Era una notte ventosa quella del 15 settembre 1948. Due ore dopo la mezzanotte gli invitati affollavano il salone da ballo del Grand Hotel Villa d’Este a Cernobbio. L’orchestra stava ancora suonando quando all’improvviso uno sparo: un uomo a terra fulminato da un unico colpo diretto al cuore e di fronte la sua assassina. In pochi istanti si consuma l’omicidio che passò alle cronache come il delitto dell’ermellino.
IL DELITTO DELL’ERMELLINO
La protagonista di questa vicenda è Pia Caroselli la più piccola dei sei figli di Romeo Caroselli, noto costruttore edile, e Nazarena Jannamorelli. Pia nacque il 29 Gennaio 1916 a Sulmona nel cuore dell’Abruzzo a ridosso del Parco nazionale della Maiella, cittadina rinomata nel mondo per la tradizionale produzione di confetti.
Pia era una ragazzina particolarmente sensibile, ombrosa ed incapace di sopportare la sofferenza, che diede non poche preoccupazioni ai genitori nel corso dell’adolescenza. Frequentò un collegio di suore a Roma sviluppando una religiosità particolarmente profonda che la portò ad una continua alternanza tra il desiderio di rispondere alla chiamata di Dio dedicandosi a una vita monastica e di trovare il grande amore. Ancora ragazzina subì, insieme ai genitori, il dolore per la perdita in tenera età di tre dei fratelli e nonostante papà Romeo e mamma Nazarena cercarono di colmare questo vuoto la gioventù di Pia fu sempre scandita da una profonda tristezza perché riteneva di non essere amata alla pari dei fratelli, condizione che la spinse a tentare più volte il suicidio.
La vita reale la spaventava, tuttavia a vent’anni riuscì ad invaghirsi di un avvocato di Sulmona ma i genitori la dissuasero a proseguire la relazione senza dare troppe spiegazioni. Il carattere di Pia piuttosto remissivo e la fragilità emotiva non l’aiutarono a contrastare questo divieto accettando senza discutere l’imposizione della famiglia, lasciando scivolare l’amore nell’oblio e chiudendosi ancora di più in sé stessa.
Galeotta fu una vacanza con la madre due anni più tardi a Cortina d’Ampezzo. Una bella ragazza come Pia attirava gli sguardi di ammirazione di numerosi uomini durante le passeggiate lungo Corso Italia che però suscitavano in lei imbarazzo e fastidio. Le fermate nei ristoranti erano una pena da cui Pia cercava di sottrarsi consumando velocemente il pasto e procedendo ad occhi bassi verso l’uscita immersa in voluminosi cappotti per meglio nascondersi da questi sguardi.

L’ultima sera prima della partenza, durante una cena come tante altre all’Hotel Cristallino, fu notata dal Conte Lamberto Bellentani che fece di tutto per farsela presentare da amici comuni. Il Conte rimase folgorato e tentò inutilmente di trattenerla il più a lungo possibile per conoscere meglio quella ragazza bruna dagli occhi blu ma inutilmente: terminata la cena, Pia si ritirò frettolosamente in camera per preparare le valige in vista della partenza della mattina successiva. Il conte Bellentani quella sera riuscì a malapena a strappare alla bella ragazza il nome di battesimo e la città di provenienza, informazioni che gli parvero insufficienti per sperare di rivederla. Ma come sempre la fortuna aiuta gli audaci e il caso volle che uno dei funzionari della banca dove il Conte era cliente fosse originario di Sulmona e addirittura scoprì che la ragazza era sua nipote, fu così facile organizzare un nuovo incontro.

Lamberto Bellentani era uno scapolo quarantenne proprietario di un’importante azienda di insaccati nell’Emilia, ma sicuramente meno bello e interessante degli innumerevoli corteggiatori di Pia. Aveva perso il padre a vent’anni e, più recentemente, la madre alla quale era molto legato e stava cercando di colmare questo vuoto con una presenza femminile. Il Conte, con determinazione e delicatezza, fece in modo che il proprio fascino maturo unito alla sua posizione sociale, che trasmetteva sicurezza, convincesse Pia ad accettarlo. Questa volta i genitori non si opposero al fidanzamento della figlia e a metà luglio del 1938 Pia convolò a nozze e diventò la contessa Bellentani.
Gli sposi vissero un paio d’anni tra Reggio Emilia e Bologna per permettere al Conte di seguire più da vicino l’azienda di insaccati introducendo Pia ad una animata vita mondana a cui non era certamente abituata e che non sempre gradiva. Pochi anni più tardi nacquero Flavia e Stefania che permisero a Pia di staccarsi da quella vita così lontana dalle sue abitudini con la scusa di dover trascorrere il tempo in casa per occuparsi delle figlie.
Nell’estate del 1940 i coniugi Bellentani parteciparono ad una festa in un lussuoso hotel veneziano durante la quale Pia conobbe Carlo Sacchi senza che questo incontro suscitasse in nessuno dei due particolari emozioni. Carlo Sacchi, orfano, abbandonò la scuola molto presto per dedicarsi al lavoro e dopo una lunga esperienza in Germania ritornò in Italia per dedicarsi all’industria tessile della seta con la quale aveva accumulato una discreta fortuna. Si era sposato nel 1934 con una ex ballerina viennese con la quale aveva avuto 3 figlie. Dopo il matrimonio si era dedicato alle figlie, agli studi letterari e a un nutrito stuolo di amanti che cambiava con una certa regolarità. La moglie faceva finta di nulla e assecondava pazientemente questa “debolezza” del marito.

Nel 1941, nel pieno del secondo conflitto Mondiale, la famiglia Bellentani si trasferì a Cernobbio, elegante località sul Lario, e fu lì che Pia strinse una bella amicizia con Ada Mantero Sacchi, sorella di quel Carlo che aveva conosciuto di sfuggita l’anno precedente a Venezia.

Quello stesso anno un grave lutto colpì la famiglia Sacchi: Silvia, la figlia maggiore di Carlo perse la vita gettando l’uomo nello sconforto più totale. Fu proprio questo evento che fece avvicinare Pia a Carlo nel tentativo da parte della donna di consolarlo per questa grave perdita.
La guerra stava tenendo lontano da casa il conte Bellentani, occupato a tempo pieno in Emilia per portare avanti il lavoro nella fabbrica in tempi difficili, favorendo tra i due amici Pia e Carlo un’atmosfera sempre più intima. Pia trovava in Carlo l’amore represso di gioventù e il calore che non aveva avuto nel matrimonio con il Conte, mentre Carlo in questo rapporto trovava riscatto e attenzioni per la difficile adolescenza passata e sollievo per la tragica morte della figlia.
Alla fine della Guerra i Bellentani si trasferirono definitivamente a Cernobbio riprendendo le occasioni mondane dei tempi passati e consolidando l’amicizia e la vicinanza con la famiglia Sacchi. Pia, riconoscente, scriveva al suo amato Carlo languide lettere d’amore nelle quali esprimeva non solo i suoi sentimenti ma anche lo stato d’animo e il benessere che questa relazione le stava portando. Carlo era invece piuttosto indifferente alla cosa e la ripresa di una vita senza guerra lo fece uscire dalla depressione spostando i suoi interessi verso la mondanità e le amanti.

Nonostante le premesse i due intrecciarono una relazione sentimentale clandestina: Pia soffriva di gelosia più per le scappatelle di Carlo che per la moglie con la quale continuava ad essere coniugato, ma allo stesso tempo cercava di non dare troppo peso alla situazione in quanto di solito erano relazioni di brevissima durata.
Nel 1946, poco più di un anno dopo l’inizio di questa relazione fatta di alti e bassi Carlo, come spesso succedeva con altre concubine, si stancò di Pia ma non si assunse la responsabilità di interrompere il rapporto lasciandolo invece andare alla deriva semplicemente ignorandolo. Per Pia fu una realtà troppo difficile da accettare pertanto ogni volta si convinceva che non era nulla e che presto tutto sarebbe passato e ritornato alla normalità.
Nel 1947 Carlo Sacchi incontrò Sandra Guidi – detta Mimì – ex moglie di un industriale svizzero con la quale il dongiovanni stabilì una relazione stabile e alla luce del sole. Mimì era più anziana e meno bella di Pia ma anche meno ossessiva e più predisposta a seguire il suo amante nella vita dissoluta che così tanto piaceva a Carlo. Pia non resse il colpo e un giorno in sella a una motoretta cercò la morte lanciandosi contro la macchina in corsa di Carlo, che solo per poco riuscì ad evitare l’impatto lasciando a terra Pia dolorante ma viva. Lui invece di soccorrerla, con spietato cinismo, le si avventò contro insultandola per aver ammaccato la sua auto sportiva.

Questo grave fatto avrebbe dovuto aiutare Pia ad aprire gli occhi per farle comprendere definitivamente che non c’era più spazio per lei invece la spinse a lottare ancora con più forza per cercare di rimettere in pista la relazione. Da quel momento Carlo non perdeva occasione per schernirla in pubblico etichettandola come “una sciocca e romantica sognatrice” provocando in Pia sempre più dolore e portandola a trascurare figlie e marito che nulla ancora sospettava di questo amore clandestino. Provò anche a sfogarsi con un’amica inviandole una serie di lettere ma nessuna consolazione fu d’aiuto per lenire le ferite dell’anima martoriata di Pia.
I giorni passarono ma le cose rimasero immutate, anzi diventarono sempre peggio per Pia. Il 15 Settembre del 1948 il conte Bellentani venne invitato con la moglie a una sfilata al Grand Hotel Villa d’Este. Pia racconterà di aver avuto tutto il giorno un’emicrania che la costrinse a letto per la maggior parte del pomeriggio e che più volte le fece pensare se partecipare o meno al ricevimento.
Avrebbe poi spiegato nelle sue memorie, che nel pomeriggio si sentì persino con Lilian Willinger, la moglie di Carlo, la quale si preoccupò per il suo stato di salute suggerendole di assumere qualche calmante. Pia la rassicurò che lo avrebbe fatto. Nonostante in serata il malessere fosse passato Pia rimase comunque incerta se prender parte alla festa: le ci volle un po’ di tempo prima che riuscisse ad alzarsi e convincersi a presentarsi al défilé.
Per un crudele gioco del destino i coniugi Bellentani e Sacchi furono assegnati allo stesso tavolo con Mimì seduta poco lontano. Quando Carlo Sacchi a un certo momento della serata si recò al bancone del bar per prendere da bere fu raggiunto da Pia desiderosa di un chiarimento relativamente alla loro relazione. Carlo la considerò con sufficienza, fu allora che Pia estrasse una pistola dalla candida pelliccia d’ermellino che indossava. L’uomo con la spavalderia e indifferenza che lo contraddistingueva non si scompose affatto anzi, sorrise e schernì per l’ultima volta la sua ex fiamma Pia.
Era una notte ventosa quella del 15 settembre 1948. Due ore dopo la mezzanotte gli invitati ancora affollavano il salone da ballo del Grand Hotel Villa d’Este a Cernobbio. Avevano partecipato al défilé della famosa sarta milanese Biki per l’inverno 1948-49. L’orchestra stava ancora suonando per gli irriducibili del ballo mentre altri ospiti chiacchieravano ai tavoli o si accingevano ai saluti per poi recarsi al guardaroba e congedarsi dal ricevimento. All’improvviso uno sparo: Carlo Sacchi a terra fulminato da un unico colpo diretto al cuore e di fronte Pia disperata per non essere riuscita lei stessa a togliersi la vita per andare via per sempre con il suo unico vero amore. In pochi istanti si consumò l’omicidio che passò alle cronache come il delitto dell’ermellino.

Il 4 marzo 1952, con la richiesta di una perizia psichiatrica sulla contessa Bellentani che partecipò solo alle prime udienze per motivi di salute, inizia uno dei casi più affascinanti e discussi del dopoguerra. Un delitto che dividerà gli italiani tra colpevolisti e innocentisti e sul quale i maggiori rotocalchi italiani si tuffarono, descrivendo un mondo ricco e borghese amorale, privo di valori e sentimenti che li portava a vivere in una continua ipocrisia.
La condanna apparve relativamente mite: 10 anni di reclusione di cui 3 condonati e ulteriori 3 anni da trascorrere in una casa di cura ovvero il manicomio criminale di Aversa. Pia cercò di passare gli anni che doveva scontare sopravvivendo alla solitudine leggendo, confezionando dei regali per le sue bambine e suonando.

Il marito, nel frattempo, si trasferì a Montecarlo con le figlie ma non fece mai mancare a Pia la propria presenza e quella delle bambine visitandola con regolarità per tutto il periodo di detenzione. A Natale del 1955 il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi le concesse la grazia permettendole di lasciare con un semestre d’anticipo il manicomio giudiziario di Pozzuoli dove, nel frattempo, era stata trasferita e di fatto ulteriormente mitigando la già modesta pena inflitta. Poco dopo la sua scarcerazione il marito Lamberto Bellentani morì, Pia si trasferì con le figlie prima a Sulmona e successivamente a Roma dove visse una vita molto ritirata sino alla sua morte nel 1980.
Un argomento su tutti per questo delitto rimase a lungo sulle bocche di molti: Maria Pia Bellentani, seppur rea confessa, facendo leva sui privilegi legati al suo acquisito rango nobiliare non pagherà mai completamente il prezzo del suo scellerato gesto.