In quell’estate del 1944 a Sant’Anna di Stazzema, un piccolo paese a poco più di 600 metri di altezza nelle Alpi Apuane, gli abitanti, erano circa 2.000, fra residenti e sfollati in cerca di un riparo.
Un’unica strada conduceva al piccolo abitato: tante curve, una chiesa, la piazza, pochi casali sparsi, il bosco.
Il 12 agosto, il giorno in cui persero la vita, orribilmente trucidate, 560 persone, Ennio Mancini aveva 6 anni.
Viveva con mamma, papà, la nonna e un fratello in località Sennari a Sant’Anna.
All’alba di quel giorno, il sig. Mancini era pronto per andare a lavorare nelle vicine miniere di ferro e pirite, quando dalla finestra vide avvicinarsi i tedeschi. La famiglia cercò di fuggire ma appena fuori casa furono raggiunti dai soldati che, a calci e spintoni, li spinsero verso la piazza della chiesa.
La famiglia di Ennio faticava a tenere il passo, tanto che indugiarono un pochino, rimanendo staccati dal resto del plotone. A sorvegliarli c’era solo un giovane tedesco che non appena si accorse che nessuno li guardava, indicò loro di tornare indietro.
Si salvarono tutti.
Quello che accadde dopo lo conosciamo bene, morte dolore e distruzione lasciarono in quel piccolo paese un segno indelebile.
Ennio perse gli amici di sempre, i parenti, i vicini.
Il fuoco aveva distrutto tutto.
Ennio è cresciuto.
Ha studiato a Pisa, poi a Massa Carrara. Ha trovato lavoro anche lui nelle miniere di Valdicastello, dove ha fatto carriera.
Nel 1971 ha fondato, con altri sopravvissuti all’eccidio di Stazzema, l’Associazione Martiri, per non dimenticare quella tragica giornata…
