Nel bosco a sud di Vaglio, in Val Capriasca, si trova la medievale torre di Redde o di San Clemente. Insieme alla duecentesca chiesa di San Clemente, tuttora esistente e officiata, faceva parte dell’antico nucleo abitativo di Redde. Il villaggio fu abbandonato nel corso del XVI secolo, si presume a causa della peste, e di questo ora non restano che tracce di muri e fondamenta, ormai coperti da terra e foglie.

La torre faceva parte di una casa-fortezza del ‘200, costruita per la famiglia comasca dei Rusca, allontanatasi da Como e stabilitasi nel Ticino (Magliaso, Bedano, Torricella, Bironico e Bellinzona) con lo scopo di controllare la via delle Alpi. Alcuni studiosi hanno accostato il nome di Redde alla locuzione “redde rationem” (rendi conto), e si presume quindi che la torre fungesse anche da edificio di raccolta delle decime o delle tasse.
Fulcro dell’antico villaggio abbandonato, la torre è stata riesaminata di recente. Citata per la prima volta nel 1310, quando divenne feudo dei potenti Rusca di Como, era stata costruita attorno alla metà del secolo precedente. Tipici di quell’epoca sono i massi angolari decorati a bugnato. La torre venne edificata in un’unica fase e possedeva in origine una sola entrata, a sud, all’altezza del secondo piano. Sappiamo con certezza che le rimanenti tre entrate oggi visibili sono successive. L’ingresso rialzato è tipico delle torri medievali e rappresenta un semplice ma valido espediente per difendersi da eventuali aggressori.

L’accesso era costituito da una scala ripida e da un piccolo ballatoio, riparato da una tettoia di assi o scandole. Della tettoia rimangono i tre alloggiamenti sporgenti in alto, mentre il ballatoio era sorretto dalle travi che fuoriuscivano dai due grossi fori sotto la soglia. La torre possedeva quattro piani. Il secondo, con il suo portone d’accesso a due ante, è il più ricco di dettagli: evidenti sono le due finestre, a est e ovest. All’interno si trova un lavabo (con scarico a ovest) inserito in una nicchia. Doveva trattarsi del locale residenziale: qui si svolgeva la vita quotidiana e si accoglievano ospiti e postulanti. Probabilmente questo locale era intonacato e adorno di arazzi e affreschi. Poco o nulla sappiamo dell’utilizzo degli altri piani e possiamo solo fare ipotesi confrontando la struttura con altri castelli della stessa epoca.

Al pianterreno dovevano esserci la cantina e il magazzino, senza aperture. Il primo piano è caratterizzato da una profonda feritoia ed era destinato ad alloggio dei domestici e l’arredo doveva essere costituito da pagliericci, cassapanche, sgabelli e poco altro. Il terzo piano, chiuso da un tetto a due falde coperto in origine con piode, aveva una duplice funzione. Con le sue feritoie poteva, in caso di bisogno, fungere da piattaforma difensiva. O almeno intimidire, dato che gli angoli di tiro appaiono molto sfavorevoli per i difensori. Tuttavia, nel ben più frequente tempo di pace, dobbiamo immaginarlo come il locale privato della famiglia nobile, caratterizzato in particolare da un ampio letto comune e da un mobilio più ricco e decorato.

Dalla storia alla leggenda…
Fin qui la storia. Ma, come spesso succede per i villaggi abbandonati, subentra la leggenda. Si dice che nel villaggio viveva un pio uomo di nome Giacobbe. Vedeva Redde tetra e triste, allora decise di far costruire una chiesa e di farsi frate, divenendo così Fra Giacobbe. Il religioso aveva un pollaio in cui accudiva alcune galline. Un giorno Fra Giacobbe, entrando nel pollaio, notò un uovo deforme che aveva un forellino all’estremità superiore. Alcuni giorni dopo Fra Jacopone si accorse che l’uovo si era schiuso, ma non c’era traccia del pulcino. D’un tratto, però, si accorse che nel pollaio si aggirava uno strano animale con il corpo e la coda da serpente e con delle piccole corna. Fra Giacobbe, spaventato, chiamò alcuni paesani per mostrare loro quell’essere pauroso, ma nessuno aveva mai visto nulla di simile. Allora a Fra Giacobbe venne l’idea di consultare gli antichi libri. In uno di questi trovò quello che gli serviva: “Gallo basilisco: animale raro dalla coda e dal corpo di serpente, che può avere dalle due alle otto zampe, dotato di sguardo e fiato mortali e che nasce da uova deformi”.

Quando il religioso ebbe letto la descrizione di quell’animale tornò al pollaio, ma il gallo basilisco era scomparso. Fra Giacobbe infine lo trovò che si abbeverava alla fontana del paese. L’acqua di quella fontana però era imputridita e il gallo basilisco contrasse la peste. Dopo aver bevuto a quella fonte l’animale si appollaiò sulla cima della torre del villaggio e da lì, con il suo sguardo infestato, colpiva gli abitanti di Redde, contagiandoli.
Allora il paesano più anziano di Redde, mastro Giovanni Battista, andò a cercare aiuto nel vicino paese di Vaglio. Chiamò gli uomini più forti e insieme tornarono a Redde per uccidere il gallo basilisco. Arrivati sul posto, questi uomini coraggiosi si arrampicarono sulla torre, ma il gallo basilisco li guardò negli occhi e li fece morire.

Mastro Giovan Battista non si perse d’animo e tornò a Vaglio, ma questa volta convocò gli uomini più saggi. Una volta giunti a Redde i saggi costruirono un enorme specchio e lo misero vicino alla torre. Uno di loro poi richiamò l’attenzione del gallo basilisco, il quale, osservando la sua immagine riflessa nello specchio, contagiò se stesso con lo sguardo e morì. Tuttavia, prima di morire, il gallo aveva corrotto l’aria con il suo alito e i poveri abitanti di Redde morirono tutti lasciando il paese disabitato così, ben presto, le case abbandonate crollarono.
…e dalla leggenda di nuovo alla storia
Gli antichi designavano con il nome Basilisco strani mostri creati dalla fantasia a cui si attribuivano malefici poteri. La voce “Basiliscus”, che si incontra nella Vulgata, traduce l’ebraico Sepnà, che indica un serpente velenoso terribile, non identificabile tra i viventi. Secondo le leggende, il basilisco nasce quando un vecchio gallo (nero) depone un uovo che viene covato nel letame da un serpente o da un rospo. Il basilisco dimora in grotte, sotterranei e pozzi, dove custodisce tesori. Il suo fiato è velenoso e il suo sguardo mortale, ma lo si può sconfiggere mettendogli davanti uno specchio. Può anche essere ucciso dalle donnole. Nel 1474 il Consiglio di Basilea condannò a morte un gallo di undici anni che, a quanto si diceva, aveva deposto un uovo. La bestia tu decapitata il 4 agosto 1474, il suo corpo tu bruciato e anche il suo presunto uovo tu dato alle fiamme.
Il gallo era un animale legato al fuoco, tanto che in lingua tedesca esistono le espressioni riferite al “gallo rosso” che indicano il fuoco o la discordia. Mettere l’immagine di un gallo sui tetti significava proteggere l’edificio dal fuoco. Il protestantesimo appose sui campanili delle chiese di rito riformato o protestante il gallo, mentre le chiese di rito cattolico sfoggiano la croce. I due simboli riflettono le controversie che divisero dal XVI secolo le due religioni. Nella Leggenda del Basilisco che vede la cacciata dell’animale per intervento di San Siro, è leggibile la vittoria della fede cattolica contro l’allora nascente “eresia ariana”, il protestantesimo. Inoltre, il basilisco nella leggenda capriaschese rievoca la lugubre storia dell’avvelenamento dei pozzi da parte degli ebrei, che a lungo è stata ritenuta la causa della terribile peste nera in tutta Europa. Nei registri della città di Friborgo è scritto che il 23 gennaio 1349: “do wurden alle die juden: die ze Friburg in Brisgouwe in der stat waren, verbrannt, ane kint und tragent frouwen, umb das gros mort und missetat, so sü under einander angeleit hatten” (tutti gli ebrei, uomini, donne e bambini, vennero bruciati per aver commesso grandi delitti…), il delitto cioè, di aver avvelenato i pozzi con il germe della peste. La credulità del popolino e dei suoi reggenti fece sì che la strage degli Ebrei si propagò, come la peste nera, in tutta Europa. Per concludere, a Redde la peste fu diffusa dal gallo basilisco, l’uomo saggio si chiamava Giacobbe, la fonte avvelenata con il germe della peste contagiò tutto il villaggio, si presume che la leggenda capriaschese rievochi un villaggio popolato da ebrei, morti di peste o di fuoco.