Il disastro del Vajont…la notte in cui la terra tremò…

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Il 7 ottobre, due giorni prima della catastrofe, il prefetto di Udine chiede al Genio Civile della città delucidazioni su quanto sta venendo nella Valle del Vajont. L'ingegnere capo dell'ufficio risponde che la situazione è nella norma e che “ l'attività sismica degli ultimi mesi rientra nella micro sismicità delle zone montuose.”...

9 ottobre 1963.
Ore 22:39.
Dal monte Toc si stacca un imponente frana di circa 270 milioni di metri cubi di roccia, pari a 3 volte il volume dell’acqua contenuta nell’invaso della diga del Vajont. Il materiale scende verso valle ad una velocità di circa 110 km orari. Il bacino sottostante che contiene 115 milioni di metri cubi d’acqua al momento del disastro è costruito nei pressi del comune di Erto e Casso. L’onda generata dall’impatto della frana con la superficie del lago crea un muro d’acqua alto quanto un palazzo, che fragorosamente scende verso  valle distruggendo tutto ciò  che incontra.
In totale nell’immane disastro muoiono 2018 persone: 1450 a Longarone, 109 a Codissago, 158 a Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 in altri comuni.
Vengono distrutti  i borghi di Frasègn, Le Spesse, Il Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, e la parte bassa di Erto.
Più in basso, nella valle del  Piave, restano un ricordo sulle mappe della zona i paesi di Longarone, Pirago, Faè, Villanova, Rivalta, mentre sono profondamente danneggiati gli abitati di Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna.


L’onda che si venne a generare nel Piave è talmente  “importante” che allaga e danneggia i comuni di Soverzene, Ponte nelle Alpi, Borgo Piave, Quero Vas e la borgata di Caorera.
La realizzazione dell’immenso colosso costruito dalla SADE, Società Adriatica di Elettricità, nella Val Vajont è un progetto che solo  il conflitto mondiale  è riuscito a rimandare.
L’idea iniziale risale al 1940 quando la SADE, fondata nel 1905, ha per la prima volta ipotizzato di sfruttare le acque residue del Piave e di alcuni suoi affluenti per produrre energia elettrica che sarebbe servita per lo sviluppo industriale.
Il primo progetto prevede la realizzazione  di un invaso che complessivamente avrebbe generato 800 milioni di kWh. Tutti gli incartamenti vengono inviati il 22 giugno del 1940 all’allora presidente della Confederazione Fascista degli Industriali, il Volpi. I documenti rimangono fermi a Roma per molto tempo.
Il progetto sembra ormai accantonato fino a quando, nonostante i pareri contrari dei geologi interpellati, nel 1948 la SADE ottiene la concessione definitiva alla costruzione della diga del Vajont.


La paternità del progetto è da attribuire all’ingegner Carlo Semenza, che vede in quest’opera l’apice della sua carriera e la possibilità di lasciare un ricordo indelebile del suo genio ai posteri. Dopo una serie di lungaggini, di studi geologici approfonditi, di pareri favorevoli e contrari, di insabbiamenti, di proteste dei contadini e della gente, di espropri forzati, la SADE nel 1957 presenta al Ministero un nuovo progetto che prevede l’innalzamento della diga da 200 a 261,60 metri. In conseguenza il livello del lago artificiale sarebbe salito a 722,50 metri, superando di 45 metri il progetto iniziale. Si prevede ora di portare il volume d’acqua a 150 milioni di metri cubi. La diga del Vajont è, in quegli anni, la diga ad arco più grande del mondo.
Gli scavi iniziano nell’estate del 1957 e nell’agosto del 1958 vengono ultimati. Subito dopo iniziano le prime colate di cemento, che vanno avanti fino a settembre 1960.
Gli Ertocassani si trovano il lago sotto le finestre.
Il malcontento cresce  proporzionalmente alla paura che quella montagna tanto instabile, come ha sempre dimostrato negli anni, possa da un momento all’altro venire giù. In effetti Erto è stata costruita proprio sulle rovine di una frana.


Passano gli anni…
La diga viene ultimata,  mentre l’invaso viene colmato di giorno in giorno.
La gente non può far altro che convivere con quel mostro che incombe sulle loro teste.
La montagna dà segni di insofferenza: piccole frane, smottamenti, allagamenti improvvisi, brontolii…sono all’ordine del giorno.
Nel maggio del 1962 la popolazione è particolarmente preoccupata per l’intensificarsi delle scosse che fanno tremare le case. La SADE non si ferma e punta a portare il livello del lago fino a quota 700 metri al più presto.
Gli ultimi rilevamenti fatti non sono certo a favore della sicurezza. Anche gli esperti messi in campo dalla SADE cominciano ad esprimere la loro perplessità sul completamento dell’invaso. Si comincia a ipotizzare la possibilità che una frana possa cadere nel lago.
L’ipotesi che viene avanzata è molto più rosea rispetto a quella che si verificherà.
Più l’acqua cresce più si fanno frequenti i fenomeni di movimento: il pericolo è sempre più evidente.
Il 22 luglio 1963 alla Prefettura di Udine arriva un telegramma del sindaco di Erto in cui si richiedono provvedimenti urgenti di “verifica per inspiegabili acque torbide lago, continui boati et tremiti terreno comunale”.
Il telegramma non ottiene risposta mentre la popolazione è nel panico.
Viene spedito un nuovo telegramma il 2 di settembre in cui si segnalano nuove scosse sempre più importanti. Nel frattempo il livello dell’invaso continua a crescere: è il 15 settembre.
Il tempo passa ancora… La gente del posto non ce la fa più a convivere con la paura.
Il 7 ottobre, due giorni prima della catastrofe, il prefetto di Udine chiede al Genio Civile della città delucidazioni su quanto sta venendo nella Valle del Vajont. L’ingegnere capo dell’ufficio risponde che la situazione è nella norma e che “ l’attività sismica degli ultimi mesi rientra nella micro sismicità delle zone montuose.”
Quello che probabilmente i più ignorano è che nel frattempo si sono registrati degli slittamenti preoccupanti del terreno, uno scivolamento graduale e inesorabile verso le sponde del lago.
L’8 di ottobre si registra un ulteriore scivolamento di circa 60 cm.
Vista l’importanza del movimento, si  fanno nuove ipotesi sull’entità della frana che si potrebbe generare.
9 ottobre: è una giornata di sole.
La montagna è splendida, i colori autunnali la rendono ancora più bella del solito.
Gli Ertocassani vanno e vengono cercando di portare via le loro cose.
Qualche giorno prima il comune ha affisso un’ordinanza di  sgombero, ma la gente non riesce  a rassegnarsi, i più restano fiduciosi che la SADE e lo Stato faranno qualcosa per risolvere la situazione.
Arriva sera….
Sono le 22 e tutta la gente è nelle case oppure radunata nelle osterie per guardare la televisione; si ride, si chiacchiera, si sdrammatizza quella situazione che ormai è diventata un tutt’uno con la quotidianità.
Una serata come tante, se non fosse che proprio in quei minuti la montagna si sta muovendo.
Alle 22:39 un lampo accecante, causato dai fili dell’alta tensione che si spaccano, e un fragoroso boato fanno alzare la testa di tutti.
Un’immensa frana si stacca dalla montagna e cade nel lago, provocando un’onda alta decine e decine di metri.


L’acqua supera la diga, la scavalca come se fosse un piccolo gradino, entra nella valle, sbatte, si contorce, acquista velocità, diventa più scura e paurosa,  travolge tutto quello che incontra. Secoli di vita in quella vallata vengono spazzati via in pochi istanti.
L’acqua impazzita, fragorosa, devastante, non lascia scampo a nessuno… ma non c’è solo l’acqua a far paura, c’è anche l’aria che arriva prima dell’acqua e che fa presagire che qualcosa di terribile sta per accadere. Quell’aria così forte così carica di umidità, quell’aria che ferisce che porta con sé sabbia…. polvere… pezzi di legno… detriti…alberi… animali… soffia via la vita di tutti quelli che incontra. E chi resiste, aggrappato alla vita,  viene rapito dall’acqua, che lo inghiotte in un gorgo nero e gelido.
Pochi istanti e la valle del Vajont non esiste più.
Il resto della storia lo sapete già:  accuse, recriminazioni, responsabilità palleggiate  da un ufficio all’altro.
Il giorno dopo non si può far altro che la conta dei morti,  che recuperare i cadaveri nelle acque del Piave, che piangere e cercare un modo per andare avanti… Il resto è storia, storia d’Italia, una pagina nera che non possiamo dimenticare.

BIBLIOGRAFIA

  • –  Sulla pelle viva: come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont , Tina Merlin

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