Quel giorno sul monte Legnone….

Tempo di lettura: 10 minuti

La montagna di cui vi vorrei raccontare la salita è il monte Legnone, una cima di 2609 metri, che si alza solitaria e apparentemente austera sul lago di Como e sulla Valtellina, creando con il suo vicino molto più piccolo, il monte Legnoncino , una balconata di rara bellezza....

Fin dalla prima salita al Piz Boe’ nel gruppo del Sella, a 13 anni, tra le mie amate Dolomiti, ho raggiunto un sacco di cime, percorso sentieri, arrampicato su rocce scivolose e verticali, ramponato su ghiacciai ancora estesi e maestosi.
Ogni avventura l’ ho impressa nel cuore, di ognuna ho un ricordo. Nella mia mente riaffiora una caratteristica che l’ha segnata rendendola unica.
Con grande emozione, ne vorrei raccontare una che, per una sua particolarità, è per me indimenticabile. Prima però chiedo a voi che mi leggete, credete ai sogni premonitori? Credete a quelle sensazioni strane, inspiegabili , che ti tornano la mente prima di una salita, e che magari, forse vi è capitato, ti salvano la vita o, almeno, evitano che tu ti faccia male?
La montagna di cui vi vorrei raccontare la salita è il monte Legnone, una cima di 2609 metri, che si alza solitaria e apparentemente austera sul lago di Como e sulla Valtellina, creando con il suo vicino molto più piccolo, il monte Legnoncino , una balconata di rara bellezza.
Prima però vi devo spiegare alcune cose che determineranno molto l’ atmosfera e situazioni di questa gita.
L’ anno era il 2015 e una mattina di gennaio, giorno che vorrei cancellare dal calendario, alle 4 di mattina, mi giunge una telefonata .
Mi avvisano che mio fratello minore, quello a cui, probabilmente per ragioni d’età, ero più legato, è stato trovato morto, suicida. Si è impiccato.
Solo in seguito si saprà che ha fatto quel gesto a causa di debiti accumulati giocando con le slot machine.
Mi permetto una divagazione.
Come può una società, uno stato serio, al servizio del cittadino, da una parte guadagnare su un vizio e dall’altra spendere dei soldi per curarne le conseguenze…


Ovviamente non è una scusa per quello che ha fatto mio fratello, però per me è un dubbio legittimo. Un po’ come col fumo… si guadagna sulla produzione di sigarette e si spendono capitali per curare i tumori.
Comunque… questo evento per me è stato una mazzata, non riuscivo a crederci, mi mancava perfino il respiro, come se un treno mi avesse investito.
Non riuscivo neanche a piangere… ci sono riuscito solo scrivendo a getto queste parole, e allora le lacrime hanno cominciato a scorrere a fiumi:
“Ciao Piero..
ho bisogno di piangere, sento che le lacrime spingono per uscire e far sfogare un poco, la mia anima dilaniata, ma non ci riesco.
É come se mi fosse passato sopra un treno e da stamattina, prestissimo, quando me lo hanno detto, ho attimi in cui credo e spero che qualcuno mi venga a svegliare con due bei ceffoni…
Invece l’incubo continua, duraturo ed intollerabile, tanto è spaventoso quello che è accaduto. Quando si sente nominare la depressione, che poi porta a fare gesti insani, forse perchè la cosa non ci tocca direttamente, la si fa passare subito nel dimenticatoio, ma quando capita vicino a te, con la carne della tua carne, col sangue del tuo sangue, allora il tuo animo, nonostante cerchi mille scuse e scappatoie non sa darsi pace. Perchè non hai mai detto niente?? Mi avrai pensato lontano e assente nell’attimo estremo della scelta? Questi sono i pensieri che mi accompagneranno per molto tempo nel mio camminare sui sentieri impervi di questa vita, che non è sempre e per tutti buona e benigna.
Sai che quando giocavi al calcio io c’ero spesso e cercavo la tua maglia numero 5 e la ritenevo sempre la migliore, che quando sono nati i tuoi figli e sono mancati i nostri affetti più cari, noi ci siamo stretti nel nostro dolore, forse perchè vicini d’età , più degli altri…. Eppure non mi hai mai detto niente di questo male che ti tormentava, questa depressione che ti ha portato a farla finita.
Ci lasci in un mare di lacrime, insieme a tua moglie e ai tuoi figli e con un carico immenso di rimorsi..Perchè”?Perchè?
Nel mio dolore, ti voglio ricordare con la frase che mi hai detto 2 anni fa, quando per la prima volta ti ho convinto a venire con me in montagna, sotto la superba e bellissima mole del Sassolungo….
“SONO ARRIVATO A QUASI 50 ANNI, SENZA MAI AVER VISTO QUESTI PARADISI..HO SBAGLIATO TUTTO”…. Adesso che i paradisi, quelli veri, li percorri davvero, perdonami se ti ho fatto soffrire e con Giuseppe, Angelo, Papà e Mamma, stai sempre vicino a noi che hai lasciato orfani del tuo impagabile amore….
Ciao Pierangelo… mi manchi immensamente…”
Ancora oggi la rabbia per quel gesto, non mi è ancora passata e dal seguito del mio racconto, capirete che ha giocato, questa rabbia immensa, un ruolo importante a livello psicologico, nella salita e in particolare nella preparazione per affrontare questa cima.
I giorni successivi e la tragedia che ci ha toccato, ho dovuto ascoltare i commenti della gente sull’accaduto. Proprio come quando accade qualcosa di grave in montagna e nessuno risparmia cattiverie e stupidità.
Nel nostro caso tutti sapevano tutto, tranne noi e ogni volta, sentire certe parole, è sesto come avere un coltello girato nella piaga… causa un dolore pazzesco.
È per questo che mi arrabbio quando sento criticare quando qualcuno muore in montagna.
Nessuno pensa a chi è stato vicino, ha conosciuto e amato, chi è andato via, al dolore ricorrente, come se ce ne fosse già poco, di chi resta a piangere una mancanza e a convivere con bellissimi ma tristi ricordi.
Scusatemi per questa lunga e magari noiosa introduzione, ma credo la capirete proseguendo nel racconto.
Come vi dicevo, era gennaio e fino a dicembre, probabilmente per la rabbia che mi.pirtsvo dentro, non mi è mai capitato di vedere in sogno mio fratello.
Avrei davvero avuto voglia di ascoltare qualche parola o solo vedere un timido sorriso.
Desideravo tanto rivederlo perché sia io che miei fratelli non abbiamo potuto dargli l’ultimo saluto Punto secondo la legge soltanto i parenti più stretti, almeno per quanto ci hanno detto in ospedale, possono vedere la salma.
Mi restava quel grande desiderio di poterlo salutare.
Verso l’ inizio di dicembre, una notte, non solo ho sognato mio fratello Pierangelo, ma mi ha anche parlato. Era col mio papà, morto 3 anni prima. mi ha detto una frase semplice, che però mi ha riempito, nel sogno, di gioia… ” A Natale vieni a casa mia?? “
Nei giorni successivi non ho fatto molta attenzione a quelle parole se non la domenica, in cui con amici, ho voluto salire la cima del monte Legnone, una vetta che sognavo da anni.
Quell’anno non aveva ancora nevicato in quota sulle Prealpi, infatti il 6 dicembre la montagna aveva un aspetto autunnale. Una salita quasi estiva…
L’ unico problema e grande pericolo è arrivato proprio in alto, quasi sotto la vetta. Lassù una cresta, larga da un metro a due, molto esposta, con salti vertiginosi da ogni parte, i famosissimi metri finali, ci ha dato una sgradita sorpresa: vetrato a non finire a coprire ogni sasso, ogni roccia, fino in cima. Chi va in montagna, credo sappia cosa voglia dire camminare o arrampicare con sotto le mani o i piedi uno strato di ghiaccio durissimo e trasparente.
Davanti a me avevo un signore di una certa età, lento ma apparentemente molto esperto. Invece di attaccare la cresta ,seguendo quell’uomo, sono uscito sotto il pelo della cresta a sinistra.
Non l’vessi mai fatto…appigli e appoggi spioventi e obliqui verso il basso, pieni di ghiaccio bianco. Sotto di noi uno strapiombo terribile.
Fortunatamente, sono riuscito a riprendere la cresta e con mille precauzioni e il sostegno di un amico più furbo di me, avendo seguito il percorso originale, siamo arrivati alla croce di vetta, dove il panorama ci ha davvero estasiato.
In cima e non si può negare, c’ era in noi , la preoccupazione per la pericolosa discesa. Non so come la si possa pensare, ma in base alla mia esperienza, la discesa è sempre più faticosa e pericolosa della salita e il vetrato molto più insidioso.
Scivolare sul ghiaccio in discesa ti porta direttamente a volare nel vuoto.
In cima però, tra i tanti pensieri e una muta preghiera mi è tornata in mente la frase detta nel sogno sa mio fratello..: “A Natale vieni a casa mia?”.
Natale sarebbe arrivato dopo circa venti giorni…. quella frase era forse un avvertimento? La sua casa adesso dove era?
Quel pensiero mi ha scosso mi ha fatto porre maggiore attenzione al pericolo della discesa e forse… mi salvato la vita.
Ad un certo punto, quasi alla fine della cresta, quasi fuori dai pericoli, prima di scendere in un caminetto ghiacciato, ho notato un cavo d’ acciaio, probabilmente messo per aiutare chi sale. Non so perché e cosa me lo abbia fatto fare, io di solito evito di attaccarmi alle corde perché preferisco il contatto con la roccia nuda, mi ci sono aggrappato e credo, che quel gesto mi abbia salvato la vita.
I miei scarponi, tutti e due sono scivolati di sotto per due tre metri.
Solo il fatto di essermi aggrappato al cavo mi ha permesso, anche se con un bel colpo alle gambe, di fermarmi ad un terrazzino sottostante senza precipitare nel vuoto. Il mio compagno è sbiancato di colpo e per un po’ lo spaventoso gli ha tolto la parola.
A me è passato subito, non era la prima volta che arrivavo quasi al limite e forse non sarà l’ultima.
Le parole del sogno mi continuavano a ronzano nella mente. Io non ho mai creduto ai sogni premonitori ne ho mai giocato i numeri al lotto, ma da quella volta ho qualche dubbio sulle mie quasi certezze. Che mio fratello mi abbia voluto far sapere che, nonostante tutto , ovunque sia, mi vuole ancora bene? A me , anche se non del tutto, un po’ la rabbia è passata e spesso, sulle mie cime, nei miei sogni montani, nelle mie escursioni, ho un pensiero per lui….un pensiero e un desiderio impossibile. A me piace immaginare, fare voli pindarici con la fantasia e immaginarlo dietro di me che mi segue col suo inconfondibile sorriso e con la frase che mi diceva quando mi chiamava al telefono “so me”….sono io .
E allora le mie già splendide montagne avrebbero colori e sfumature ancora più affascinanti e meravigliose.


Articolo di Emiliano Ardigò

BIBLIOGRAFIA

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