Il 28 dicembre, giorno dei Santi Martiri Innocenti, ha un significato del tutto particolare per la storia svizzera in generale e ticinese in particolare. Infatti, proprio in questo giorno, nel 1478, poco fuori il paese di Giornico, si svolse la celebre “battaglia dei Sassi Grossi”.

Un territorio conteso
Giornico, importante centro politico e religioso della Valle Leventina, gode di una posizione strategica, ai piedi delle gole della Biaschina: per questo motivo, nel corso dei secoli, è stato luogo di sosta e di approvvigionamento per chi intendeva varcare le Alpi tramite il passo del San Gottardo. Di spicco durante il Medioevo fu il ricco casato dei Da Giornico, che vantava possedimenti in Leventina e nelle tre altre due valli ambrosiane di Riviera e Blenio. Nell’XI secolo, il potente casato si schierò con il Sacro Romano Impero contro i canonici del Duomo di Milano. Tuttavia, dopo la sconfitta di Federico Barbarossa nella battaglia di Legnano, la valle tornò sotto il controllo dei canonici del Duomo di Milano, fatto che tolse al casato il dominio sulla valle. Sotto la signoria del capitolo di Milano, era a Giornico che si tenevano le sessioni supplementari di giustizia delle Tre valli.

Gli intrecci politici e la questione delle selve castanili
Dunque, fin dal pieno Medioevo la cittadina di Giornico si trovava contesa tra Milano e la realtà germanica. Il passo del San Gottardo era stato investito della massima importanza fin dal sorgere della Confederazione elvetica, tanto che fu oggetto di contesa tra Como e Milano da una parte e i confederati dall’altra già nel 1331. Tale conflitto si risolse con la Pace di Como, che indicava la Leventina fino al Piottino zona di influenza urana e che garantiva il libero passaggio per il San Gottardo. La situazione precipitò con la morte del duca Gian Galeazzo Visconti e il conseguente crollo dello Stato visconteo. I confederati approfittarono della situazione per scendere nella Leventina, che occuparono fino a Claro. Il patto che strinsero con i leventinesi era in realtà un vincolo di subordinazione, con il quale erano i Cantoni a inviare il podestà e a disporre della milizia. Con Filippo Maria Visconti, il Ducato di Milano riprese forza e richiese ai nuovi dominatori la città di Bellinzona. A una risposta negativa, a marzo del 1422, il Duca mandò in occupazione le truppe capeggiate da Francesco Carmagnola. La situazione portò alla battaglia di Arbedo (29 giugno 1422) tra confederati e milanesi per il possesso di Bellinzona. Le truppe confederate vennero costrette a ripiegare dal Carmagnola. I confederati persero tutto il Ticino, che tornò ai Visconti. Tuttavia, nel 1424 i leventinesi si ribellarono ai Visconti.

La Leventina venne rioccupata stabilmente nel 1439 e, con la pace del 1441, riconosciuta in loro possesso. I rapporti con i milanesi si fecero ancora più tesi e sorse una nuova causa del contendere: i boschi di castagno. I leventinesi erano proprietari di numerose selve castanili nei territori di Iragna, Lodrino e Moleno, ma, con la cessione della Leventina al Canton Uri e lo spostamento del confine a sud di Personico, queste rimasero in territorio milanese. L’estrema difficoltà a provvedere alla raccolta delle castagne, ora in uno Stato straniero, privava i leventinesi di un cibo indispensabile. Alcuni storici indicano addirittura questo fatto come il motivo scatenante della battaglia dei Sassi Grossi. A questo si aggiunse il rifiuto dei canonici del Duomo di Milano di rinunciare ai diritti sulla Leventina, a differenza di quanto aveva promesso il governo ducale. Uri insistette affinché questi diritti, già riconosciutigli, fossero esplicitamente confermati. Il governo ducale diede una risposta evasiva. Era la rottura. Il 31 ottobre 1478 Uri si vedeva costretto a dichiarare guerra a Milano e domandava l’aiuto dei confederati. Si accusava Milano di non aver tenuto fede alle promesse e di aver umiliato gli ambasciatori svizzeri. Fu così che le truppe regolari varcarono il San Gottardo.

La stretta finale e lo scoppio della battaglia
Il 30 novembre la maggior parte dell’esercito confederato passava la Moesa al comando dello zurigano Hans Waldmann. Biasca si sottomise. Claro e Lodrino vennero conquistate. Bellinzona venne stretta d’assedio, ma Milano s’affrettava a preparare l’esercito per la riscossa. Una parte dell’esercito puntava da Domodossola e da Locarno, l’altra da Chiavenna per il San Jorio e una terza puntava sul Ceneri. Sentendosi alle strette e incalzati dal rigore dell’imminente stagione invernale, gli svizzeri levarono frettolosamente il campo e si ritirarono oltre il San Gottardo. Rimasero in Leventina, di istanza a Giornico, 175 confederati (100 urani, 25 svittesi, 25 lucernesi e 25 zurigani) con l’ordine di difendere, d’accordo con i leventinesi, la vallata da una probabile avanzata dei milanesi. Contro la volontà dell’esercito il Consiglio ducale decise l’avanzata in Leventina. Marsilio Torello, il comandante dei milanesi, decise di forzare il passaggio. Il 27 dicembre riunì le truppe, e la mattina del 28, con circa quindicimila uomini si mise in marcia. Un distaccamento di questa truppa doveva aver ricevuto l’ordine di salire in Val di Blenio e, per il Nara, scendere in Leventina e cadere alle spalle del gruppo svizzero di Giornico. Da quanto riportato dai testimoni diretti del fatto, il Torello non aveva scelto a caso la data del 28 dicembre: era infatti il giorno dei Martiri Innocenti, e sapeva che i confederati non si battevano volentieri in questo giorno. Le premesse sembravano essere favorevoli ai milanesi: gli avamposti di Pollegio vennero completamente sorpresi e sopraffatti. Ma l’allarme era stato dato in tempo alla guarnigione di Giornico, alla quale si unirono 400 leventinesi. Rapidamente si inviarono uomini verso la bassa valle per sbarrare la strada sopra a Bodio, nel punto in cui una grande parete rocciosa chiude la vallata quasi fino al fiume. La popolazione locale, memore dei torti subiti dai milanesi, non ultima la questione delle selve castanili, decise di farsi guidare da Carlo Francesco Stanga e di appoggiare i confederati. Fu la loro conoscenza del territorio a portare alla vittoria schiacciante. Presero infatti posizione al di sopra della roccia verticale, quasi a picco sopra la strada, in un punto in cui la valle si restringe. Si dice addirittura che un torrente fosse fatto uscire dal suo alveo sulla strada affinché, gelando, rendesse più difficile la marcia del nemico; per questo fatto l’episodio è noto anche come “guerra del ghiaccio”. L’imboscata era pronta: le truppe milanesi poterono entrare nella gola indisturbate.
Ma, improvvisamente, iniziarono a scoccare colpi dagli archibugi, mentre enormi pietre e blocchi di roccia, insieme a tronchi d’albero, venivano fatti precipitare dai leventinesi dall’alto della parete rocciosa. Il panico e la confusione divennero generali. Gli abitanti di Sobrio, Calonico, Anzonico e Cavagnago portarono con tutti i mezzi aiuto al piccolo esercito. Le truppe ducali furono incalzate fino al ponte di Biasca. A quel passaggio, la ressa fu tale che molti annegarono nel fiume nel tentativo di guadarlo. Trovarono morte sul campo ben 1400 milanesi, mentre le perdite tra i leventinesi furono una cinquantina. Lo stesso Carlo Francesco Stanga, che con le sue gesta in battaglia era ormai entrato nella leggenda, gravemente colpito, morì subito dopo essere rientrato nella sua casa, l’edificio dalla facciata adorna di numerosi stemmi che ora ospita il Museo di Leventina. Numerosi i prigionieri: tra questi il cappellano dell’esercito, prete Angelino da Bellinzona. Dello sviluppo tattico della battaglia si conosce ben poco. Non ci fu una battaglia nel senso classico. Al primo scontro seguì lo scompiglio dell’esercito ducale. Lo scompiglio si tramutò in fuga e la fuga in rotta. La conseguenza della sconfitta, ovvero la perdita del Ticino, fu molto dura per Milano. La Leventina per prima si era data spontaneamente ai confederati, e fu poi seguita da tutte le regioni del Ticino. E fu così che il Ticino divenne svizzero.

La memoria del giorno dei Martiri Innocenti
I vincitori non vollero neppure lasciare asportare i cadaveri dei caduti, ma li seppellirono sul campo stesso della battaglia, nei pressi di Pollegio, affinché i bellinzonesi, che per molti anni offesero i confederati, sappiano di dover celebrare l’anniversario della morte dei caduti. Su questo luogo di sepoltura, nel 1487, venne edificato un ossario. Nel corso del XVII secolo, prospiciente l’ossario (poi abbattuto nel corso del XIX secolo), venne edificata la Chiesa dei Santi Martiri Innocenti, in ricordo del giorno in cui si svolse lo scontro. L’episodio è narrato nei martirologi cinquecenteschi conservati a Chironico, Mairengo e Quinto. In particolare, così recita il Martirologio di Quinto, al giorno 28 dicembre:
M.CCCC.LXXVIIII, inditione XIa die lune XXVIIIIa mensis decembris super die sanctorum Innocentium facta fuit maxima pugna per magnificos Dominos nostros Uranienses una cum illis de Suizio, de Zurico, de Lucerna et de Leventina super terretorium vicinantie de Zornico contra exercitum Ducis Mediolani et interfecti fuerunt centenaria XIIII de Lombardis. Et statutum fuit quod omni anno super suprascriptam diem Innocentium fiat specialis commemoratio pro suprascriptis defunctis.
