Biasca sorge alla confluenza delle valli del torrente Brenno (la val di Blenio) e del Ticino, in quel territorio che oggi viene chiamato Riviera. Immediatamente riconoscibile a chiunque si avvicini al paese è la pieve romanica dei Santi Pietro e Paolo, in posizione sopraelevata. Sebbene in territorio elvetico, dal punto di vista pastorale le valli di Blenio e di Leventina e la regione di Riviera erano di competenza della diocesi milanese.
San Carlo che, nella sua instancabile attività, aveva dato il via alla prassi delle visite pastorali, visitò più volte le valli ticinesi, poiché la vicinanza con i territori di fede luterana le rendeva più vulnerabili.
Il 25 ottobre del 1567 Borromeo compì la sua prima visita a Biasca. Qui fu accolto dal prevosto della collegiata, Battista Tonietti, e da quattro canonici del capitolo.
Egli constatò una situazione di malcontento nella popolazione per l’assenza di canonici che non vi risiedevano regolarmente , nonché una condotta non proprio esemplare dello stesso prevosto.
Al termine di questa visita, il Borromeo attuò alcune riforme importanti, tra cui, per la pieve di Biasca, la suddivisione nei tre vicariati foranei.
A questa visita ne seguirono altre quattro compiute personalmente da san Carlo, nel 1570, 1577, 1581 e 1582, durante le quali stabilì alcune trasformazioni nella chiesa di San Pietro.
Come sappiamo, l’Arcivescovo morì il 3 novembre 1584.

Due anni dopo, prevosto di Biasca fu eletto Giovanni Basso, che già da due anni era vicario arcivescovile della Val Leventina, dove resterà anche in qualità di visitatore delle Tre Valli sino alla morte.
Questi, dopo la morte di Carlo Borromeo, si era proposto di tramandare la memoria e le visite a Biasca dell’allora arcivescovo di Milano. Questa gratitudine era anche dovuta al fatto che fu Carlo stesso ad ammetterlo e a mantenerlo a proprie spese in seminario a Milano. Inoltre, il cardinale lo aveva più volte elogiato.
Alla morte del Santo, ritenne opportuno convocare la comunità ecclesiale della Leventina per celebrare un solenne rito funebre durante il quale tenne un discorso commemorativo.
Il Basso pensò quindi di scrivere un libro comprensibile a chiunque: una storia dipinta con immagini parlate. Volle far dipingere nella pieve dei Santi Pietro e Paolo a Biasca gli episodi della vita e delle visite nelle Valli di San Carlo.
Il Basso probabilmente si ispirò ad alcune incisioni già circolanti all’epoca e chiese al pittore bellinzonse Alessandro Gorla di affrescare queste immagini su una parete della chiesa.
L’affresco venne completato nel 1620.
Il ciclo della Vita di san Carlo Borromeo in San Pietro a Biasca costituisce il frutto di un’autonoma elaborazione della tradizione religiosa e artistica locale fiorita in ambito periferico. Il Basso, che può essere considerato il committente, non intendeva creare un’opera d’arte, il suo era un progetto didascalico e ammonitore, un ricordo dovuto al suo grande protettore e benefattore, in modo che la gente delle Tre Valli ambrosiane ricordasse per sempre quanto il Santo fece per loro in uno dei periodi più tormentati della storia ticinese.

Non voleva certo competere con i raffinati dipinti già presenti nella pieve di Biasca, per questo, anche per carolina Humilitas, chiese a un pittore di modesta fama di dipingere le Storie di san Carlo in un luogo appartato, sulla parete meridionale, quasi nascosto, per favorire devozione, contemplazione e raccoglimento.
Il numero dei riquadri, dodici, dà un’informazione parziale della biografia del Santo: alcuni sono comuni ad altri cicli simili (nascita e giovinezza di san Carlo, San Carlo al Sacro Monte di Varallo, popolarità, miracoli e morte del Santo), altri, invece, possono considerarsi unici e originali per il loro diretto riferimento alla presenza di san Carlo nelle Tre Valli ambrosiane.
I dodici riquadri, di differenti dimensioni, sono accostati uno all’altro con una disposizione del tutto arbitraria, non in ordine cronologico.
Stupisce che a pochi anni dalla canonizzazione del Borromeo (1610), questo ciclo che concerne la vita del Santo sia stato realizzato così rapidamente, come se le rivendicazioni dottrinali decise dal Concilio tridentino dovessero essere realizzate in modo deciso, senza esitazioni.
In effetti, il progetto figurativo del prevosto Basso non si basava esclusivamente sul desiderio di venerazione e di riconoscenza, ma voleva mostrare un collegamento con due punti fondamentali deliberati contro i Protestanti dal Tridentino: il culto dei santi e l’uso delle immagini.
Proprio per questo motivo, la raffigurazione centrale e di maggior grandezza è la Ripresa e conclusione del Concilio di Trento, che si svolse nel 1562 e nel 1563. La didascalia nella cornice inferiore riassume: «Con la diligenza di S. Carlo il Concilio Tridentino è finito; et esequito confutati gl’errori contra la s. fede riformate le chiese et clero».