Giuseppe “Peppino” Impastato nasce a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948.
La sua famiglia ha legami con la mafia: il padre Luigi, durante il periodo fascista, è stato inviato al confino; lo zio e altri parenti sono mafiosi e il cognato del padre, Cesare Manzella, era un capomafia ucciso con una carica esplosiva nel 1963.
Ancora ragazzo, rompe ogni rapporto con il padre, che lo caccia via di casa, e avvia un’attività politico-culturale antimafiosa.
Si schiera a fianco dei contadini a cui hanno espropriato la terra per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo. Lotta per i più deboli.
Nel 1977 fonda “Radio Aut”, una radio libera autofinanziata, con cui denuncia i delitti e gli affari illeciti dei mafiosi di Cinisi e Terrasini.
Si scaglia soprattutto contro Gaetano Badalamenti, che ha un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, proprio attraverso il controllo dell’aeroporto di Palermo.
La sua attività lo mette nel mirino dei mafiosi della zona, che lo vedono come un fastidio crescente.
Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali.

Durante la campagna elettorale, nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, viene assassinato, con una carica di tritolo posta sotto il suo corpo, adagiato sui binari della ferrovia.
Lo stesso giorno a Roma viene trovato il corpo di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse, dopo mesi di detenzione.
La morte di Moro relega in secondo piano quanto successo a Peppino Impastato.
Le forze dell’ordine, la magistratura e la stampa, parlano di atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima. Si parla addirittura di suicidio.
In un comunicato ufficiale il procuratore capo Gaetano Martorana scrive: “Attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda. Verso le ore 0,30-1 del 9.05.1978 persona allo stato ignota, ma presumibilmente identificata in tale Impastato Giuseppe si recava a bordo della propria autovettura all’altezza del km. 30+180 della strada ferrata Trapani-Palermo per ivi collocare un ordigno dinamitardo che, esplodendo, dilaniava lo stesso attentatore”.
I compagni di Peppino vengono interrogati come complici dell’attentatore. Si procede con perquisizioni nelle case della madre e della zia del giovane, in quelle dei suoi compagni, ma non in quelle dei mafiosi. Non si controllano neppure le cave della zona, notoriamente gestite da mafiosi, nonostante una relazione di un brigadiere dei carabinieri dica chiaramente che l’esplosivo usato è quello impiegato nelle cave per far brillare le mine.
Ma Cinisi non ci sta…
Sui muri delle case del paese compare un manifesto che dice che si tratta di un omicidio di mafia.
Ne compare un altro a Palermo, con la scritta: “Peppino Impastato è stato assassinato dalla mafia”.
Nel pomeriggio dell’11 maggio si tiene a Cinisi il comizio di chiusura della campagna elettorale. Su invito dei compagni di Peppino, viene nominato Umberto Santino, fondatore del Centro, come successore del giovane assassinato.
Santino indica nei mafiosi di Cinisi, in particolare in Badalamenti, i responsabili del delitto.
In quei giorni gli amici di Peppino raccolgono resti del corpo sparsi lungo la ferrovia.
Trovano, dopo varie ricerche, anche delle pietre macchiate di sangue nel casolare in cui probabilmente Peppino è stato portato e ucciso o tramortito, nella notte fra l’8 e il 9 maggio. Le prove ritrovate avranno un ruolo decisivo nel proseguimento delle indagini.

Grazie all’attività del fratello Giovanni e della madre Felicia, che rompono pubblicamente con la famiglia, dei compagni di militanza e del Centro siciliano di documentazione, viene individuata la matrice mafiosa del delitto.
Sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate, viene riaperta l’inchiesta giudiziaria sulla morte di Peppino Impastato.
Nel maggio del 1984 l’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, su indicazione del Consigliere Istruttore Rocco Chinnici (assassinato nel luglio del 1983), che aveva avviato in quegli anni il lavoro del primo pool antimafia, emette una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti.
Nel frattempo Gaetano Badalamenti viene condannato a 45 anni di reclusione per traffico di droga nel processo Pizza Connection.
Ancora una volta la mamma di Peppino fa una rivelazione importante. Il padre di Peppino aveva fatto un viaggio negli Stati Uniti, nel 1977. Era stato convocato, probabilmente dallo stesso Badalamenti, in seguito alla diffusione di un volantino particolarmente duro di Peppino. In quell’occasione Luigi aveva detto a una parente: “Prima di uccidere Peppino devono uccidere me”.

Luigi muore nel settembre del 1977, in un incidente stradale alquanto sospetto.
Nel maggio del 1992 il Tribunale di Palermo decide nuovamente per l’archiviazione del “caso Impastato”, ribadendo la matrice mafiosa del delitto, ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli del delitto.
Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un’istanza per la riapertura dell’inchiesta. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto.
Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, viene indicato come mandante del delitto, Gaetano Badalamenti.
L’inchiesta viene formalmente riaperta.
Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, accusato come mandante del delitto.
L’11 aprile 2002, dopo molti anni da quella notte, Gaetano Badalamenti viene condannato all’ergastolo per l’omicidio di Peppino Impastato.
Il 7 dicembre 2004 muore Felicia Bartolotta, madre di Peppino.
Nel 2011 casa Badalamenti viene confiscata e assegnata all’Associazione Casa Memoria “Felicia e Peppino Impastato” e all’Associazione “Peppino Impastato”.
Giustizia è stata fatta, ora restano da chiarire le attività dei carabinieri subito dopo il delitto.
Il silenzio uccide… In memoria di Peppino Impastato…