La chiesa di San Pietro a Lugaggia, nel territorio capriaschese di Sureggio, sorge su quella che un tempo era la principale via di collegamento fra Lugano e Tesserete, ma che oggi è ridotta a una stradina tortuosa. L’alto e snello campanile, pendente, è uno dei più antichi del Cantone e in origine era probabilmente utilizzato anche come torre di avvistamento. Oggi lo vediamo decorato con il consueto repertorio romanico di strette feritoie, specchiature, archetti e bifore. Le aperture che si aprono a distanza regolare nella muratura sono buche pontaie: servivano a fissare l’impalcatura durante la costruzione e venivano lasciate per eventuali interventi di manutenzione. In tempi più recenti, alla facciata intonacata di bianco e su cui si aprono due piccole monofore e una finestrella a forma di croce, è stato addossato un portichetto. Anche le pareti laterali sono rivestite con uno spesso strato di intonaco e su ciascuna si aprono due monofore doppiamente strombate, vale a dire svasate sia all’interno sia all’esterno, in modo da ottimizzare l’illuminazione e ridurre al minimo l’entrata del freddo.

La parte posteriore della chiesa è in muratura a vista molto irregolare. Infatti, questa porzione della chiesa è stata ricostruita più volte nel corso del tempo. Gli scavi archeologici hanno messo in luce un primitivo impianto a doppia abside, riconducibile forse alla doppia dedicazione della chiesa, San Pietro e San Paolo. Lo schema a doppia abside ha avuto una certa diffusione nell’area alpina e particolarmente ticinese durante il Medioevo. Oltre a Sureggio si possono citare gli esempi di Chironico e Chiggiogna in valle Leventina, ma anche le prime chiese, poi diversamente ricostruite, di S. Martino a Mendrisio e S. Maria di Mesocco. Nel caso di Sureggio, le due absidi sono state prima sostituite da un’unica abside semicircolare, a sua volta sostituita da un’abside quadrangolare nel corso del XVII secolo. Allo stesso periodo risale l’aggiunta di un piccolo locale adibito a sacrestia e del portichetto davanti alla facciata. All’interno le pareti recano ancora interessanti resti di affreschi che risalgono all’epoca romanica: sebbene lacunose, le immagini si presentano ancora molto vivaci nella cromia e nella rappresentazione. L’uso di sfondi luminosi o di colore bianco e il ricorso a tonalità contrastanti ha una spiegazione pratica: l’ambiente è poco illuminato e questo espediente facilitava il lavoro ai pittori. È prevalente l’utilizzo delle terre naturali: ocra, rosse e verdi, mentre appare più parsimonioso l’uso dell’azzurro, riservato ad esempio al manto della Madonna o allo spazio che circonda la figura di Cristo in croce. Le immagini sono organizzate su due registri sovrapposti: a destra entrando si leggono ancora con chiarezza i resti di due episodi canonici dell’infanzia di Gesù: la Presentazione al tempio e la Fuga in Egitto, che arriva a ridosso della controfacciata. In alto le scene sono incorniciate da un meandro. Il meandro, a sua volta impreziosito da un filo di perle, sia in alto, sia in basso, ogni tanto si allenta e fa spazio a oggetti di valenza simbolica, come un calice o dei pesci.

Facilmente riconoscibile è la scena della Fuga in Egitto, incorniciata da palme cariche di datteri, dove Giuseppe tiene con la mano sinistra un nodoso bastone cui è appesa una piccola botte. In secondo piano sembrano assistere al passaggio della Sacra Famiglia tre figure, la cui presenza è riferita nel vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo. La Presentazione al tempio è frammentaria, ma riconoscibile grazie all’offerta delle due colombe, qui portata da Maria, accompagnata da un’ancella che porta un cero. Sulla parete di fronte sono invece raffigurate nel registro superiore le due scene che probabilmente concludevano il ciclo cristologico: un’ampia crocefissione e la visita delle tre Marie al sepolcro. La croce di Gesù è messa in forte risalto da un’area azzurra contornata di verde di forma romboidale, che visualizza la sua dimensione. Sotto un ampio arco sorretto da una colonnina si colloca poi l’episodio delle tre Marie che visitano il sepolcro e lo trovano vuoto, custodito da un angelo. L’immagine più sorprendente si trova però nel registro inferiore, dove si conserva un’immagine unica nel suo genere delle mura di Milano — identificata con la scritta MEDIOLANUM — munite di merli e torri, davanti alle quali si erge ancora più alto uno struzzo — con la scritta STRUCIO — che pare addirittura colpire una torre con il suo becco. Più in basso si conserva il frammento di un altro collo sinuoso, forse di un secondo struzzo. Più a destra, due figure frammentarie a cavallo e un contadino con un bue sembrerebbero fuggire in direzione opposta.

Questa rarissima raffigurazione può spiegarsi nella seconda metà del XII secolo, tenendo conto della particolare situazione della Capriasca, rimasta legata alla diocesi di Milano, e pensando alla distruzione delle mura di Milano da parte di Federico Barbarossa nel 1162, che costrinse i cittadini milanesi ad abbandonare la città. Per quanto riguarda la figura enigmatica degli struzzi, ci viene in aiuto la Bibbia. Troviamo le espressioni “ma vi si stabiliranno gli animali del deserto i gufi riempiranno le loro case, vi faranno dimora gli struzzi, vi danzeranno i satiri” (Isaia 13) e “perciò l’abiteranno animali del deserto e sciacalli, vi si stabiliranno gli struzzi; non sarà mai più abitata, né popolata di generazione in generazione” (Geremia 50) riferite alla distruzione di Babilonia. Quindi lo struzzo che insedia le mura cittadine sottolineerebbe la distruzione, l’abbandono e la rovina. L ‘artista che ha decorato la chiesa di Sureggio mostra maggiore naturalismo nella raffigurazione degli animali rispetto a quella umana, che invece appare più rigida e schematica. Senz’altro la raffigurazione più originale e inaspettata è questa dello struzzo, con il suo particolare significato radicato nella storia e nella mentalità di un passato lontano, affascinante da riscoprire.