Cayetano Santos Godino nacque nel 1896 a Buenos Aires.
I suoi genitori erano di origine italiana.
Arrivarono dall’Italia nel 1888 andando a vivere nel paese di San Demetrio Corone.
Il papà, Fiore Godino, e la mamma, Lucia Rufia, oltre a Cayetano, avevano altri sette figli.
La sua fu un’infanzia tutt’altro che felice.
Fiore era un alcolizzato, malato di sifilide, che era solito picchiare i figli.
Cayetano fin da bambino si era dimostrato violento.
Uccideva gatti e uccellini.
Gli piaceva molto dar fuoco alle cose.
Anche a scuola aveva molti problemi.
Su di lui nessuna punizione aveva effetto e per questo fu costretto a cambiare molto spesso istituto.
Quando aveva quasi 8 anni, il 28 settembre 1904, rapì il piccolo Miguel de Paoli, di 21 mesi.
Lo portò in un luogo isolato, lo colpì alla testa e lo gettò in una fossa piena di spine.
Non riuscì ad ucciderlo perché fu interrotto dall’intervento di un poliziotto che, accortosi di quanto stava accadendo, portò i due bambini alla stazione di polizia.
L’incidente non ebbe conseguenze per Cayetano, era troppo giovane, e i due bambini tornarono alle loro rispettive casa.
L’anno successivo ci riprovó.
Colpì ripetutamente con una pietra la sua vicina di casa, Ana Neri, di 18 mesi.
Ancora una volta il suo tentativo di uccidere fu interrotto dall’arrivo di un poliziotto che lo arrestò.
Venne rilasciato la notte stessa dalle forze dell’ordine a causa della sua giovane età.
Nel 1906 Cayetano, a 9 anni, commise il suo primo omicidio.
Rapì una bambina 3 anni, la portò in un luogo isolato. Tentò di strangolarla ma, non riuscendoci, la seppellì viva.
I genitori la cercarono invano…per anni.
Del suo omicidio si saprà solo nel 1912 quando Cayetano venne arrestato definitivamente.
La piccola, probabilmente, era Maria Rosa Face.
L’identificazione non fu del tutto certa perché nel luogo in cui il giovane sosteneva di avere sepolto la bambina, era stato costruito un edificio di due piani. Il corpo non fu mai ritrovato.
Il 5 aprile 1906, Fiore Godino, di sua iniziativa, portò il figlio alla stazione di polizia sostenendo che il ragazzino fosse totalmente ribelle all’autorità paterna e che molestasse i vicini.
Ancora una volta le punizioni inflitte non erano servite a nulla e per questo l’uomo chiese che il figlio fosse rinchiuso per il tempo che avessero ritenuto più opportuno.
Rimase in prigione per due mesi e mezzo.
Passarono 2 anni, apparentemente senza problemi.
Il 9 settembre del 1908 Cayetano portò Severino Gonzàles Calò, di 2 anni, in un magazzino.
Tentò di affogarlo immergendolo in un abbeveratoio per cavalli.
Venne scoperto dal proprietario del locale, Zacarias Caviglia.
Il ragazzo si difese sostenendo che a mettere il bimbo nell’abbeveratoio era stata una donna vestita di nero, a lui sconosciuta.
Venne portato nuovamente alla stazione di polizia e liberato il giorno successivo. Il 15 settembre provò a bruciare le palpebre di Julio Botte, di 22 mesi, ma venne scoperto dalla madre del piccolo e fuggì.
Non venne denunciato.
Una settimana più tardi i suoi genitori lo portarono nuovamente alla stazione di polizia per affidarlo alle autorità.
Venne trasferito nel riformatorio di Marcos Vaz , dove rimase per 3 anni.
Il 23 dicembre del 1911 fu scarcerato su richiesta del padre.
Dopo che Cayetano uscì dal carcere i suoi genitori gli trovarono lavoro in una fabbrica. Tre mesi dopo fu licenziato.
Ma la sua escalation di violenza non era ancora finita.
Il 17 gennaio del 1912 diede fuoco ad un deposito di Calle Corrientes.
A dicembre fu arrestato.
Quando confessò il crimine commesso alla polizia, diede la seguente motivazione: “Mi piace vedere i vigili del fuoco al lavoro; è bello vedere come si gettano tra le fiamme”.
Prima del suo arresto però si era dato parecchio da fare…
Il 25 gennaio aveva ucciso Arturo Laurora, di 13 anni.
Il suo cadavere fu trovato il giorno seguente in una casa abbandonata seminudo, con segni di strangolamento e un pezzo di corda attorno al collo.
Il 7 marzo diede fuoco al vestito di Reyna Bonita Vainicoff, di 5 anni, provocandole gravi ustioni, a causa delle quali la bambina morì in ospedale due settimane dopo.
Nei mesi seguenti causò due incendi che vennero controllati facilmente dai pompieri senza che ci fossero vittime.
Il 24 settembre mentre lavorava in un magazzino, uccise con tre pugnalate una cavalla, ma non fu arrestato per mancanza di prove.
Non soddisfatto di quanto aveva già fatto, il giorno seguente diede fuoco ad una stazione dei tram, fortunatamente senza causare troppi danni.
A novembre tentò di strangolare Roberto Russo, che venne salvato dall’intervento di un uomo del posto.
Portato alla stazione di polizia, però, venne rilasciato poco dopo, per mancanza di prove.
Il 16 novembre colpì Carmen Ghittone, ferendola in modo non grave. Fuggì senza essere identificato, all’arrivo di un poliziotto.
Il 20 novembre rapì Catalina Naulener, che fu salvata dall’intervento di un vicino che la sentì urlare.
Fuggì nuovamente, riuscendo a nascondersi alla polizia.
A fine novembre diede fuoco a due magazzini ma entrambi gli incendi, vennero rapidamente arginati.
Il 3 dicembre, mentre stava camminando per strada, incontrò Jesualdo Giordano, che giocava sulla porta di casa.
Si fermò a chiacchierare con lui. Lo convinse a farsi seguire in una fattoria vicina, grazie all’offerta di alcune caramelle.
Dopo averlo fatto sdraiare per terra, provò a strangolarlo con la corda che usava come cintura per i pantaloni.
Il bambino resistette.
Cayetano, preso dalla rabbia, tagliò due pezzi della corda e li usò per legargli mani e piedi.
Cominciò a picchiarlo, ma mentre lo faceva, gli venne l’idea di piantargli un chiodo nel cranio.
Uscendo dalla fattoria per cercarlo, incontrò il padre del bambino che gli chiese se avesse visto il figlio.
Cayetano rispose di no.
L’uomo proseguì nella sua ricerca, ignaro che il figlio fosse a pochi metri da lui.
Trovato un chiodo, rientrò nella fattoria. Non avendo un martello, decise di usare una pietra.
Dopo averlo ucciso, coprì il corpo di Jesualdo con uno straccio e se ne andò.
Il corpo del bambino fu trovato pochi minuti dopo dal padre, tornato a controllare nella fattoria.
La sera successiva Cayetano andò alla veglia funebre.
Una volta avvicinatosi alla bara, toccò la testa del piccolo per controllare l’effetto del chiodo.
Non trovandolo dove lo aveva conficcato, chiese che fine avesse fatto. In questo modo si fece scoprire.
La polizia lo arrestò.
Il 4 dicembre confessò i suoi delitti a chi lo stava interrogando.
Il 4 gennaio 1913 entrò in un manicomio criminale.
Appena arrivato, cercò di uccidere alcuni detenuti.
Il giudice riprese in mano il suo caso.
Lo giudicò incapace di intendere e di volere e lo condannò alla permanenza nel centro per tutta la vita.
La pena fu confermata in seconda istanza.
Il 12 novembre del 1915 la Corte d’Appello tramutó la pena in ergastolo.
La Corte sostenne il miglioramento di Cayetano dopo i trattamenti in manicomio quindi il 20 novembre fu trasferito al Penitenziario di stato.
Il 28 marzo del 1923 venne trasferito al penitenziario di Ushuaia.
All’inizio del 1933 fu trasferito per un periodo nell’infermeria del penitenziario dopo le percosse ricevute da alcuni detenuti a cui aveva ucciso un gatto da loro adottato.
Nel 1935 si ammalò, senza mai riprendersi del tutto, fino alla fine dei suoi giorni.
Morì il 15 novembre del 1944 in condizioni poco chiare a 48 anni, dopo aver commesso un numero imprecisato di crimini e aver passato 32 anni in carcere.
