In un mio precedente articolo intitolato …IL GENOCIDIO DIMENTICATO DEL SECONDO REICH IN NAMIBIA, ho accennato al campo di concentramento di Shark Island.
Vorrei ora con questo scritto approfondire l’argomento.
Il campo di concentramento di Shark Island venne istituito dall’Impero tedesco dal 1905 al 1907 a Shark Island, nei pressi della città di Lüderitz in Namibia.
Aveva la funzione di concentrare in un unico luogo i prigionieri Herero e Nama in rivolta contro la politica coloniale che l’Impero tedesco stava attuando nel territorio in quel periodo.
Il campo venne soprannominato Todesinsel , “isola della morte”.
Dopo la sconfitta dei rivoltosi per mano del generale Lothar von Trotha nella battaglia di Waterberg, dell’agosto del 1904, venne attuata una strategia che aveva lo scopo di sterminare i superstiti per fame e per sete . Si cominciò avvelenando o presidiando i loro pozzi.
Non ottenendo i risultati sperati, nel dicembre del 1904, il Cancelliere Bernhard von Bülow ordinò a Von Trotha di radunare tutti gli Herero superstiti e di rinchiuderli in campi di concentramento, se necessario con la forza.
L’isola di Shark Island, nella baia di Lüderitz, fu selezionata come sito ideale per istituire uno di questi campi.
Shark Island era ritenuta inespugnabile.
Sin dalle fasi iniziali di attività del campo, furono numerosi i decessi che si verificarono: alla fine del mese di maggio di quello stesso anno, fu registrata la morte di 59 uomini, 59 donne e 73 bambini.
A rendere particolarmente complicata la sopravvivenza sull’isola era la stessa inospitalità del posto, con un clima molto freddo a cui le popolazioni trasferite lí non erano sicuramente abituate. Nonostante l’alta mortalità che fu registrata fin dalle prime fasi, le autorità tedesche continuarono con i trasferimenti, soprattutto per portare a compimento la costruzione di una ferrovia che avrebbe dovuto collegare Lüderitz con Aus.
Quando le voci sulle condizioni di vita Shark Island si sparsero, molti prigionieri catturati e destinati all’Isola, preferirono togliersi la vita prima di arrivarci.
Nel settembre del 1905, il quotidiano sudafricano Cape Argus riportò la descrizione che un trasportatore, che aveva lavorato nel campo all’inizio di quell’anno, aveva reso delle terribili condizioni cui erano sottoposti i prigionieri: «Le donne che sono catturate e non giustiziate sono obbligate a lavorare per i militari come prigioniere… ho visto molti di loro a Angra Pequena (cioè Lüderitz) posti ai lavori più duri, e così affamati da essere niente altro che pelle e ossa […] Non ricevono quasi nulla da mangiare, e li ho visti spesso raccogliere pezzetti di cibo gettati via dai trasportatori. Se colti nel farlo, vengono frustati.»
In breve tempo crebbe il numero degli stupri ai danni delle prigioniere da parte dei soldati.
La maggioranza dei casi rimase impunita.
Nel frattempo aumentarono i trasferimenti sull’isola; alla fine del 1906 i Nama imprigionati erano circa 2000.
I prigionieri internati a Shark Island erano destinati ai lavori forzati durante tutta la durata della loro presenza al campo.
La pesantezza del lavoro causava ogni giorno circa 7-8 decessi, causati sia dalle malattie che dalla fatica.
A testimonianza della situazione, alla fine del 1906, un tecnico tedesco si lamentò che la forza lavoro originaria di 1600 unità Nama si era ridotta in pochi mesi a 30-40 operai.
I lavori forzati terminarono ufficialmente il 1º aprile 1908 quando agli Herero ed ai Nama fu revocato lo status di prigionieri di guerra.
In realtà la loro occupazione nei progetti coloniali continuò anche oltre.
Iniziò una fase di studio e sperimentazione.
Questa esperienza serví successivamente alla Germania nei campi di concentramento in Europa.
Per supportare gli scienziati nei loro studi, le donne catturate erano costrette a bollire le teste dei detenuti deceduti ed a raschiare via i rimasugli di pelle e occhi con frammenti di vetro, per prepararli perché fossero analizzati nelle università tedesche.
Eugen Fischer, un medico tedesco che successivamente divenne noto per aver contribuito agli studi sull’eugenetica nazista durante il Terzo Reich, utilizzò i cadaveri dei prigionieri per attestare l’inferiorità degli africani rispetto agli europei.
Nel 1907 il Maggiore Ludwig von Estorff, decise di chiudere il campo dopo averlo visitato.
I prigionieri furono trasferiti in un’area aperta presso Radford Bay. Sebbene i tassi di mortalità nel nuovo campo rimanessero all’inizio ancora alti, col tempo diminuirono sensibilmente.
Il numero preciso dei morti al campo rimane tutt’ora sconosciuto. Un rapporto dell’ufficio coloniale dell’Impero germanico stimò che morirono circa 7682 Herero e 2000 Nama in tutti i campi presenti nell’Africa Tedesca del Sud-Ovest, la maggior parte dei quali era internata a Shark Island.
Tenendo conto di tutto il periodo di attività del campo, si stimò che le vittime furono circa 3000.
Considerando anche di altri prigionieri detenuti altrove nella baia di Lüderitz, il totale potrebbe superare i 4000.
La maggior parte di questi decessi fu imputabile a malattie quali il tifo e scorbuto, aggravate dalla malnutrizione, dal lavoro eccessivo e dalle insalubri condizioni di vita.
Una delle poche testimonianze sulla vita a Shark Island si deve a un cercatore di diamanti, Fred Cornell, che dichiarò: “Freddo – perché le notti spesso sono terribilmente fredde lì – la fame, la sete, i maltrattamenti, la malattia e la follia reclamavano decine di vittime ogni giorno, e ogni giorno venivano caricati carri con i loro corpi… sepolti in pochi centimetri di sabbia durante la bassa marea, e quando arrivava l’alta marea i corpi venivano fuori, cibo per gli squali”.
Nel 2011, i musei tedeschi hanno iniziato a rimpatriare i teschi delle vittime dei campi di concentramento, utilizzati dagli scienziati della razza per i loro studi. In seguito il ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier, ha definito quanto accaduto in Namibia “un crimine di guerra e un genocidio”.