno alla loro abitazione.  Aveva uno zainetto in spalla. Probabilmente non immaginava quello che le sarebbe accaduto dopo pochi minuti, non pensava che quelli attorno a lei non si sentivano più “suoi genitori”,  che il loro scopo era solo quello di lavare col sangue il disonore che la giovane aveva portato in casa rifiutando quel matrimonio combinato a sua insaputa.
Saman si era ribellata al volere di suo padre, che la voleva sposa di un cugino in Pakistan, un uomo sconosciuto, più grande di lei.
Saman si era innamorata di Saqib, un giovane pakistano come lei, che è costretto tuttora a vivere in un posto imprecisato nel Nord Italia sotto la protezione delle forze dell’ordine. Lui e la sua famiglia, dopo la sparizione della ragazza, in seguito alla testimonianza di Saqib e alle sue continue domande, avevano ricevuto minacce di ritorsioni sia in Pakistan che in Italia.
Questo rapporto, nato spontaneamente, e vissuto in parte anche sui social, aveva scatenato l’indignazione della famiglia, che non avrebbe mai potuto accettare un simile comportamento. E così, botte, denunce, allontanamenti, rientri a casa… il tempo era passato fino a quella tragica notte, in cui Saman era scomparsa, inghiottita dall’omertà della sua famiglia, da Novellara.
A fare la prima denuncia è proprio Saqib, a cui Saman aveva confessato di temere per la propria vita.
Il 26 maggio le autorità diramano la prima foto della giovane.
Inizialmente si parlava di allontanamento volontario, poi di sequestro.
Trascorsi alcuni giorni, la verità su quel matrimonio combinato era emersa come un’accusa: Saman avrebbe dovuto sposarsi il 22 dicembre del 2020 in Pakistan, lasciandosi definitivamente alle spalle quella vita “scomoda” che i suoi genitori non volevano più che conducesse.
Era tutto pronto: biglietti aerei e data della partenza, prevista per il 17 dicembre.
Saman aveva detto NO.
A fine ottobre, non vedendo via d’uscita, si era rivolta ai servizi sociali di Novellara per un aiuto. Saman era stata trasferita in un centro protetto, in provincia di Bologna.
Il matrimonio era saltato, il disonore per la famiglia era diventato insostenibile.
In aprile, l’11, Saman aveva lasciato spontaneamente il centro in cui era rimasta per alcuni mesi. Aveva fatto rientro a casa con lo scopo di recuperare i propri documenti.
La situazione non era cambiata. Anzi… era peggiorata.
Il 22 aprile aveva fatto una seconda denuncia ai carabinieri, raccontando quanto era successo durante quei giorni a Novellara e che i genitori non erano intenzionati a renderle i documenti.
Da quel giorno Saman aveva iniziato a temere per la propria vita.
Aveva sentito i suo padre e sua madre parlare di lei, dire che vi era un solo rimedio possibile per la sua ribellione. In un SMS a Saqib aveva scritto: «Se non mi faccio sentire per più di 48 ore avverti le forze dell’ordine…».
Saman avrebbe voluto andare via, ma non aveva potuto.
Con una telefonata, Shabbar, suo padre, aveva avvertito lo zio Danish che il momento era arrivato.
Saman non lo sapeva, ma quel pomeriggio, a casa sua, si era tenuta quella che nelle carte giudiziarie viene definita una riunione «sulle modalità con cui far sparire il corpo, smembrando il cadavere».
Saman non poteva continuare a vivere.

E così tutto si era compiuto in pochi minuti.
La sera del 29 aprile, 3 uomini, ripresi dalle telecamere, avevano lasciato la casa di Saman, diretti verso la campagna, portando attrezzi per lo scavo. Vi avevano fatto rientro 3 ore dopo.
La sera successiva Saman era uscita di casa per scomparire nella notte. Poco prima la ragazza aveva avuto l’ennesima lite, l’ultima, con il padre e la madre. Dopo qualche minuto, la sua vita era finita nelle mani dello zio Danish, in quello che può essere definito come un delitto d’onore.
Dal 1° maggio, infatti, tutta la famiglia di Saman era scomparsa, avvolta nel mistero.
I genitori avevano preso l’aereo per rimpatriare, insieme a 2 cugini.
Erano rimasti a Novellara solo uno zio, Hasnain e il fratello di Saman. Erano stati proprio loro a informare i carabinieri e servizi sociali, che avevano bussato alla loro porta dopo la denuncia di Saqib, del fatto che tutti gli altri erano partiti per il Pakistan perché una sorella di Shabbar era in fin di vita.
Dopo quel giorno, erano scomparsi anche loro.
Onore…
Freddi e spietati assassini, carcerieri di una figlia che non hanno esitato a sacrificare perché aveva osato ribellarsi alla famiglia.
Saman è stata ritrovata, in una buca in un casolare abbandonato, tra i rifiuti, le bottiglie di birra vuote e i mozziconi di sigaretta.
Un frigorifero sgangherato ricopriva le macerie messe per nascondere il suo corpo.
Uno dei suoi cugini, Ikram, era stato arrestato in Francia con il fratello di Saman.
Stavano andando in Spagna. Sarà proprio lui a parlare di omicidio, a dire che sua sorella non era fuggita, ma era stata uccisa dalla sua stessa famiglia.
E finalmente il 22 settembre 2021 viene arrestato lo zio Danish, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio.
I genitori l’avevano affidata a lui, notoriamente un uomo violento, perché se ne occupasse definitivamente, perché facesse cessare la ribellione di quella figlia ingrata.
Si opponeva al matrimonio combinato in Pakistan… si ostinava a voler vivere liberamente, all’occidentale, a vestire come una donnaccia….
L’avevano affidata a lui perché la uccidesse.
Danish ha sempre negato tutto.  Ad accusarlo c’è la testimonianza del fratello della ragazza: «Secondo me l’ha uccisa strangolandola, anche perché quando è venuto a casa non aveva nulla in mano», e una chat a una persona a lui vicina in cui ha scritto: «Abbiamo fatto un lavoro fatto bene».
Successivamente viene arrestato in Spagna un altro cugino di Saman, anche lui coinvolto nell’omicidio. Ma il quadro non è completo, mancano i responsabili della vicenda.
Restano liberi Shabbar Abbas e Nazia Shaheen….Shabbar in prigione per truffa in Pakistan, Nazia in Europa da qualche parte.
Saman avrà mai giustizia?
Proviamo a ricordarla noi, a parlarne, non a tacere come sempre, a passare oltre e a dire… lasciamola riposare in pace.
Saman aveva il diritto di vivere, di essere libera, di amare e di realizzarsi come meglio riteneva giusto.
Saman ha il diritto di non diventare solo un numero nell’elenco dei femminicidi in Italia.

BIBLIOGRAFIA

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