La festa in tavola. Il ruolo della gdo nel calendario alimentario

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Conosciamo tutti il tempo di Quaresima, diventato proverbiale, ma in realtà i tempi in cui il consumo della carne era inibito erano abbastanza diffusi....

La tradizione alimentare è molto importante. Il calendario agrario tradizionale (cfr Grimaldi, 1996), veniva suddiviso in tempi grassi ed in tempi magri, ovverosia in tempi in cui si poteva consumare la carne, ed in tempi in cui era vietata. 

Conosciamo tutti il tempo di Quaresima, diventato proverbiale, ma in realtà i tempi in cui il consumo della carne era inibito erano abbastanza diffusi. Carnevale, etimologicamente Carnem – levare – quindi togliere la carne, è forse la festa “grassa per eccellenza”, e gli ultimi giorni di questo periodo festivo, il cui inizio è dibattuto (c’è chi lo colloca dopo l’Epifania ed il ciclo dei dodici giorni, chi lo fa coincidere con le due settimane antecedenti al Mercoledì delle ceneri e chi lo fa iniziare con sant’Antonio Abate, il santo che sovrintende la macellazione), sono appunto definiti “grassi”. Il giovedì grasso è la giornata in cui si mangiano frittelle, polenta e salamini, risotto e tutti i piatti carnascialeschi. Piatti che devono la propria origine dalla necessità di consumare il più velocemente possibile le parti più deperibili del maiale appena macellato. 

Questo calendario tradizionale, fatto di piatti tipici che scandiscono gastronomicamente le nostre festività, è sempre stato molto importante e scandisce ancora oggi le nostre vite. 

La differenza è che il ruolo di “orologio” è stato preso dalla gdo, la Grande distribuzione organizzata, che ha sussunto – e modificato anche profondamente – il calendario rituale. Facciamo qualche esempio: fino agli anni ’90 i primi panettoni venivano tradizionalmente esposti a partire dall’8 dicembre. Ora questa data è stata profondamente spostata all’indietro. Sono i centri commerciali, i supermercati, che scandiscono il ritmo della nostra vita: andando oltre Appaduraj e la sua teoria dei flussi, una delle teorie sulla globalizzazione più interessanti e sfaccettate, che vede dei “flussi” o panorami di cultura, tanto che possiamo ipotizzare e teorizzare senza problemi un “food-scape”, in italiano “ciborama”. 

La teoria dei flussi di Appaduraj, è giusto accennarla, non vede la globalizzazione come un “diventeremo tutti americani”, con un “flusso di civiltà” che procede da Ovest ad Est, quando piuttosto un insieme di varie tendenze e flussi che si intersecano tra di loro. Ad esempio il flusso della tecnologia: l’arrivo di iPhone, nel 2008, ha radicalmente cambiato le nostre vite, così come Netflix ha cambiato il nostro modo di vedere e consumare la tv.

Questo accade anche nel mondo del cibo. Qualche anno fa, a Masterchef, ha vinto un ragazzo appena maggiorenne, Valerio Braschi, presentando un menù fusion. Ormai tutti i centri commerciali, anche i più piccoli, offrono cibo etnico.

Pensiamo ad esempio a due casi interessanti: il supermercato, con reparti etnici molto estesi e persino angoli dove si prepara il sushi “live”, spettacolarizzando la preparazione del cibo (una tendenza che troviamo anche nelle cucine stellate) e le cosiddette food court, dove troviamo l’etnicizzazione del cibo fast. Settimana scorsa, a Torino Lingotto, in occasione del Salone del libro, sono salito alla food court. Ed ho trovato un mondo molto interessante, il cui comune denominatore era la velocità del consumo del pranzo. E, nel giro di poche decine di metri, si poteva fare letteralmente il giro del mondo: pizzerie e piadinerie italiane, ma anche grandi catene americane come Burger King, Mac Donald’s e Domino’s pizza, insieme agli immancabili negozi asiatici con sushi e poke bowl, uniti ad alcune hamburgerie gourmet o la rivendita di pizza e kebab, per non parlare delle specialità alsaziane.

Come rientra in questo contesto il discorso della festa? Semplice: i centri commerciali hanno assunto – e la situazione era evidente soprattutto prima del Covid – il ruolo di luoghi di loisir, di piacere. Outlet e centri commerciali sono a tutti gli effetti luoghi di turismo, seppur in senso lato, che accolgono più persone di molte città d’arte italiane. In questo contesto Vicolungo batte Vercelli 6-0 6-0 6-0. Ed ecco quindi che l’esoticità del centro commerciale diventa occasione di convivialità “fast”, occasione di turismo enogastronomico edulcorato, svago alimentare a basso prezzo.

Ma torniamo un attimo al nostro calendario rituale sussunto dalla gdo. Sono molti i piatti che venivano preparati solo in determinate occasioni, ed addirittura ci sono piatti che si “tengono da parte” per una festa successiva. Ecco quindi che tradizionalmente si conserva il panettone per mangiarlo a san Biagio. 

Oggi, nel mondo della Gdo, questo non è più possibile, ed il calendario tradizionale alimentare ha subito una fortissima accelerazione. 

Natale, con il suo tripudio di pandori e panettoni, cede rapidamente il passo alle chiacchiere ed alle bugie di Carnevale, che vengono sostituite ben prime del Mercoledì delle ceneri da Colombe e uova di Pasqua, che già il Lunedì dell’Angelo diventano prodotti buoni per il reparto “promo”. Senza dimenticare la parentesi di cioccolatini e torte a forme di cuore di San Valentino, topos ripreso per festa della mamma e, in minor misura, per la festa del papà. Quindi, mentre nel calendario tradizionale avevamo ad esempio le varie feste patronali, sono stati introdotti nuovi trend alimentari (con in mezzo un po’ di promozioni varie per promuovere il territorio), si passa a Ferragosto, non più la festa dell’Assunzione di Maria, quanto piuttosto la celebrazione di griglia e barbeque, per poi arrivare alle sagre autunnali (con la valorizzazione dei prodotti quali i funghi e le castagne, in occasione di ottobre). E ad ottobre è “tornata” la festa di Halloween, interessante (cfr Ciurleo, 2022B) esempio di festa fatta uscire dalla porta e rientrata dalla finestra. Una valanga di dolci e dolciumi e costumi orrorifici (gli stessi che verranno riciclati a Febbraio negli allestimenti di Carnevale) popola i reparti stagionali della gdo, fino al 1 novembre quando si passa direttamente all’allestimento di Natale. Le caramelle vengono messe da parte e ritirate fuori dal 26 dicembre giusto in tempo per la preparazione delle calze della befana! E timidamente, molto timidamente, sta arrivando anche San Patrizio nel calendario promozionale della gdo. A far da traino, anche in questo caso, il mediascape delle serie tv made in Usa, molto più potente della comunità irlandese che, almeno in Italia, è percentualmente molto limitata.

E’ proprio il mediascape quello che determina il calendario alimentare festivo: pur essendoci una comunità araba o cinese molto diffusa sul territorio italiano, i supermercati non fanno promozioni halal per la fine del Ramadan, né vendono “torte della luna” per il capodanno cinese. Perché? In parte la risposta è data dal bacino di utenza limitato: la comunità musulamana si serve per il cibo festivo dalle macellerie halal, che macellano l’animale avendo cura di togliere quasi tutto il sangue, e quella cinese è una comunità la cui migrazione è da sempre “close knit”, molto chiusa ed acquartierata.

Se un tempo valeva il detto noi siamo quello che mangiamo, oggi vale il detto “noi siamo quello che compriamo” (o che gli altri vorrebbero comprassimo). Ed è sintomatico che non sia più “la tradizione” a dirci cosa mangiare e quando, quanto piuttosto il “foodscape”, aiutato anche dalle figure dei cosiddetti “chef – filosofi” che pontificano dalle loro cucine e, cosa ancor più preoccupante, dai loro bagni…

BIBLIOGRAFIA

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