«I bambini a Treblinka erano gettati vivi sulle graticole….»

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Durante tutto l'inverno, ogni volta i bambini piccoli, nudi e scalzi, restavano per ore e ore all'aperto, in attesa del loro turno nelle camere a gas....

Yakov Wiernik nacque nel 1889 in Polonia da una famiglia di origine ebrea. 
Dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale fu costretto a trasferirsi nel ghetto di Varsavia Eu quando il ghetto venne liquidato, il 23 agosto 1942 fu deportato nel campo di sterminio di Treblinka.
Al suo arrivo fu selezionato per lavorare nel gruppo del Sonderkommando scappando così momentaneamente la camera a gas. Era incaricato di trascinare i cadaveri fino alle Fosse comuni punto quell’esperienza lo segnò profondamente.
Quando arrivò l’ordine da parte di Himmler di procedere con la riesumazione e la cremazione di tutti i cadaveri, Wiernik fu testimone di quello che lui stesso definì come l’inferno in terra.
Sopravvisse miracolosamente a Treblinka, fuggendo Durante la rivolta del 2 agosto 1943. Salì sul treno merci e riuscì a far ritorno a Varsavia dove venne aiutato dalla famiglia dei suoi ex datori di lavoro che gli procurarono dei falsi documenti. Entrò in contatto con i membri della Resistenza e pubblicò per la prima volta clandestinamente il suo libro, Un anno a Treblinka. Era il 1944.
Alla fine della guerra rimase inizialmente a vivere in Polonia, dove testimoniò In un processo contro un ufficiale delle SS. Successivamente andò a vivere in Svezia ed infine si spostò in Israele. Costruì un modello del campo di Treblinka, raso al suolo dai nazisti per cancellare ogni traccia di quello che era avvenuto.
Nel 1961 fu chiamato a testimoniare al processo contro Adolf Eichmann. Si presentò in aula proprio con il plastico del campo da lui costruito e testimoniò come nazisti e ucraini infliggessero inenarrabili torture ai prigionieri.  
Nel suo libro raccontò che …..«Durante tutto l’inverno, ogni volta i bambini piccoli, nudi e scalzi, restavano per ore e ore all’aperto, in attesa del loro turno nelle camere a gas, sempre più affollate. Le piante dei piedi si ghiacciavano e s’incollavano al suolo gelato diventando un tutt’uno con esso. Lì fermi piangevano; alcuni morivano congelati. Nel frattempo gli aguzzini, tedeschi ed ucraini, battevano e li prendevano a calci. C’era un tedesco di nome Sepp, o forse Zopf, una bestia vile e feroce, che traeva piacere nel torturare i bambini, nell’abusare di loro. Spesso strappava una creatura dalle braccia della madre e squartava il bambino a metà oppure lo agguantava per le gambe e gli fracassava la testa contro un muro […] tragiche scene di questo tipo si verificavano continuamente. La gente di Varsavia veniva trattata con straordinaria brutalità e le donne ancora più degli uomini. Sceglievano donne e bambini e, invece di portarli alle camere a gas, li conducevano alle graticole. Lì costringevano le madri impazzite dall’orrore a mostrare ai figli le griglie incandescenti dove, tra le fiamme e il fuoco, i corpi si accartocciavano a migliaia, dove i morti parevano riprendere vita e contorcersi, dimenarsi; dove ai cadaveri delle donne incinte scoppiava il ventre e quei bambini morti ancora prima di nascere bruciavano tra le viscere aperte delle loro madri. Dopo che gli assassini si erano riempiti gli occhi del loro terrore, erano uccise lì, accanto ai fuochi e gettate direttamente nelle fiamme. Le donne svenivano per la paura e le bestie le trascinavano ai roghi mezze morte. In preda al panico, i figli si aggrappavano alle madri. Le donne imploravano pietà, con gli occhi chiusi come per risparmiarsi quella scena spaventosa, ma gli aguzzini le guardavano divertiti: tenevano le vittime in straziante attesa per diversi minuti prima di finirle. Mentre si uccideva un gruppo di donne e di bambini, gli altri erano lasciati lì davanti ad aspettare il proprio turno. Di volta in volta i bambini erano strappati dalle braccia delle madri e gettati vivi nelle fiamme, mentre gli aguzzini ridevano e incalzavano le madri ad essere coraggiose e saltare nel fuoco per seguire le loro creature […]».
Morì nel 1972 all’età di 83 anni, portando con sè per tutta la vita il peso di quello che aveva vissuto a Treblinka.

BIBLIOGRAFIA

– Un anno a Treblinka. Con la testimonianza al processo Eichmann – Yankel-Yakov Wiernik, a cura di Livio Crescenzi e S. Zamponi, 8 aprile 2021

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