STANISLAWA LESZCZYŃSKA, l’eroica ostetrica di Auschwitz

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Li faceva nascere nel caminetto che si trovava in un angolo del dormitorio. Al posto di bende e garze, usava una coperta sporca che doveva scuotere da pidocchi e parassiti. Le donne della baracca facevano asciugare i pannolini adagiandoli sulla pancia o sulle cosce, perché appenderli dentro la camerata era punibile con la morte....

Stanisława Leszczyńska nacque a Łódź, in Polonia, l’8 maggio 1896 dal matrimonio fra Jan Zambrzycki, falegname, e sua moglie Henryka. Nel 1908 la famiglia si trasferì in Brasile, a Rio de Janeiro, in cerca di una vita migliore.
Dopo 2 anni fecero ritorno in patria.
Il 17 ottobre 1917, Stanisława sposò il tipografo Bronisław Leszczyński.
Dalla loro felice unione nacquero quattro figli: Bronisław nel 1917, Sylwia nel 1919, nel 1922 Stanisławe e l’anno seguente Henryk.
L’invasione tedesca della Polonia segnò la fine della serenità per la sua famiglia.
Con il marito decise di non restare a guardare quello che stava accadendo intorno a loro, così iniziò ad aiutare gli ebrei del ghetto di Łódź, fornendo loro documenti falsi e, quando poteva, aiuti alimentari.
Il 18 febbraio 1943 Stanisława fu arrestata dalla Gestapo insieme a Sylwia, Stanisławe ed Henryk. Suo marito e Bronisław sfuggirono miracolosamente alla cattura.
Il 17 aprile 1943 Stanisława e Sylwia entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz.
Nello stesso periodo Stanisławe ed Henryk furono internati a Mauthausen.
Stanisława riuscì a portare con sé, ben nascosti, alcuni documenti scritti in tedesco, che attestavano la sua abilitazione a fare la levatrice.
Prese una decisione rischiosa, ma che in seguito si rivelò fondamentale per la vita di molte persone. Andò a parlare con il dottor Mengele, offrendo la sua assistenza alle donne durante il parto.
L’uomo acconsentì, pensando di aver trovato chi avrebbe ubbidito ai suoi ordini. Non immaginava certo di aver incontrato la tenace e silenziosa resistenza di una innocua levatrice.
E fu così che Stanisława e sua figlia Sylwia furono destinate all’assistenza delle partorienti.
In base alle direttive del dottor Mengele, i bimbi appena nati dovevano essere soppressi.
Stanisława non poteva farlo, doveva proteggere a qualsiasi costo quelle giovani e sfortunate vite.
Dal giorno in cui entrò in servizio, fino alla liberazione, aiutò circa 3.000 bambini a venire alla luce.
Di questi circa 1.500 furono brutalmente uccisi dal personale del campo.
Un migliaio circa morirono di fame e di freddo, mentre alcuni di loro, in base a caratteristiche somatiche precise, come gli occhi azzurri, finirono in un brefotrofio, per essere poi destinati all’adozione da parte di coppie tedesche senza figli, selezionate accuratamente per portare avanti il progetto di creazione di una razza perfetta.
Stanisława aveva ricevuto l’ordine di trattare tutti i neonati come se fossero morti.
Si oppose a questo ordine con fermezza rischiando la vita. Lottò per ognuno di loro.
Nessuno nacque morto.
Non morì neppure una partoriente.
Li faceva nascere nel caminetto che si trovava in un angolo del dormitorio. Al posto di bende e garze, usava una coperta sporca che doveva scuotere da pidocchi e parassiti. Le donne della baracca facevano asciugare i pannolini adagiandoli sulla pancia o sulle cosce, perché appenderli dentro la camerata era punibile con la morte.


Di tutti i nati, solo una trentina sopravvissero insieme alle madri e furono liberati il 27 gennaio 1945 dall’Armata Rossa.
Anche le due coraggiose levatrici vennero liberate.
Di quella drammatica esperienza ci arriva una testimonianza diretta, scritta dalla stessa Stanislawa su un quaderno segreto, che in seguito fu pubblicato col titolo di “Rapporto di un’ostetrica da Auschwitz”.
Le due donne poterono fare ritorno a Łódź dove ritrovarono i loro familiari.
Mancava solo il marito di Stanisława, morto tragicamente nella rivolta di Varsavia.
Cercò di ritornare alla vita, continuando a lavorare come levatrice fino al 1950.
Il 27 gennaio 1970, in una celebrazione ufficiale a Varsavia, incontrò alcune donne che erano state prigioniere ad Auschwitz, insieme a quei bambini che la levatrice aveva aiutato a nascere.
Nel suo diario, scrisse: “Fino al maggio 1943, i bambini nati nel campo furono uccisi crudelmente: venivano annegati in un barile pieno d’acqua (…). Dopo ogni nascita (…) veniva spruzzata violentemente dell’acqua, a volte per molto tempo. In seguito, la madre vedeva il corpo di suo figlio gettato a terra di fronte al dormitorio, rosicchiato dai topi (…) In generale, nel dormitorio c’erano infezioni, puzze di ogni tipo, parassiti. C’erano molti topi che mangiavano il naso, le orecchie, le dita dei piedi o i talloni delle donne molto malate, esauste, debilitate e che non potevano muoversi. (…) I ratti, ingrassati con la carne dei cadaveri, sono cresciuti come dei grandi felini. (…) Erano attratti dalla puzza dei corpi delle donne gravemente malate che non si potevano lavare e per le quali non c’erano vestiti puliti. Dovetti procurarmi io stessa l’acqua necessaria per lavare le madri e i neonati, e per portare un secchio di acqua era necessaria una ventina di minuti (…) Tra tutti i ricordi tremendi, c’è un pensiero che continua ad assalire la mia coscienza: tutti i bambini sono nati vivi. Il loro obiettivo era quello di vivere. Di loro, nel campo, ne sono sopravvissuti solo una trentina. Diverse centinaia di bambini furono portati a Nakło per privare loro della nazionalità, oltre 1.500 furono annegati da Klara e Pfani, due infermiere tedesche, e più di 1.000 bambini sono morti di fame e di freddo”.


Morì l’11 marzo 1974 a Łódź.
Nel centesimo anniversario della nascita, le sue spoglie sono state traslate nella chiesa dell’Assunta, dove era stata battezzata.
Tra le sue amorevoli mani sono nati migliaia di bambini. Anche se per poco tempo ha saputo donare loro l’amore ed il calore che in un altro tempo avrebbero ricevuto.

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