La rocca Malaspina, o castello Malaspina, è una fortificazione di origine medievale che domina la città di Massa.
Nel 1944 divenne, per ragioni di necessità, sede del carcere cittadino.
Vi erano detenuti sia i prigionieri politici, in quel periodo antifascisti, sia I prigionieri comuni condannati per reati lievi, spesso collegati allo stato di necessità causato dalla guerra.
Molti di prigionieri erano riusciti a fuggire grazie ai continui assalti dei partigiani al vecchio carcere. Ne avevano approfittato per riguadagnare la libertà.
Erano rimasti solo i più deboli e vecchi.
Dopo l’armistizio la vita nella Rocca era diventata quasi invivibile: il sovraffollamento era insopportabile, l’acqua potabile e il cibo insufficienti e le condizioni igieniche disastrose esasperavano una situazione già molto difficile.

Il carcere era gestito dalla polizia militare, appartenente alla 16ª divisione volontari delle Waffen SS di fanteria meccanizzata o Panzergrenadier “Reichsführer”, la stessa che sarà responsabile di molte altre stragi di civili, fra cui la strage di Stazzema.
Il 2 settembre 1944 le autorità tedesche avevano deciso per lo sfollamento della popolazione di Massa, compresi i detenuti del Castello.
Entro il 15 settembre gli abitanti avrebbero dovuto lasciare la città e dirigersi verso Parma.
Durante la prima settimana di settembre arrivarono 80 prigionieri: personalità in vista dell’antifascismo livornese, pisano e lucchese e molti religiosi provenienti soprattutto dalla Certosa di Lucca, tra cui don Giorgio Bigongiari. Fra loro c’erano anche alcuni prigionieri stranieri, come partigiani greci, albanesi e libici.
Vista la necessità di ritirarsi, i tedeschi decisero che ogni prigioniero era un intralcio e che nessuno avrebbe dovuto sopravvivere.
E fu così che domenica 10 settembre, 74 detenuti politici vennero prelevati a scaglioni e portati in luoghi non lontani per essere fucilati e sepolti in fosse comuni scavate appositamente.
Fra loro furono uccisi anche 10 monaci certosini.
Il 16 di settembre gli ultimi prigionieri furono fatti salire a bordo di alcuni camion, in apparenza per un trasferimento verso l’Italia settentrionale.
In realtà furono portati a poca distanza, sulle rive del torrente Frigido, nei pressi della chiesa di San Leonardo.
Giunti a destinazione vennero ammassati a tre buche che si erano formate in seguito ad un bombardamento alleato.
159 persone vennero uccise a colpi di mitra e seppellite in modo sommario e frettoloso.
Solo tre di loro si salvarono: erano l’infermiere, il cameriere e l’autista di un ufficiale delle SS, risparmiati in virtù dei loro servizi.
Le salme furono riesumate soltanto nel 1947, dal 27 gennaio al 20 marzo, ed identificate grazie all’opera preziosa di monsignor Angelo Ricci, cappellano del carcere.
Si concluse così una delle tante stragi naziste compiute durante la ritirata….