L’altra volta vi ho parlato di Shelley e della sua vita travagliata. Oggi vi racconterò di uno dei suoi più cari amici, uno dei poeti inglesi più affascinanti e per alcuni aspetti, tra i più controversi: Lord Byron.
George Gordon Byron nacque a Londra nel 1788 e sviluppò subito una contrazione al tendine d’Achille che lo costrinse zoppo fino alla nascita; il cosiddetto “piede equino”. Malformazione su cui Byron scherzò per tutta la vita, sostenendo di essere “il figlio del Diavolo” e che quella malformazione gli desse un’aura di soprannaturale.
La fanciullezza di Byron non fu tra le più agiate, sebbene fosse rampollo di una nobile famiglia.
Infatti il padre gli lasciò moltissimi debiti e fuggì in Francia dove forse morì suicida.
Il piccolo Byron dovette vivere con la madre nella loro tenuta in Scozia, in una situazione di ristrettezze economiche, dove però iniziò a sviluppare l’ammirazione per l’aspro paesaggio scozzese oltre a quella per la teoria di John Knox sulla predestinazione della colpa.
Nel 1798 alla morte del prozio, Byron eredita il titolo nobiliare divenendo Lord, sesto barone di Rochdale, potendo così ricevere un’adeguata istruzione. Oltre al titolo e ai beni però, Byron eredita anche molti debiti.
Abbandonata la Scozia, Lord Byron inizia a studiare alla Harrow School e poi in seguito, al Trinity College dove stringe profonde amicizie (alcune di queste intime, come la relazione nata con John Edleston) con alcuni suoi compagni di studi, divenuti in seguito importanti scrittori e poeti del panorama letterario inglese.
Con la sua “nuova vita”, Byron inizia a dedicarsi al nuoto e alla scrittura di poesie.
Nel 1809, occupato il seggio che gli spettava alla Camera dei Lord, Byron intraprese il “Grand Tour”, un viaggio alla scoperta del mondo che era d’obbligo per gli appartenenti alle famiglie dell’aristocrazia inglese.
Durante questo viaggio che toccò Spagna, Malta, Albania, giunse ad Atene dove, si dice, strinse una relazione col cognato del pittore romano Giovan Battista Lusieri.
Durante il proprio soggiorno in Grecia, compose Hints from Horace e The Curse of Minerva; due poemi ispirati all’arte e alla cultura classica.
Nel 1811 tornò in Inghilterra dove subì pesanti lutti. Prima la morte della madre e poi la morte dei suoi due più cari amici Charles Skinner Matthews e John Edleston. L’anno seguente, si rese celebre alla Camera dei Lord per alcuni suoi interventi di particolare veemenza contro la repressione del luddismo: il movimento operaio nato per contrastare l’introduzione delle macchine nella produzione industriale.
Nello stesso periodo mandò alle stampe Childe Harold’s Pilgrimage, nel quale raccontava, attraverso le gesta del personaggio di Aroldo, i luoghi visitati, i luoghi comuni e le avventure licenziose.
Lo scritto suscitò così tanta curiosità e fascinazione che divenne uno dei testi più letti nei salotti londinesi.
Il successo però, si sa, a volte può dare alla testa.
Byron iniziò ad adottare un atteggiamento più sprezzante e arrogante.
Iniziò ad atteggiarsi da dandy e a costruire la sua fama di bel tenebroso, accrescendo il fascino intorno a sé e ad essere ammesso sempre più frequentemente negli ambienti dell’alta società, dove conobbe Caroline Lamb, la dama più in voga a quel tempo, con cui ebbe una relazione della quel la donna si pentì amaramente descrivendo poi Byron come <<pazzo, cattivo e pericoloso>>.
Mentre intrecciava la relazione con la Lamb, Byron iniziò una relazione con la sorellastra Augusta, già sposata con George Leigh e con la quale ebbe una relazione fisica e sentimentale dalla quale nacque una figlia, Medora Leigh, battezzata col cognome del marito di Augusta.
Per sedare le voci su queste relazioni, Byron sposò Anne Isabelle Milbanke dalla quale ebbe una figlia Ada; ma il matrimonio naufragò dopo poco tempo, tanto che la moglie chiese ufficialmente il divorzio.
Alle vicende coniugali ed extraconiugali, si aggiunsero le voci sulla bisessualità di Byron e i relativi scandali che indussero l’alta società inglese e i pari della Camera dei Lord ad allontanare e isolare Byron che decise di firmare le carte del divorzio e abbandonare per sempre l’Inghilterra.
Giunto a Ginevra, andò a vivere a Villa Diodati, famosa per la notte in cui Mary Shelley scrisse il Frankenstein (se vi interessa, ne ho parlato in un post precedente).
Dopo il soggiorno svizzero, Byron visitò l’Italia stabilendosi prima a Milano e poi a Venezia dove la propria casa sul Canal Grande divenne una sorta di Harem.
Il suo viaggio proseguì verso Roma e poi a Ravenna, dove conobbe Teresa Guiccioli, già sposata.
La relazione con la Guiccioli ebbe una buona influenza su Byron che iniziò a cambiare il proprio stile di vita. Divenne attivo nella Carboneria contro la Santa Sede; cosa però che lo costrinse a fuggire prima a Pisa, dalla quale scappò a seguito di una rissa tra un suo domestico e un militare, poi a Livorno dove iniziò ad alimentare il suo senso di lotta contro le tirannie ma dove subì anche la perdita dell’amico Percey Shelley, morto al largo di Viareggio.
Nel 1823, persuaso dall’amico Hobhouse, aderì alla resistenza filo ellenica per l’indipendenza della Grecia dal dominio Ottomano.
Da quel momento iniziò a prendere attivamente parte alle battaglie e il 19 aprile morì forse a causa di una febbre, a Missolungi.
Dalle sue gesta nacque il mito dell'”Eroe Byroniano”: un personaggio idealizzato ma imperfetto, i cui attributi includono: grande talento e passione, avversione per la società e le sue istituzioni, mancanza di rispetto per l’alto rango e i suoi privilegi, un ribelle, talvolta arrogante, spesso condannato all’esilio e tormentato da un passato doloroso. È un uomo presuntuoso o con mancanza di lungimiranza, spesso in preda a comportamenti auto-distruttivi.