Gina Galeotti era nata a Mantova il 4 aprile 1913.
Aveva vissuto per molti anni a Suzzara, dove fin da giovanissima, 17 anni, aveva assunto un deciso impegno antifascista.
Nel 1938 aveva sposato un operaio sindacalista di nome Bruno Bianchi.
Nel 1943 era stata arrestata e deferita al Tribunale Speciale per essere stata tra gli organizzatori a Milano degli scioperi del marzo contro la guerra. Incarcerata per quattro mesi, sottoposta a 33 interrogatori e a indicibili torture, non aveva mai confessato nulla.
Liberata dopo la formazione del governo Badoglio, entrò nelle organizzazioni della Resistenza, prendendo parte al Comitato provinciale di Milano dei “Gruppi di difesa della donna”.
Si impegnò nel servizio di informazione e aiutò le famiglie degli antifascisti deceduti.

Rimase incinta nel 1944, ma nonostante la sua delicata condizione, non smise mai di impegnarsi appassionatamente in tutte le attività che le venivano proposte.
Il 24 aprile 1945, all’ottavo mese di gravidanza si stava recando verso l’ospedale Niguarda, per prendere contatto con alcune infermiere incaricate di curare i partigiani feriti e ricoverati con false generalità.
Purtroppo lungo il tragitto incontrò un camion di tedeschi bloccato da partigiani. Durante la fuga partirono dal mezzo alcune raffiche di mitra.
Gina continuò il suo percorso, ma quando i tedeschi la videro, le spararono una raffica che uccise lei e il bimbo che portava in grembo.
Il marito scoprì l’accaduto dopo qualche tempo perché quel giorno era ancora detenuto a San Vittore.
Gina morì a causa del suo impegno antifascista e nella Resistenza.
Aveva solo 32 anni.
Le fu assegnata la medaglia d’oro alla memoria dal Comando Generale delle Brigate Garibaldi.
A lei e al suo bambino mai nato va il nostro ricordo e la nostra gratitudine…