Il santuario dell’eremita che (forse) fu cavaliere

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Inizialmente l’eremita Guglielmo fu la vittima prescelta delle burle di alcuni pastorelli che, dovendo ingannare le lunghe ore di guardia alle greggi, si divertivano a lanciargli dei sassi....

Siamo all’imbocco della Valle Spluga, o Val San Giacomo, una manciata di chilometri dopo Chiavenna, tra il nucleo abitato di San Giacomo Filippo e il Santuario di Gallivaggio. Sulla sponda destra del torrente Liro sorge un piccolo santuario a ridosso di una parete rocciosa. In facciata si trova una nicchia con una statua raffigurante un uomo con la barba in abiti da eremita. In mano regge un teschio e ha un elmo appoggiato ai piedi.
Sull’architrave sottostante si legge S. Guglielmi aequitis et eremitae. Dunque, il santuario è dedicato a un tale San Guglielmo, cavaliere ed eremita. Ma chi era tale san Guglielmo? Come vediamo, la devozione popolare lo ha voluto cavaliere ed eremita, secondo una tradizione cara alla Chiesa: cavaliere ed eremita fu San Galgano Guidotti (il cavaliere della “spada nella roccia” di Chiusdino), così come lo fu San Guglielmo da Malavalle e il beato Sante Brancorsini.
Anche lo stesso San Francesco d’Assisi fu cavaliere prima della conversione. Il connubio tra armi e ascesi per la Chiesa rappresentava il servizio perfetto alla causa divina. All’origine di questa interpretazione del nostro San Guglielmo c’è lo scritto Croniche della città di Como (1619) di Francesco Ballarini, arciprete di Locarno. Nelle sue note scrive che il beato Guglielmo “fu d’Orenga, overo Orangia Principato nella Francia”.
Quindi, la tradizione che fa capo al Ballarini vede nel nostro San Guglielmo un Orange, rampollo di uno dei più illustri nobili casati d’Europa. Un documento datato 1391, redatto in occasione della traslazione delle sue spoglie dal sepolcro nella grotta in cui visse da eremita all’altare maggiore del vicino santuario, da poco edificato, si indica il 1080 come data della sua morte. La sua figura venne quindi identificata con quella di un cavaliere al servizio dell’Imperatore Enrico IV, che avrebbe lasciato l’esercizio delle armi per venire in Val San Giacomo ad abbracciare l’esercizio della più dura ascesi.
Tuttavia, una corrente di storici, sulla scia di don Tarcisio Salice, ha compiuto un rigoroso lavoro di indagine; colloca la morte del Santo intorno al 1290 ed esclude che si trattasse di un Orange e addirittura che fosse un cavaliere. Quell’”Orenga” è probabilmente legato al casato dei de Orenga, famiglia di Menaggio e capitani arcivescovili delle pievi di Dervio e Bellano. Qualunque sia la realtà, la devozione popolare circondò la sua figura di leggende. Secondo i racconti tramandati di generazione in generazione, all’inizio, san Guglielmo si era stabilito sulla riva sinistra del torrente Liro, poco più a monte di San Giacomo Filippo.
In questo luogo sorge ancora una cappella a lui dedicata. Inizialmente l’eremita Guglielmo fu la vittima prescelta delle burle di alcuni pastorelli che, dovendo ingannare le lunghe ore di guardia alle greggi, si divertivano a lanciargli dei sassi. L’eremita, però, a un certo punto perse la pazienza e si decise ad abbandonare il luogo. Scendendo verso Chiavenna incontrò un tale del posto e gli raccontò la storia delle burle e della decisione di andarsene. Il tale lo pregò di restare, altrimenti la valle sarebbe stata colpita da immense sciagure. Colpito da tali parole, Guglielmo scelse di restare, ma in un luogo più appartato: la grotta che ora è stata inglobata nel suo santuario. Secondo un’altra versione, il santo si diresse verso il passo dello Spluga e invitato a restare dai pastori che stazionavano nei pressi del passo. Guglielmo non aveva molto da offrire, se non un poco di vino della sua borraccia.
Quando la passò ai pastori, il vino non cessava di riempire le loro coppe, e nella borraccia ne rimaneva ancora. L’eremita fu autore di un altro prodigio: fece sgorgare nei pressi del santuario una sorgente curativa, in grado di operare miracolose guarigioni.
Dunque, Guglielmo non lasciò più la valle e si stabilì presso la grotta, dove trascorse in ascesi il resto della sua vita. Dopo la sua morte, fu un gruppo di pescatori di Chiavenna che si procuravano del pesce lungo il Liro a trovare il suo corpo. Pensarono subito di portarlo nella loro chiesa, quindi si mossero in fretta a passare il fiume ma, una volta varcato il ponte, si accorsero di trovarsi ancora al punto di partenza. Più volte ritentarono l’impresa e altrettante volte si ritrovarono nello stesso luogo. Capirono dunque che il desiderio del Santo era rimanere lì dov’era sempre vissuto e dove era morto. Ma la contesa per le spoglie mortali del santo non finì qui. Altre leggende dicono che vennero nobili genti fin dalla Francia per portarsi via il santo cavaliere, e nessuno osò opporsi. Presero il corpo del Santo e varcarono il ponte sul Liro. Tuttavia, a un tratto, dovettero ritornare sui loro passi: erano diventati tutti ciechi. A tentoni, ritornarono alla grotta e riacquistarono la vista. Ma capirono che era lì che il Santo voleva stare.
Anche gli abitanti di San Giacomo vollero assicurare una sepoltura all’eremita Guglielmo, e pensarono di edificare una chiesa nel luogo che il santo aveva scelto come primo eremo. Iniziarono il lavoro, ma tutto quello che di giorno veniva costruito, la notte veniva smontato e riportato alla grotta in riva al fiume. Anche loro capirono che era quello il posto che il santo aveva scelto.
Sono numerosi i prodigi attribuiti al Santo, alcuni dei quali raccontati nel 1686 dal canonico Giovan Giacomo Macolino: un piccolo in fasce, caduto dal ponte, restò illeso, Cecilia Pestalozzi di Chiavenna fu da bambina guarita dalla scabbia e si fece poi monaca a Como, Lorenzo Sciaini di Isola, abitante a Chiavenna, fu guarito nel 1683 da un grave gonfiore alla gola, che rendeva affannoso il respiro, ed una donna nel 1684 fu guarita “da gagliardi humori in tutto il corpo”. Così accadde alle soglie della Val di Giüst, e questo si ricorda ancora oggi ogni anno, quando il 28 di maggio si celebra la ricorrenza del santo.
La chiesa primitiva sorse sulla grotta in cui morì l’eremita Guglielmo, prima del 1327. L’edificio venne successivamente ampliato e modificato all’inizio del XVII secolo. Ora si presenta come una costruzione ad aula unica con facciata a capanna e decorato tra il 1613 ed il 1616 con affreschi. Quelli del coro raccontano la vita del santo e sono in gran parte opera di Giovanni Battista Macolino il vecchio (nato a Gualdera di Fraciscio, sopra Madesimo, nel 1604 e morto a Chiavenna nel 1673); uno degli episodi (San Guglielmo creato cavaliere) è invece opera di suo figlio, Giovanni Battista Macolino il giovane (morto a Chiavenna nel 1696). Nella navata si trovano altri affreschi rappresentanti Maria con il Bambino e altri Santi, lo sposalizio della Vergine e il Matrimonio Mistico di Santa Caterina. Sono presenti anche due raffigurazioni di San Guglielmo in abiti da cavaliere.

BIBLIOGRAFIA

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