La storia di Janusz Korczak, che scelse di morire con i suoi bambini dell’orfanotrofio di Varsavia

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Nell'ottobre del 1940 i tedeschi decisero di concentrare tutti gli ebrei in quello che diventerà il famoso ghetto di Varsavia, che arrivò a contenere un numero davvero considerevole di persone. Nonostante la strenua opposizione di Korczak, anche i suoi orfani furono costretti a dimorarvi...

La storia che vi vorrei raccontare oggi è una storia d’amore e di coraggio, che giunge fino a noi per farci comprendere come durante la Seconda Guerra Mondiale molti eroi abbiano sacrificato la loro vita silenziosamente.
Uno di questi fu Janusz Korczak.
Janusz nacque come Henryk Goldszmit a Varsavia  il 22 luglio 1878.
La sua famiglia, di origine ebraica, era  abbastanza integrata e legata alla cultura polacca.
Henryk era molto legato ai suoi genitori.
Soffrì  tanto per la morte del padre, uno stimato avvocato, che si spense nel 1896 in seguito a una grave malattia mentale.
Da quel giorno dovette mantenere la madre, che morì di tifo, nel 1920.


Nel 1899 iniziò a studiare Medicina all’Università di Varsavia, ma una sua grande passione rimaneva  la letteratura: scrisse diversi testi e drammi per il teatro firmandoli  con lo pseudonimo di Janusz Korczak, era l’eroe di un popolare romanzo polacco sulla vita del condottiero Jan Sobieski.
Le sue idee politiche a favore dell’Indipendenza polacca lo condussero in carcere nel 1909, dove conobbe il famoso sociologo socialista polacco Ludwik Krzywicki. 
Una volta uscito di prigione, nell’ottobre del 1912, con una collega educatrice di nome Stefania Wilczyńska, aprì un orfanotrofio nel pieno centro del quartiere ebraico a Varsavia, in via Krochmalna 92. In quegli anni gli ebrei in città erano circa un terzo della popolazione.
Le leggi razziali e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale resero la vita in città sempre più complicata.
Nell’ottobre del 1940 i tedeschi decisero di concentrare tutti gli ebrei in quello che diventerà il famoso ghetto di Varsavia, che arrivò a contenere un numero davvero considerevole di persone. Nonostante la strenua opposizione di Korczak, anche i suoi orfani furono costretti a dimorarvi.
Vennero sistemati in quella che una volta era la Scuola di Commercio; la loro vita, come quella di tutti gli ebrei del ghetto,  cambiò decisamente ma nonostante questo riuscirono a vivere abbastanza protetti, lontano da tutto quello che stava accadendo nel resto dell’Europa.


Korczak faceva di tutto per procurare loro il cibo necessario per sopravvivere al mercato nero, usò tutte le sue conoscenze per ottenere i fondi necessari dall’esterno per poter assicurare la sopravvivenza ai suoi piccoli.
Nel 1941 vennero nuovamente trasferiti nel vecchio Club dei Commercianti e qui le condizioni dei bambini peggiorarono decisamente.
Il ghetto non rappresentava più un luogo sicuro per nessuno.
Ogni giorno i soldati tedeschi entravano per compiere rastrellamenti e deportare chi veniva arrestato nei lager.
Korczak, che nel frattempo si era ammalato, cercò di organizzare al meglio un alloggio di fortuna per i suoi 600 bambini.
Nel 1942 iniziò a scrivere un diario che si salvò miracolosamente dalla distruzione e che fu pubblicato per la prima volta nel 1958. Grazie al suo scritto è arrivata fino a noi una testimonianza diretta e senza filtri di quello che accadeva in quei giorni all’interno del ghetto di Varsavia.
Grazie alle sue memorie, abbiamo ho potuto apprendere che l’8 giugno Korczak e i suoi piccoli fecero un giuramento solenne, quello di “coltivare l’amore per gli esseri umani, per la giustizia, la verità e il lavoro”.
Riuscì fino all’ultimo a mantenere viva la speranza di un futuro, “come se il Male non ci fosse e non li riguardasse”, anche se era ben consapevole che il loro destino si stava per compiere.
Il 18 luglio, poco prima che la casa dell’orfano venisse chiusa, riuscì anche a far mettere in scena ai suoi piccoli uno spettacolo, “Il Corriere”,  dello scrittore indiano Robindranath Tagore, autore vietato dalla censura nazista. Nella rappresentazione si raccontava la storia  di un bambino malato, rinchiuso nella propria cameretta, che moriva sognando di correre per i campi.
Nel suo diario scrisse:…. “L’ho fatto per abituare i bambini ad accettare la morte serenamente”.
Il giorno che Korczak aspettava arrivò il 5 agosto.
Quella mattina i soldati nazisti entrarono nel ghetto di Varsavia e radunarono Korczak e i suoi bambini. Li avrebbero deportati nel campo di sterminio di Treblinka. Uscirono dalla loro casa vestiti con gli abiti migliori, lavati ordinati e pettinati, mano nella mano. A chiudere la lunga fila di quei piccoli angeli fu proprio  Janus Korczak.
Riconosciuto dagli ufficiali tedeschi come una importante autorità e come cittadino polacco, fu trattenuto, ma l’uomo si rifiutò di abbandonare i piccoli al loro destino.


Li seguì nella deportazione e nella morte.
Sulla sua fine ci sono due versioni diverse.
Alcuni riportano che entrò nella camera a gas insieme ai suoi bambini, altri che morì di dolore durante il viaggio verso il campo di sterminio. Qualsiasi cosa gli accade Janusz Korczak fu un uomo buono e giusto fino alla fine.
Lo Yad Vashem a Gerusalemme gli ha dedicato una piazza e un monumento opera dello scultore Boris Saktsier. L’opera realizzata in bronzo rappresenta il volto triste dell’uomo che abbraccia i suoi orfani in segno di protezione.
Tra le sue opere più importanti mi piace ricordare il suo scritto del 1919, Come amare il bambino, tradotta anche in italiano.

BIBLIOGRAFIA

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