20 settembre 1870.
50.000 uomini del Regno di Sardegna si erano ammassati intorno ai confini dello Stato Pontificio per poi progressivamente dirigersi verso Roma e sferrare l’attacco.
L’8 settembre, Re Vittorio Emanuele II inviò una lettera a Papa Pio IX nella quale, professandosi devoto cattolico e leale alla Fede, chiedeva al Papa di permettere alle truppe di entrare a Roma e annettere la città al Regno di Sardegna senza porre resistenza così da evitare scontri e violenze.
Il Papa, trovandosi di fronte alla richiesta di arrendersi senza porre resistenza, rifiutò affermando che la lettera “(…) non è degna di un figlio affettuoso che si vanta di professare la fede cattolica, e si gloria di regia lealtà (…)”.
L’11 settembre iniziarono le operazioni militari senza la consegna di una formale dichiarazione di guerra.
Le truppe arrivarono alle porte di Roma il 15 settembre.
La reazione di Pio IX non si fece attendere e minacciò la scomunica per chiunque avesse sparato il primo colpo.
Si racconta che l’ordine di sparare il primo colpo di cannone venne dato a un ufficiale d’artiglieria di origine ebraica che, quindi, non sarebbe incorso nella scomunica.
Immediatamente iniziarono i cannoneggiamenti di tutte le porte della città che, seppur difese strenuamente dagli Zuavi e dalle truppe volontarie provenienti da diversi Paesi d’Europa, vennero ridotte a macerie.
I soldati del Regno si riversarono nelle mura di Roma ingaggiando scontri con le truppe pontificie.
I combattimenti continuarono per tutto il giorno, finché le bandiere bianche non vennero issate sulle mura della città.
La resa venne rispettata da quasi tutti i comandanti dell’esercito dei Savoia.
L’unico che tardò a cessare i cannoneggiamenti fu Nino Bixio che proseguì per un’ulteriore mezz’ora, nonostante la resa.
Cadorna, uno dei generali in capo all’assedio, su ordine del Re e del Governo, ordinò che non si occupassero la Città Leonina, Castel Sant’Angelo, il Colle Vaticano e il Gianicolo.
Con ogni probabilità per evitare di alimentare l’odio della popolazione, comunque molto fedele al Papa e inimicarsi le simpatie dei cattolici liberali.
Alle 17:30, i Generali pontifici firmarono la capitolazione nella quale si dichiarava che Roma “(…) tranne la parte che è limitata a sud dai bastioni di Santo Spirito e che comprende il Monte Vaticano, Castel Sant’Angelo e gli edifici costituenti la Città leonina, il suo armamento completo, bandiere, armi, magazzini di polvere, ecc., saranno consegnati alle truppe di Sua Maestà il re d’Italia (…)”.
Il 21 settembre Cadorna ordinò di occupare la città con l’eccezione prevista dalla capitolazione.
Il 27 settembre però le truppe del Regno d’Italia occuparono anche Castel Sant’Angelo, limitando in questo modo i possedimenti del Papa e violando l’accordo di resa.
Pio IX allora decise di non riconoscere più la sovranità del Regno su Roma.
Il Governo, per evitare l’acuirsi della tensione, nel 1871 emanò la Legge delle Guarentigie, con la quale si cercava di dare una certa garanzia sui possedimenti del Papa ma Pio IX non accettò la risoluzione unilaterale.
Nuovamente il Governo cercò di trovare un compromesso dando al Papa il potere su quella che oggi è la Città del Vaticano ma anche in questo caso il Pontefice rifiutò.
Nel 1874 Pio IX per affermare l’immoralità dell’attacco alla città di Roma e per dimostrare al Regno d’Italia che la Chiesa non riconosceva la legittimità del nuovo Governo, emanò l’ordine Non Expedit, con cui vietava ai cattolici di votare e di candidarsi alle elezioni.
Solo nel 1919 con il Partito Popolare di don Luigi Sturzo i cattolici tornarono alla vita politica e nel 1929, i Patti Lateranensi ricomposero la frattura tra Stato e Chiesa, risolvendo la Questione Romana e permettendo una qualche riappacificazione tra Governo e Santa Sede.
