Cleonice “Nice” Tomasetti fu l’unica donna fucilata dai nazifascisti nell’eccidio di Fondotoce del 20 giugno 1944.
Cleonice era nata a Capradosso di Petrella Salto, in provincia di Rieti, il 4 novembre 1911.
Era la penultima di sei fratelli.
Durante la Seconda Guerra Mondiale si era trasferita a Milano. All’inizio si adattò a fare lavori saltuari, poi trovò lavoro come maestra.
Alla fine del 1933 conobbe Mario Nobili, un assicuratore originario di Meda, un paese vicino a Milano, separato dalla moglie. Si innamorarono.
Mario e Nice frequentano a Milano un piccolo gruppo di antifascisti, fra cui militava il sarto, comunista e cristiano avventista, Eugenio Dalle Crode.
All’inizio del 1944 il Nobili fu colpito dalla meningite. Morì dopo pochi giorni.
Rimasta sola, andò a lavorare per il Dalle Crode. Proprio nella sua bottega conobbe un giovane che raccontò loro che il giorno dopo sarebbe salito in montagna, in Piemonte, per unirsi ai partigiani della Valgrande.
La decisione era presa. Sarebbe partita anche lei per unirsi alla Resistenza.
Quello che non sapevano era che l’11 giugno era cominciato un grande rastrellamento proprio nella zona in cui erano diretti.
Arrivarono in treno a Laveno, presero il battello per Intra, poi si incamminano a piedi. I due giovani che erano con lei credevano di riconoscere il sentiero che saliva in Valgrande e di non correre pericolo.
Camminarono per tutto il giorno, fino a quando non arrivarono in una baita isolata, dove accesero il fuoco e passarono la notte.

Al mattino seguente sentirono in lontananza e dopo poco videro avvicinarsi i primi tedeschi: era in corso un rastrellamento.
I tre fecero appena in tempo a nascondere il fucile che avevano con loro e a concordare una versione comune, che i tedeschi gli erano addosso.
Decisero di confessare le loro reali intenzioni, cioè di essere lì per unirsi ai partigiani.
Vennero presi a calci e pugni, poi furono interrogati, mantenendo la versione concordata. Poi li misero contro un muro della baita e piazzarono un mitragliatore che lasciò partire una lunga raffica sopra le loro teste. Volevano terrorizzarli.
Li portarono verso il lago a piedi.
Nice fu assegnata a un giaciglio con un ufficiale. I suoi compagni sentirono rumori di colluttazione, ma quello che accadde di preciso non si sa.
Il mattino seguente ripartirono.
Lungo il tragitto incontrarono un partigiano ferito.
Lo finirono con una raffica di mitra.
I prigionieri subirono altre torture.
Venne legata una corda ad un albero. I soldati presero Nice, le avvolsero la corda al collo, la, sollevarono da terra. Una, due, più volte.
Quando stava per svenire, le gettavano addosso un secchio d’acqua fredda, poi ricominciavano.
Non immaginavano che lei non sapesse nulla, che i partigiani non li aveva nemmeno visti.
La colpirono sulla schiena con un bastone.
Nice e uno dei suoi compagni, Sergio Ciribi, vennero chiusi nelle cantine di Villa Caramora, una casa ottocentesca sul lungolago di Intra, insieme con decine di partigiani e di sospetti catturati nel rastrellamento.
Tra loro c’era anche il medico antifascista Emilio Liguori, che dopo la guerra scrisse il libro Quando la morte non ti vuole, che riportava anche la testimonianza della prigionia di Cleonice.
Pugni, pedate, colpi di calcio di moschetto, bastonate, erano all’ordine del giorno.
Di lei scrisse: “Gli aguzzini sembravano presi nel turbine di un sadico furore. Notai che tra i partigiani vi era una donna, di statura media, di colorito bruno, sui venticinque anni. Anche a costei non furono risparmiati i maltrattamenti, anzi, starei per dire che la dose delle angherie sia stata nei suoi confronti maggiore. Mi parve che, quando arrivava il suo turno, il nerbo si abbassasse sulle sue spalle con maggior furore e più violenti fossero i calci che la raggiungevano da ogni parte. Eppure la coraggiosa donna non solo incassò ogni colpo senza emettere un grido ma, calma e serena, faceva coraggio agli altri giovani, malconci da quella furia bestiale”.
Il pomeriggio del 20 giugno 1944, verso le 17, arrivarono a villa Caramora soldati e automezzi per prelevare i prigionieri.
I guardiani si preparano, si sistemarono le divise, si pettinarono, come se dovessero andare a una festa. Saranno scattate delle fotografie.
La donna fu colpita atrocemente da più di uno schiaffo e da uno sputo sul viso. Non si scompose mai.
Incassò impassibile ogni colpo. Ai sui aguzzini disse: “Se percuotendomi volete mortificare il mio corpo, è superfluo il farlo; esso è già annientato. Se invece volete uccidere il mio spirito, vi dico che la vostra è opera vana; quello non lo domerete mai”
Li prelevarono in 46.
Li fecero sfilare in corteo da Intra fino al luogo della fucilazione, con un cartello in mano con la scritta “Sono questi i liberatori D’ITALIA oppure sono i banditi?”
Nice era in prima fila, ripulita dai vestiti sudici e sanguinanti. Si fermarono vicino al canale che congiunge il Lago di Mergozzo al Lago Maggiore.
Neppure il prete li poté avvicinare.
Furono costretti a sdraiarsi per terra, e 3 alla volta passano sotto le raffiche del plotone. Nice fu la prima a morire.
Tre di loro verranno all’ultimo momento risparmiati, uno si salverà, Carlo Suzzi, che riuscì fortunosamente a sopravvivere. Venne aiutato dalla gente del posto. Una volta guarito tornò nella formazione Valdossola con il nome di battaglia “Quarantatré”.
La fucilazione di questi partigiani voleva forse essere una vendetta per i quaranta fascisti del presidio di Fondotoce catturati il 30 maggio.
Dopo la Liberazione, Fondotoce diventò luogo di Memoria e simbolo della Resistenza di tutta la provincia.
Il giorno seguente, altri 17 ragazzi, arrestati in Valgrande e scampati alla fucilazione di Fondotoce, vennero prelevati e portati nella piazza dell’imbarcadero a Baveno, dove vennero fucilati.
Cleonice quel 20 giugno aveva 32 anni. Il suo corpo martoriato riposa nel Cimitero maggiore di Milano, nell’area dedicata ai martiri della Resistenza.
W la libertà…