L’impiccagione di Adolf Eichmann

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Non avevo mai visto un uomo impiccato. Avevo 26 anni, che ne sapevo?...

Quel in cui schiacciò il bottone, divenne un incubo indelebile nella memoria del giovane Shalom Nagar.
Era il 31 maggio 1962, poco prima della mezzanotte.
«Non avevo mai visto un uomo impiccato. Avevo 26 anni, che ne sapevo? Ero davanti a lui. Ho visto la sua faccia bianca, gli occhi fuori. Grandi, fissi, come se mi guardasse. Anche la lingua era fuori, insanguinata. Chiesi d’allontanarmi, ma il comandante disse no: “Non è un gioco, tiralo su e levagli il cappio”. Tremavo. Non sapevo che avesse aria nello stomaco, che potesse parlare ancora: è come con una radio, quando le stacchi la spina e per qualche secondo continua a funzionare… Eichmann era impiccato eppure biascicava ancora parole! D’improvviso, l’aria dello stomaco gli uscì col sangue. Mi soffiò in faccia. Pensai: “Oh no, sta per mangiarmi!”. Quando lo portammo alla fornace, per bruciarlo e cospargere le ceneri in mare, stavo male. Mi fecero accompagnare a casa. Mia moglie mi vide, ero tutto sporco di sangue. “Ma dove sei stato?”. Mi chiese. Lo sentirai fra qualche ora al notiziario…».
Shalom era stato uno dei secondini della prigione di Ramla, messo a guardia di Adolf Eichmann, uno dei grandi ricercati nazisti, rifugiatosi in Argentina dopo la fine della guerra. Coordinatore e responsabile delle deportazioni, organizzatore dei convogli ferroviari che andavano ad Auschwitz, venne rapito, dopo diversi tentativi, dal Mossad nel maggio del 1960.
Condotto nella prigione di Ramla, era sorvegliato da 22 persone, divise in cinque stanze, tutti Yemeniti e marocchini.
Fra loro c’erano anche tre ebrei europei, ma non gli era concesso entrare in contatto con lui.
Il giovane Shalom stava nella cella con lui e assaggiata i suoi cibi.
La paura era che l’avvelenassero. «Perché devo assaggiare io?», chiedeva al comandante che rispondeva ridendo: «Se perdiamo uno yemenita non è una gran perdita. Ma se perdiamo lui… C’è un processo internazionale…»
Il nome di Shalom fu estratto a sorte, in realtà lui non voleva eseguire quell’ordine, non se la sentiva ma il suo comandante gli rispose: «È un ordine. La sorte ha detto che tocca a te. Lo farai tu»
Il corpo senza vita di Eichmann venne cremato e le sue ceneri disperse in mare.
La sua morte significò molto per gli ebrei sopravvissuti alla Shoah e per quel giovane yemenita la cui vita non fu più la stessa.

BIBLIOGRAFIA

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