Norma Parenti era nata nel podere Zuccantine di Sopra, una località nei pressi di Massa Marittima, in provincia di Grosseto il 1° giugno 1921 . Suo padre Estewan era un muratore conosciuto nella zona. Sua madre, Roma Camerini, era impegnata nella gestione di una trattoria a Massa Marittima. Aveva 4 fratelli. La sua era una famiglia cattolica. I suoi genitori le avevano insegnato i principi del socialismo e proprio a causa di queste idee entrarono nel mirino della direzione generale della pubblica sicurezza del Regno .Nel novembre del 1927 iniziò a frequentare la scuola elementare Regina Margherita del suo paese ma al terzo anno fu costretta a restare a casa per molto tempo, a causa delle sue precarie condizioni di salute. Rientrò l’anno successivo, per terminare la classe che aveva iniziato e in seguito furono i genitori a decidere di ritirarla. Nel 1941 trascorse qualche tempo presso l’Istituto Santa Regina di Siena. Ebbe così occasione di entrare in contatto con le sorelle laiche presenti nella struttura che la convinsero a fare chiesta di probandato, periodo di formazione spirituale che avrebbe dovuto precedere la richiesta di noviziato. Non riuscì a terminare il suo percorso ancora una volta a causa delle sue condizioni di salute. Nel marzo 1942 fece ritorno definitivamente a Massa Marittima. Proprio in quel periodo conobbe un giovane, che dopo poco sarebbe diventato suo marito Mario Pratelli. Nel mese di ottobre Mario fu chiamato al fronte nel V Reggimento artiglieria, operante nella zona di Belluno. Prima di separarsi si sposarono nella cattedrale di San Cerbone a Massa Marittima.
Era il 31 marzo 1943. Norma decise di seguire il marito in provincia di Belluno, per restargli accanto. Dopo l’armistizio del 1943 i due giovani tornano a Massa dove potevano contare sull’appoggio della famiglia. Nei mesi successivi la situazione divenne sempre più difficile. Mario non rispose alla chiamata di leva imposta dalla RSI e per questo fu considerato disertore. Si unì al CLN entrando nella 3° Brigata Garibaldi, attiva fin dai primi giorni successivi all’armistizio. Norma era incinta. Rimasta sola decise di andare a vivere nell’abitazione dei suoi genitori. Il 29 dicembre 1943 venne alla luce il suo bambino, Alberto Mario. In questo clima sempre più pericoloso, la giovane decise di mettersi a disposizione dei gruppi partigiani presenti nelle vicinanze di Massa, come il gruppo «Capanne Vecchie» guidato da Mario Chirici. Norma si occupava dei rifornimenti, di consegnare documenti e volantini stampati clandestinamente. Dopo qualche mese decise di entrare anche lei nella 3ª Brigata Garibaldi. Col passare del tempo la sua attività si fece sempre più intensa. Oltre alla sua partecipazione diretta, fu sempre pronta ad aiutare i soldati fuggiti dalla prigionia tedesca oppure renitenti alla leva della RSI ad entrare nelle formazioni partigiane presenti in montagna. Si adoperò attivamente anche a prestare soccorso ad ebrei e ricercati politici, costretti a nascondersi. Norma assicurava loro un rifugio sicuro. Ben presto finì nel mirino dei nazifascisti, che vedevano qualcosa di strano nella sua attività.L’8 giugno del 1944 accadde qualcosa che cambiò il suo destino. Quel giorno Guido Radi, nome di battaglia «Boscaglia», appartenente alla 23ª Brigata Garibaldi, venne sorpreso e catturato da una squadra di militari della RSI. Con altri partigiani stava compiendo un’azione di sabotaggio. Condotto lontano da occhi indiscreti, fu brutalmente picchiato e seviziato. Il suo corpo tumefatto e sanguinante, ormai senza vita, venne riportato a Massa ed esposto sulla scalinata del Duomo, come monito alla popolazione che collaborava con la Resistenza. Il capo della provincia, tale Alceo Ercolani, impose a tutti il divieto assoluto di portarlo via per la sepoltura.Norma non poteva fare finta di nulla. Doveva intervenire. E così, con un gruppo di donne da lei radunato, si occupò della salma del giovane. Gli fece riservare un posto al cimitero comunale e fece di tutto perché la famiglia potesse vedere per l’ultima volta le spoglie del proprio figlio prima che fosse sepolto. Nel frattempo i partigiani della zona cominciarono a impossessarsi di posizioni strategiche e a organizzarsi per entrare a Massa Marittima. La risposta nazifascista fu molto dura. Furono attuate repressioni di ogni genere. Norma non smise mai di essere attiva, nonostante il grave pericolo che incombeva su di lei. Fu così che un giorno, dopo aver incontrato i comandanti della banda «Camicia Bianca» per fornire informazioni sui movimenti delle truppe tedesche in città, Norma venne seguita fin dentro la trattoria gestita dalla madre. Uno dei soldati in fuga che aveva aiutato aveva fatto il suo nome. Era stata tradita. Era il 22 giugno. Un gruppo di nazifascisti irruppe violentemente nel locale e arrestò le due donne. Furono picchiate e torturate.La madre venne liberata il giorno seguente mentre Norma fu condotta alla periferia della città per essere giustiziata, nei pressi del podere Moschini. La pugnalarono e poi le spararono. La sua giovane vita finiva quel giorno. Le venne conferita la Medaglia d’oro al valore militare con la seguente motivazione: “Giovane sposa e madre, fra le stragi e le persecuzioni, mentre nel litorale maremmano infieriva la rabbia tedesca e fascista, non accordò riposo al suo corpo né piegò la sua volontà di soccorritrice, di animatrice, dì combattente e di martire. Diede alle vittime la sepoltura vietata, provvide ospitalità ai fuggiaschi, libertà e salvezza ai prigionieri, munizioni e viveri ai partigiani e nei giorni del terrore, quando la paura chiudeva tutte le porte e faceva deserte le strade, con lo esempio di una intrepida pietà donò coraggio ai timorosi e accrebbe la fiducia ai forti. Nella notte del 22 giugno, tratta fuori dalla sua casa, martoriata dalla feroce bestialità dei suoi carnefici, spirò, sublime offerta alla Patria, l’anima generosa.”
