La notte tra il 20 e 21 agosto 1911, il Louvre era deserto e nell’oscurità un’ombra si avvicinò alla tela della Gioconda di Leonardo.
Il 21 agosto, lunedì, il museo era chiuso e del furto nessuno ne saprà fino al martedì successivo quando un disegnatore chiederà di poter riprodurre la tela a porte chiuse.
Ma solo il giorno seguente fu denunciato il furto; anche perché ai tempi non era insolito che un dipinto venisse spostato per essere fotografato e quindi la sua assenza non creò subito scompiglio.
La polizia iniziò a brancolare nel buio.
Uno dei primi sospettati fu il poeta Apollinaire che nei periodi precedenti aveva dichiarato di voler distruggere tutte le opere di tutti i musei per sostituirli con l’arte nuova. Ma si scoprì presto che fu vittima di una calunnia.
Un altro illustre sospettato fu Pablo Picasso ma anche lui, come nel caso di Apollinaire, fu rilasciato per mancanza di prove.
A quel punto, i sospetti della polizia presero una svolta internazionale: l’Impero tedesco.
In quegli anni la Germania era nemica della Francia e il furto del dipinto più famoso del Louvre poteva rientrare in una strategia dell’Impero tedesco e quello poteva essere un furto di Stato.
Ma mentre le autorità vagliavano ogni ipotesi, cresceva sempre di più la polemica per le blande misure di sicurezza.
Si scoprì che l’unica misura di sicurezza adottata fu addestrare le guardie al Judo.
A quel punto non riuscendo a cavare un ragno dal buco, le autorità e la direzione del museo, ritennero che la Gioconda dovesse essere perduta per sempre.
Al suo posto venne messo il ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello (passare dalla Gioconda a un uomo barbuto, non era il massimo…
La Gioconda aveva preso il largo verso… Dumenza! A Luino.
Il ladro infatti era Vincenzo Peruggia.
Originario di Dumenza, era emigrato in Francia dove iniziò a lavorare come imbianchino; professione che gli procurò un’intossicazione da piombo.
Successivamente venne assunto da una ditta che si occupava di manutenzione artistica e aveva iniziato a lavorare al Louvre come operaio nella manutenzione dei dipinti.
La conoscenza del luogo e la possibilità di potersi avvicinare indisturbato ai quadri, gli permisero di compiere il furto senza problemi.
Si nascose in uno stanzino aspettando la chiusura del museo e da lì agì.
Staccò la Gioconda dalla parete e la nascose sotto l’impermeabile (per chi l’ha vista, la Gioconda non è molto grande).
Dopodiché scese le scale, chiese a un operaio di aiutarlo ad aprire una porta e senza problemi salì su un tram che poi scoprì essere quello errato. Scese e, sempre con calma, prese un taxi per tornare al suo appartamento, dove nascose la Gioconda in una valigia per portarla in Italia.
Per più di due anni la Gioconda rimase nascosta nel piccolo appartamento di Peruggia senza che nessuno si accorgesse di nulla.
Successivamente, il ladro tornò in Italia con la refurtiva e se la portò nella casa d’origine, a Dumenza.
Nel 1913 Peruggia però compì un errore: si recò a Firenze con l’intenzione di rivendere l’opera.
L’antiquario che l’aveva ricevuta, forse per dovere professionale o forse perché insospettitosi dopo una lettera di “riscatto” firmata da un certo “Leonardo”, chiamò un esperto che constatò che quella non era una copia ma la vera Gioconda.
Peruggia intanto era in giro per Firenze. Rintracciato, venne arrestato e, processato come “minorato mentale”, venne condannato a un anno e quindici mesi di prigione; divenuti poi sette mesi e quindici giorni.
Il suo avvocato basò la difesa sullo spirito patriottico, affermando che Peruggia volesse riconsegnare il dipinto all’Italia, credendo (erroneamente) che la Gioconda fosse stata trafugata da Napoleone. Tesi che suscitò simpatie e una certa ammirazione.
Visti i buoni rapporti che c’erano tra Italia e Francia, si decise di “approfittare” del sequestro della Monna Lisa per farle fare un tour tra i musei italiani.
Venne esposta prima agli Uffizi, poi all’Ambasciata di Francia a Roma, alla Galleria Borghese e alla Pinacoteca di Brera, prima di rientrare in Francia su un vagone speciale delle Ferrovie Italiane; accolta in pompa magna oltre confine e riportata con tutti gli onori al suo posto nel museo del Louvre.
