Alma Vivoda, la prima donna caduta nella Resistenza

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Alma prese il nome di Maria. Divenne una delle dirigenti più attive dell'organizzazione "Donne Antifasciste", assicurando i collegamenti tra l'antifascismo triestino e le formazioni partigiane dell'Istria....

Amabile Vivoda, per tutti Alma, nacque a Chiampore di Muggia, in provincia di Trieste, il 23 gennaio 1911.
I suoi genitori, Antonio e Anna, possedevano una trattoria a Muggia, “La Tappa”, che era diventata, durante il regime, un punto di riferimento molto importante per tutti gli antifascisti della zona.
Alma era cresciuta così, forte, intelligente e con una grande forza d’animo.
Educata secondo i più alti ideali di libertà, entrò ben presto a far parte del Partito Comunista, diventando attiva nella cellula del Soccorso rosso.
Si sposò  con Luciano Santalesa, anche lui militante nel Partito, nel 1931.
Insieme ai genitori gestivano la trattoria, che purtroppo entrò presto nel mirino dei fascisti come luogo di attività sospetta.


Le autorità fasciste imposero la chiusura dell’esercizio nel mese di marzo del 1940.  E così Alma e Luciano decisero di dedicarsi completamente alla lotta per la libertà. Nel frattempo avevano avuto un figlio, che chiamarono Sergio.  Decisero di affidarlo ad un collegio di Udine, perché non potevano farlo vivere con loro in clandestinità.
Alma prese il nome di Maria.
Divenne una delle dirigenti più attive dell’organizzazione “Donne Antifasciste”, assicurando i collegamenti tra l’antifascismo triestino e le formazioni partigiane dell’Istria.
Entrò in stretto contatto con uno dei più importanti dirigenti del Partito Comunista di Muggia, Giovanni Postogna, e con le prime formazioni partigiane slovene e croate in Istria.
Era molto attenta ai problemi dell’emancipazione femminile e dell’internazionalismo. Per questo aveva promosso la diffusione della stampa clandestina ed era arrivata a curare di persona la redazione del foglio “La nuova donna”.
Il suo instancabile attivismo la mise nel mirino dalla polizia fascista, che mise sulla sua testa una taglia di 10.000 lire, una somma molto importante per quell’epoca.
Un giorno Luciano fu arrestato e imprigionato.
A causa delle sue precarie condizioni di salute, venne ricoverato in ospedale.
Maria decise di organizzarne l’evasione. Era la primavera del 1943.
Luciano, aiutato dalla moglie, riuscì ad evadere e a raggiungere i partigiani istriani. Si separarono non sapendo che non si sarebbero mai più rivisti.
Il 28 giugno del 1943, Alma era impegnata in una missione alla Rotonda del Boschetto, in zona Trieste.
Venne riconosciuta da un carabiniere che aveva frequentato il suo locale.
L’uomo tentò di arrestarla. Ne seguì uno scontro a fuoco durante il quale Alma fu ferita alla tempia. Trasportata all’ospedale, spirò dopo poche ore, assistita da Pierina Chinchio Postogna, catturata insieme a lei, ma ferita più leggermente.
Alma morì senza sapere che il suo amato Luciano era stato ucciso pochi giorni prima durante uno scontro a fuoco.
La sua morte segna la fine della rete clandestina antifascista organizzata dalle donne impegnate nella Resistenza.
Alma é considerata la prima partigiana italiana caduta. Il suo nome venne dato al battaglione partigiano creato dai comunisti di Muggia nel maggio del 1944: il “Battaglione Alma Vivoda”, un reparto autonomo operante in Istria della Brigata Garibaldi Trieste, composto da partigiani italiani, sloveni, russi e da diverse compagne di lotta di “Maria”.
Nel 1971, nel luogo in cui Alma fu colpita, è stato eretto un monumento a suo ricordo.




BIBLIOGRAFIA

https://www.anpi.it/donne-e-uomini

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