Lacey Spears, la madre che ha avvelenato suo figlio per avere consensi sui social

Tempo di lettura: 6 minuti

La cronaca di ciò che gli accade, le fotografie in ospedale, i resoconti dei ricoveri, scatenano attorno a lei un immane onda di solidarietà a cui lei si non può più rinunciare....

Sono venuta a conoscenza della storia che oggi vi vorrei raccontare all’incirca tre anni fa.
Stavo seguendo un programma in televisione e ad un certo punto è  iniziato un servizio dedicato a Lacey Spears, che ha catturato la mia attenzione.
Lacey  è una giovane mamma single, di circa 26 anni. Un aspetto comune, rassicurante, come quello di tante altre giovani americane.
Viso acqua e sapone, capelli biondi tagliati corti, occhi luminosi e brillanti, con un velo di tristezza nascosto nel profondo.
E’ nata e cresciuta a Decatur, in Alabama.
Si dedica alla cura del proprio bambino di 5 anni, Garnett Paul Spears, nato il 3 dicembre 2008, da una relazione che la giovane avrebbe avuto, almeno secondo quanto avrebbe raccontato, con un agente di polizia di nome Blake, che purtroppo  é stato ucciso in servizio.
Ma Lacey nasconde un oscuro segreto che nessuno conosce, neppure la sua famiglia. Un giorno sentendosi sola, quando Garnett era ancora piccolo, ha deciso di raccontare sui social la propria storia.
Posta una foto di se stessa con il piccolo in braccio e racconta di essere rimasta senza l’amore della sua vita a causa di un incidente stradale. Dal web arrivano per lei centinaia di messaggi di conforto, di comprensione, di sostegno, un vero e proprio abbraccio virtuale che per un attimo la fa sentire importante. Quella sensazione le piace, la fa sentire al centro dell’attenzione, la porta per un istante lontano da quella realtà quotidiana che da un po’ di tempo le sta davvero stretta.
Navigando nel web si accorge che le storie “strappalacrime” come la sua, quelle che arrivano direttamente al cuore del lettore, suscitano grande interesse e generano un’onda di conforto di cui lei si rende conto di essere affamata. Decide così di di raccontare sui social la sua storia e quella di Garnett.
Ma a questo punto si chiede una cosa: sarà abbastanza strappalacrime la sua storia? Sarà abbastanza interessante da continuare a mantenere vivo verso di lei l’interesse che quegli sconosciuti li avevano dimostrato?
Facebook, Twitter e MySpace diventano la sua famiglia virtuale, la sua vetrina di notorietà. Ogni giorno scrive quello che le accade e quando si rende conto che forse non è più sufficiente Perché i consensi cominciano a diminuire, decide di fare un’ulteriore passo.
Mette al centro dell’attenzione il figlio Garnett, che purtroppo non gode di buona salute.
La cronaca di ciò che gli accade, le fotografie in ospedale, i resoconti dei ricoveri, scatenano attorno a lei un immane onda di solidarietà a cui lei si non può più rinunciare.
La salute di Garnett è  cagionevole: colpito da un’infezione all’orecchio quando ha poche settimane di vita, il piccolo è costretto a subire frequenti ricoveri in ospedale. Ha spesso la febbre e ha anche problemi di alimentazione.

Lacey e Garnett


Lacey non risparmia la pubblicazione dei particolari sullo stato di salute di suo figlio.
Giovane mamma diventa blogger a tempo perso. Apre un blog dedicato alla cronaca dettagliata della sua estenuante ricerca di una cura per qualsiasi malattia lo affligga. Dopo qualche tempo, sperando di incontrare dei medici che riuscissero a migliorare lo stato di salute di suo figlio, Lacey decide di trasferirsi con Garnett in Florida per vivere con sua nonna materna, Peggy.
Ma anche qui sembra che la soluzione non migliori. Garnett continua a fare dentro e fuori dagli ospedali punto sembra che nessuno riesca a trovare la soluzione a questa malattia misteriosa che lo affligge da qualche tempo.
Da nonna Peggy non resta per molto tempo . Mamma e figlio si trasferiscono a Chestnut Ridge,  nello stato di New York, 14 mesi prima della morte di Garnett.
Vivono in una comunità chiamata The Fellowship for anziani e disabili  dove Lacey si sente amata e coccolata.
Le cose per un po’ di tempo sembrano andare meglio, ma quella apparente serenità non dura per molto.
Ogni azione, ogni istante, ogni sofferenza vengono ampiamente Documentati sui social. All’interno della comunità qualcuno Comincia a pensare che ci sia qualcosa che non va punto quella giovane mamma non permette a nessuno di avvicinarsi a suo figlio, si occupa di lui in ogni istante della giornata. I sospetti che qualcosa non vada continuano a crescere.
Garnett improvvisamente peggiora.
Viene ricoverato nuovamente in ospedale, rigorosamente sotto l’occhio attento e vigile del web.
Le sue condizioni Questa volta sono davvero gravi. I medici decidono di fare degli accertamenti più approfonditi e scoprono finalmente Cosa fa stare così male Garnett . Nel suo corpo ci sono livelli altissimi di sodio, talmente altiche il suo metabolismo sta collassando.
Ma come è possibile una cosa del genere punto di domanda i medici decidono di allertare la polizia e di fare ulteriori indagini. In accordo con le forze dell’ordine mettono sotto sorveglianza La giovane madre che è l’unica che si è avvicinata al piccolo oltre al personale sanitario.
Le telecamere rivelano una agghiacciante verità: è proprio la donna a somministrare quelle dosi letali di sodio a suo figlio, lo fa  stare male per suscitare la solidarietà del popolo del web.
Pochi giorni dopo, il 23 gennaio 2014, Garnett muore in ospedale. Le indagini per chiarire le cause del decesso sono subito avviate.
La verità che emerge sconcertante.
Lacey ha avvelenato il figlio per anni, per poter sfruttare la sua condizione di salute per ottenere consensi nel web. Anche la paternità di Garnett è falsa, in realtà il vero padre è vivo e vegeto: si chiama Chris Hill e fa l’installatore di porte per garage in Georgia.
Lacey si dichiara sempre innocente. Una volta processata viene condannata a 26 anni di reclusione.
La sua condanna per omicidio è stata confermata dalla corte d’appello statale e la più alta corte dello stato ha rifiutato di riesaminare la sua condanna.
È tutt’ora detenuta presso il Bedford Hills Correctional Facility for Women. 

BIBLIOGRAFIA

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