Miazzina: l’isola che non c’è!

Tempo di lettura: 20 minuti

Sono nato a inizio estate del 1969 e da subito ho frequentato questo posto con mamma e papà a passeggio sotto i pini della Villa Bassi per farmi respirare l’aria salubre del posto e contrastare quella più pesante di Milano dove allora abitavo...
MIazzina 2

“Seconda stella a destra, questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino.
Poi la strada la trovi da te, porta all’isola che non c’è”.

Così incomincia la famosa canzone di Edoardo Bennato, ispirata alle avventure di Peter Pan, che descrive un luogo dai confini evanescenti che incoraggia a ritrovare in noi stessi lo sguardo incantato del bambino sulla vita e sul mondo.
“L’isola che non c’è” spesso è associata a un luogo immaginario presente solo nel regno dei sogni e della fantasia: io credo invece di averla identificata in un paesino di poco più di 400 anime sulle alture del Lago Maggiore dal quale, il ramo paterno della mia famiglia, ha le sue origini.
Sono nato a inizio estate del 1969 e da subito ho frequentato questo posto con mamma e papà a passeggio sotto i pini della Villa Bassi per farmi respirare l’aria salubre del posto e contrastare quella più pesante di Milano dove allora abitavo.
La casa di famiglia dei nonni è sempre stata la meta preferita nelle lunghe estati della mia giovinezza durante le quali ho maturato amicizie, che durano tutt’oggi, trascorrendo insieme meravigliose giornate spensierate.

Infanzia & fanciullezza
Il paese non è grande e, nonostante fosse privo di qualsiasi pericolo e tutte le case avessero la porta aperta, non ci era concesso allontanarci troppo dalle abitazioni. Avevamo dei luoghi fissi dove ci si ritrovava per giocare. La strada nuova, con un traffico di macchine quasi assente, era la meta preferita per giocare a “burlisch”: si prendeva una grossa lattina da 5kg di pelati o marmellata, la si piazzava proprio in mezzo alla carreggiata nel tratto rettilineo e, da una certa distanza, ciascuno armato di una grossa pietra cercava di colpire la latta.
Nei pressi vi era anche un lavatoio sui cui bordi si giocava a fare gli equilibristi evitando di caderci dentro in attesa del proprio turno.

Il parco giochi con una locomotiva a vapore vera, portata non senza difficoltà sul finire degli anni 60, era il ritrovo del pomeriggio: quanti giochi e quante sbucciature sull’altalena, sullo scivolo, sulla giostra rossa e arrugginita e sulla stessa locomotiva dove i più temerari cercavano di arrampicarsi in luoghi sempre più impervi, mentre quelli meno scalmanati (o più timorosi) semplicemente si mettevano ai comandi immaginando un viaggio in posti lontani. Alla sera, seduti sul muretto a secco che delimitava il parco giochi dal prospicente prato, la locomotiva offriva riparo a solitarie coppiette di innamorati o gruppi di adolescenti spesso intenti a fumar di nascosto le prime sigarette passando lì parte della serata e, qualche volta, anche la nottata. La locomotiva e i giochi vennero smantellati una ventina di anni or sono per lasciare posto a un parco giochi meno pericoloso e più a norma.


Prati e boschi erano naturalmente a portata di mano, in meno di un paio di minuti di cammino ci si trovava sufficientemente lontani dalle case per immaginare di essere in quei meravigliosi mondi che solo i bambini sanno costruire, vedere e visitare. Con i miei compagni di avventure avevamo identificato un albero con una serie di tronchi non troppo grandi che formavano una sorta di cerchio come la nostra base e da lì la fervida immaginazione ci faceva inventare ogni giorno un’avventura diversa. Naturalmente non mancavano tentativi maldestri di costruire una capanna sugli alberi oppure di scalare un grosso faggio nelle vicinanze che offriva alcuni rami all’altezza giusta per affrontare tale prova.
La sera, o meglio il periodo che precedeva la cena e quello immediatamente successivo, era dedicato al ritrovo nella piazza del Luogo Dentro. Tra i giochi, il calcio era quello più gettonato specialmente tra i maschi: ci si ritrovava senza necessità di fornire un orario con il pallone. La fine del muro, lo stipite di un portone e la targa recante il nome della piazza rappresentavano rispettivamente i pali e la traversa di una porta immaginaria e a turno si faceva il portiere mentre gli altri erano i giocatori che tentavano di segnare il goal stando all’unica regola del gioco “chi fa goal va in porta”. In piazza erano posteggiate diverse automobili e, nonostante cercassimo di fare attenzione, inevitabilmente la foga del gioco ci portava a mancare il pallone che ricadeva sulle auto, talvolta sui vetri, più spesso sulla carrozzeria. Alcuni proprietari non si accorgevano nemmeno, altri erano più tolleranti e lasciavano correre senza dire nulla ma alcuni erano (giustamente) inferociti specie se le macchine erano relativamente nuove ed uscivano in piazza lamentandosi. Noi dispiaciuti riprendevamo comunque a giocare con la promessa di fare più attenzione, ma invano: immancabilmente la scena si ripeteva con una certa costanza.
Nella parte sinistra della casa di sasso di 3 piani costruita nel 1911 dove abitavo c’era l’Osteria Alpina, uno dei tanti luoghi di ritrovo degli abitanti e dei villeggianti. Il locale disponeva all’esterno di un campo da bocce e un pezzo di terreno ombreggiato da un bersot di uva americana sotto il quale vi erano una serie di tavolini dove gli avventori consumavano bevande e giocavano a carte.

Quei tavolini, nelle soleggiate mattinate di agosto, erano spesso frequentati da un gruppo di uomini che giocavano a scopa, tresette o ciapanò sorseggiando un paio di litri di campari con il vino bianco, consumazione che solitamente veniva pagata dai perdenti delle partite a carte. Di fronte alla casa c’era (ma per la verità esiste ancora) il Panighini: un negozio di alimentari con annesso il panificio (ora purtroppo dismesso). Il profumo di pane appena sfornato si diffondeva già dalle prime ore del mattino e i giocatori di carte spesso incaricavano uno di noi di prendere delle michette calde che riempivano con la pancetta per accompagnare le caraffe di campari col bianco. Spesso veniva offerto anche a noi un pezzo di quella prelibatezza: che bontà! Se le partite di carte erano giocate nel pomeriggio il panino veniva sostituito dalla Torta Panighini, un’indimenticabile specialità del negozio, accompagnata da un’ombra di vino spesso consumato nel famoso “tazzinin”.
Il gioco delle bocce si animava soprattutto alla sera quando l’Osteria Alpina si riempiva di villeggianti e miazzinesi (buona parte erano i nostri genitori): chi giocava a carte, chi a bocce chi semplicemente passava per vedersi con gli amici e scambiare quattro chiacchiere e così si andava vanti fino oltre mezzanotte e il vociare (talvolta le grida) dei giocatori accompagnavano le nostre serate estive. In qualche occasione ci era permesso di rimanere alzati un po’ di più e mangiare un gelato anche in ora tarda: ci si appollaiava sulla ringhiera della scala che portava all’osteria per meglio vedere le partite degli adulti. Il campo da bocce alla mattina e al pomeriggio rimaneva inutilizzato. Spesso si riusciva ad organizzare delle sfide in cui giocavano genitori, fratelli, sorelle cugini, ragazzi, bambini ma anche nonni: quante battaglie per poter vincere una partita e che delusione quando la si perdeva, magari solo per qualche punto o per un tiro sbagliato, oppure quando il campo veniva bagnato per poterlo poi preparare per la sera. Pur di giocare una partita in più, spesso si attendeva sotto al bersot che il campo si asciugasse. Per prepararlo per prima cosa era necessario verificare che non mancasse sabbia, nel qual caso veniva aggiunta passandola in un grosso setaccio che oltre filtrare eventuali impurità permetteva di stenderla in modo uniforme.

Terminato questo primo compito si tirava un sacco di juta con sopra un peso (solitamente una cassetta con un pezzo di legno da stufa) per spargere a dovere la sabbia e successivamente si passava un pesante rullo di pietra per rendere il campo liscio come un biliardo. Ricordo che un anno uno degli avventori si presentò con della polvere di marmo, derivata dagli scarti del proprio lavoro, affinché il terreno risultasse ancora più liscio e compatto.
All’Osteria Alpina veniva organizzata dalla compagnia dei nostri genitori una volta all’anno sotto Ferragosto, una meravigliosa festa alla quale partecipavano facilmente una trentina di persone. I preparativi fervevano già alla mattina presto: nelle cantine veniva allestita una catena di montaggio dagli uomini per preparare i vari spiedini e carni per la grigliata, le donne invece si occupavano dei primi piatti ed intingoli ciascuno nella propria abitazione mentre altre preparavano la lunga tavolata sotto al bersot.
Di fianco all’edificio c’era una legnaia con un pezzo di prato dove normalmente un tempo si bruciavano sterpaglie e legna e in quel luogo veniva preparato il fuoco sul quale poi veniva adagiata una griglia dalle notevoli dimensioni. La combriccola vantava nei propri ranghi anche un cuoco di professione che, oltre ad aiutare nelle preparazioni dei vari piatti, portava un sale aromatico di propria produzione per insaporire le carni grigliate. Alla fine del pranzo il sale veniva distribuito ai commensali come ricordo in piccoli vasetti di vetro affinché quel sapore rimanesse sulla tavola delle nostre famiglie sino all’estate successiva. Noi eravamo sempre disponibili a dare una mano nella preparazione e, nonostante non fossimo invitati al pranzo e risultassimo più un ingombro che un aiuto, eravamo felici di aver contribuito alla realizzazione di quella festa. Che giornata e che ventata di allegria si diffondeva intorno all’osteria insieme ai profumi dei manicaretti preparati. La festa durava fino a tardo pomeriggio quando i più impavidi riprendevano le solite attività di bocce oppure carte e i meno prestanti si rifugiavano nelle case per delle sonore ronfate.

Durante il periodo estivo si contavano almeno 3 grandi appuntamenti sacri a cui non rinunciare e tutt’oggi presenti: ad inizio agosto la festa di S. Ulderico, patrono del paese insieme a S. Lucia, con celebrazione nella chiesa principale, la solennità dell’Assunta nel giorno di Ferragosto in onore della Madonna dell’oratorio di Luogo Dentro ed infine ai primi giorni di Settembre la S. Messa solenne in onore della Madonna dell’oratorio di Luogo di Là. Alla fine delle celebrazioni seguiva sul sagrato della chiesa un incanto di prodotti donati dagli abitanti e dai villeggianti il cui ricavato veniva offerto alla Chiesa. Questo incanto è stato condotto per lungo tempo da Ernesto, mio nonno paterno, che con maestria ed una serie di frasi ad “effetto” cercava di spronare gli spettatori a fare rilanci di prezzo sempre maggiori ricordando con costanza che “è un’offerta, si sa!”.
Nel paese allora vi erano una moltitudine di bar e osterie, io ne ricordo attive almeno sei: L’Osteria Alpina, La Pinotta, Il “Bugin”, Il Visconti o bar Blu, Il Miazzina e Il Milano in aggiunta a questi c’era anche la locanda all’Alpe Pala e una osteria alla Colletta. I locali erano frequentati pressoché a qualsiasi ora con una pausa nelle ore più calde ed una maggiore affluenza di sera e alla fine dell’orario di lavoro, per un aperitivo con il Campari Soda oppure il “tazzinin” di vino rosso. Alcuni di questi locali con il passar del tempo hanno purtroppo definitivamente chiuso, altri sono stati rinnovati negli anni e trasformati e sono tuttora attivi.

Adolescenza & giovinezza
Gli anni passano e arriviamo nella metà degli anni 80, l’Osteria Alpina chiude i battenti: la sorella di mio nonno che la gestiva non se la sentì di continuare e decise, raggiunti gli 80 anni, di concedersi un meritato riposo. I figli avevano già tutti un loro lavoro ben avviato e non poterono proseguire l’avventura, si chiuse così una meravigliosa parentesi della nostra vita.
Era arrivata l’età per poter guidare una moto, prima il cinquantino e successivamente il 125 , quasi tutte Vespe: l’ET3 125 Primavara oppure il glorioso PX. Come cantavano i Lunapop nel lontano 1999 “Ma quanto è bello andare in giro per i colli bolognesi, se hai una Vespa Special che ti toglie i problemi…”. I colli erano quelli Miazzinesi e dintorni ma queste “frecce con attaccata una targa” ci hanno veramente regalato un po’ più di libertà ed indipendenza con la testa leggera e libera da qualsiasi pensiero. Eravamo un bel gruppo di “centauri” ciascuno con un passeggero sulla sella, anche se non avevamo l’età per portarlo il rischio era una piccola multa che potevamo permetterci a fronte di un divertimento assicurato, tanto più che spesso i vigili chiudevano un occhio lasciandoci passare senza fermarci.

Ogni scusa era buona per andare in giro: a fare il bagno nell’acqua gelida di Santino oppure al “Scirsch”, il fiume di Cambiasca con temperature altrettanto artiche. Un giro a Intra per un gelato oppure una serata a Pallanza per una pizza con “struscio” sul lungolago e immancabile ritrovo alla fontana che ora non c’è più ed è stata sostituita da un piccolo parcheggio. Nelle allora più fredde notti di Agosto con la scusa di vedere le stelle cadenti si andava a tarda sera a Cappella Fina e ci si concedeva un “vin brulé” preparato direttamente sul posto. Ciascuno recuperava di soppiatto da casa gli ingredienti disponibili, con una pentola vecchia, un fuoco, tanta amicizia e qualche canto la serata era garantita!
Talvolta con le moto affrontavamo anche viaggi più “impegnativi”: Sass Fee, le Centovalli, La Svizzera, Piancavallo con risalita da Premeno e discesa dall’Alpe Segletta. Per quelli come me che abitavano a Milano c’era anche il viaggio sulla provinciale sino a Laveno per raggiungere il battello e traghettare a Intra per poi incominciare l’estate e purtroppo, ai primi di settembre, anche quello di ritorno per affrontare un nuovo anno scolastico.
Uno degli appuntamenti serali abbastanza fissi dell’estate era L’Alpe Pala con la sua locanda ma soprattutto il suo bar con calcetto e Juke Box all’esterno …. Quante canzoni che hanno suonato in quelle serate, quante sfide al calciobalilla che abbiamo fatto! Per qualcuno arrivarono anche le esperienze dei primi amori. Siccome Pala era a pochi minuti da Miazzina ci si ritrovavano spesso compagnie di età leggermente diverse, principalmente erano 3 quelli tra i 12 e 16 anni, la mia tra i 16 e 19 e quella dei più grandi tra i 20 e 25: alcune serate si contavano quasi una cinquantina di persone che gravitavano attorno alla piazza. Serate indimenticabili che oggi si sono un po’ perse.

La Pro Loco ed alcuni volontari intorno agli anni ‘90 hanno incominciato ad organizzare tre serate danzanti con una cena sotto al tendone e una tombola nel pomeriggio di Ferragosto. Le feste erano molto frequentate e, dopo una pantagruelica cena all’aperto, c’era l’occasione per scaldarsi con qualche ballo fino a mezzanotte inoltrata. Una sorta di rito che dura ancora oggi, fermato solamente dalla recente pandemia ma che speriamo di poter rivivere dal prossimo anno.
Altre occasioni di ritrovo erano rappresentate dalle feste nelle località Rugno, La Piana e Curgei dagli alpeggi ben tenuti da proprietari di cascine, terreni o semplicemente volontari che desiderano mantenere vivo un ricordo del passato. Immancabile l’appuntamento in “Butina” per una passeggiata e un assaggio del latte appena munto raccolto con una foglia di quercia, come facevano una volta i bambini, esperienza sensoriale che sono certo in pochi si sono potuti permettere anche se molti sono certo storceranno il naso leggendo, ma solamente perché non avete mai provato!
Il tempo scorre e ci troviamo catapultati negli anni ‘90 periodo in cui le prime coppie cominciano a sposarsi seguiti a ruota da quelle più giovani. Per le coppie più “refrattarie” oppure quelle che si ritenevano più prossime al grande passo, si organizzava un matrimonio “campestre” con tanto di costumi per il celebrante (il sottoscritto), chierichetti, invitati, abiti da sposa, fiori e pranzo o rinfresco per simulare le prove generali di quello che sarebbe accaduto da lì a poco. Tradizione che è rimasta tutt’ora per le coppie non ancora molto convinte.
I primi anni di matrimonio ci hanno portato a fare qualche viaggio in solitaria e pur ritrovandoci per qualche tempo a Miazzina il legame sempre importante sembrava affievolirsi, anche il paese sembrava più vuoto perché spesso i periodi di ferie non coincidevano. L’arrivo dei figli e l’ingresso in un’età più matura hanno invece riportato le famiglie nuovamente al paesello ricreando quel magico momento che avevamo vissuto in giovinezza e che in qualche modo riviviamo adesso nel ruolo di genitori.
I tempi sono un po’ cambiati ma noi siamo rimasti quelli di un tempo e anche se qualche volta qualche acciacco in più si fa sentire abbiamo sempre uno spirito sbarazzino che ci suggerisce di continuare a ripercorrere senza posa tutte le cose che un tempo ci rendevano felici. I nostri figli fanno parte di una nutrita compagnia che ci permette di rivedere in loro quello che noi eravamo. Ci piace giocare insieme a loro organizzando tornei di pallavolo o gite ai vari alpeggi per trasmettere quanto di magico questo paese ci ha saputo dare, un luogo dove è possibile abbandonare l’orologio e lasciarsi andare ai ritmi del sole, per assaporare libertà, bellezza, suoni e profumi attuali e di un tempo di cui personalmente non posso più fare a meno.
Un paese dalle mille emozioni, quelle che ti lasciano una voglia irrefrenabile di ritornare e una grossa pietra sul cuore quando lo devi lasciare, nella sicurezza che la prossima volta i luoghi e le sensazioni saranno uguali a prima ma immancabilmente diversi, nelle spensierate giornate senza tempo a godere dei meravigliosi panorami al tramonto. Miazzina è proprio l’isola che non c’è, non un luogo ma un’esperienza da vivere, una sensazione come quella delle farfalle nello stomaco che forse è il forte richiamo di questo angolo di mondo intimamente connesso con cuore ed anima che tutti gli anni ci riporta qui mettendo in scena la fine arte e la bellezza di tornare negli stessi posti.
Ecco, Miazzina è tutta qui, nella semplicità delle piccole grandi cose, di insegnamenti lontani ma sempre attuali, di momenti di felicità che si rinnovano.
L’idea di questo scritto mi è stata ispirata da centotrenta endecasillabi ad opera di un anonimo innamorato di Miazzina scritti nel 1952 che ho casualmente ritrovato. Mi sono accorto leggendolo che, semplicemente cambiando un po’ nomi, qualche luogo e poco altro chiunque di qualsiasi età possa ritrovare un po’ della propria vita a Miazzina. Una connessione speciale che magicamente, come nelle fiabe, dimostra che tutto in fondo è possibile anche appunto l’esistenza di un’isola che non c’è. Ecco la composizione:

Un paesello quasi appollaiato
Sulle ridenti sponde del Verbano
Molte casette, quasi un abitato
Un pochettino più piccolo di Milano

Un campanile lungo, allampanato,
Presso la Chiesa, posta alla metà
Tra due gruppi, di cui uno chiamato
“el Log in denter” e l’altro “el Log in là”
Ville, villette, baita o cascina,
il Grand Hotel Milano ed il Visconti
il Majestic Bellevue bristol Miazzina
con zia Pina, Giovanna e il duo dei Monti.
Una fonte direi … miracolosa
Che dite? Fiuggi oppure Montecatini?
Sì … d’accordo. Ma questa è un’altra cosa:

qui c’è Ruscel per gusti sopraffin
La gente qui è simpatica e cortese,
il sindaco non pianta grane,
il parroco, bonario, è alle prese
con spalle nude, corte sottane!
Modici prezzi, non tassa di soggiorno,
vita tranquilla, onesta, bonacciona
guardando il Lago placido e d’intorno
dei Monti la magnifica corona!
Nell’estate, fuggendo dell’arrosto
Delle città e del cemento armato,
si dan convegno sino a Ferragosto
gruppi, famiglie e … pur qualche isolato!
Chi da tre anni, e chi da venti, trenta,
ritorna fisso, duro a capofitto
come … l’infame, dopo la tormenta,
ritorna sopra il luogo del delitto!
Alla mattina, dopo il caffellatte,
la passeggiata, un po’ ciondolone,
e talune testine, un poco … matte
in gita all’Alpe o sino al Cavallone!
L’aperitivo, il pranzo nel Salone
con la Lucia che corre a perdifiato
Servendo pastasciutta oppur la zamponea
Ad un gruppo vorace ed affamato!
La sosta obbligatoria sul terrazzo
Per il caffè oppur la sigaretta;
qualche boutade, od un frizzante lazzo
sulla poltrona … accanto alla cagnetta!
Poi il deserto! Grande ritirata
Per riposare le membra smidollate
Dopo l’intensa, ardua mattinata!
Persiane chiuse! Solide ronfate!
Verso le quattro, i quattro allo scopone
Sulla punta dei piedi camminando,
timida fan la loro apparizione
mentre qualcun si sveglia sbadigliando!
Verso le cinque avanza la masnada
che delle bocce ha fatto il proprio “credo”!
– A punto, a punto! Dàg una büciada!
– Sù tüc dü? L’è lunga! Non ci credo!;
– Sei punti! Due, Sèmper se la riva!
– Ciapa la spünda. O Dio la ciapà un sàss!
– Ghe vor un rigul! Sèmper se la riva!
– Un punto … Due … O cribbio, la và ai ass!
Scende la sera! E, mentre luci a mille
Si accendono laggiù nella vallata
E nel cielo le stelle fan scintille
Intorno ad una luna inargentata,
inizia lo sciamar delle persone
donne, bambini, uomini e donzelle
in suso e in giuse, lungo lo stradone
guardando … cielo luna e pure le stelle
Al sabato, la piazza, a tarda sera
E’ un brulicar di donne un po’ eccitate
Solennità! Arriva la corriera


Dei mariti: e pur le fidanzate
Attendono pudiche e rosse in viso
Che giunga il merlottino sospirato
Ecco Carletto! Svolta all’improvviso
E scarica la stiva sul selciato!
Domenica. La messa (un po’ lunghetta)
Un carosell di giovani signore
Lo sfoggio della nuova toeletta
E … tanti occhioni pieni di languore!
Zia Pina che, a notte, dalle tre,
frenetica si macera in cucina
ti sfodera il solito “Tonnè”
e … la gracile misera pastina
Chiamata sul menu “Pasticceria”!
Tu guardando sul piatto quel bignè
Solingo, abbandonato per la via,
scoppi … in singhiozzi … e non sai perché
Famose per il brio e spensierate
Le soireé al Kursaal di Miazzina!
Nomi famosi, donne ingioiellate,
signori distintissimi in marsina,
vedi danzar al ritmo sincopato
di … un gracidare di rane da fossato!

E mentre Nilla Pizzi e Rabagliati
In mille guise cantano l’amore
In versi voluttuosi e sdolcinati
ch’eternamente rìman con onore,
La NOIA! La noia che ci fa dire:
basta! E’ questa l’ultima estate,
che ci vedranno ancora comparire
per fare delle solenni sbadigliate.
Con tanti posti italici e stranieri,
con tante meraviglie al lago e al mare,
tra bianchi, rossi, gialli od anche neri,
venite qui ancora a vegetare?
Dici così. Lo giuri! Lo ripeti,
lo gridi ai quattro cardinali,
i pini maledici e pur gli abeti,
mal augurando loro i peggior mali,
e poi … e poi subentra un’altra estate
li trovi sulla Nord … e sul battello,
(dopo di aver le stanze prenotate!)
E CADI QUI! Miazzina, il suo ruscello,
il campanil, la Crosa, la Papagni
Pala, Ferrari, Croci e Cicognini,
Meschia, Meazza, la suocera e i bambini!
Cosa volete amici, è un mistero!
È un bacillo … è una malattia
Che Lupis Ghigo, Fiorito o chicchessia
Non può guarire appieno! Non è vero?
La malattia la chiaman … MIAZZINITE!
Però … direi, qui c’è la malizia!
Concludendo: VI PREGO, NON GUARITE
Perché … si tratta solo … di AMICIZIA

Miazzina Ferragosto 1952

Amicizia, quel nobile sentimento che lega le persone e le fanno sentire speciali nell’accompagnarsi e sostenersi reciprocamente nel cammino della vita.
Talvolta vorremmo che il tempo si fermasse per congelare momenti irripetibili o semplicemente per lasciare le cose come più ci piacciono. Purtroppo, non ci è concesso, esso trascorre per alimentare il cerchio della vita attraverso il quale transitano nuove e vecchie generazioni.  Così è anche per Miazzina e nonostante molte persone care, che l’hanno assiduamente frequentata non siano più con noi, questo luogo ne conserva magicamente indelebile traccia di immagini nelle nostre menti e nei nostri cuori rimanendo per sempre nell’isola che non c’è.
È soprattutto a queste persone che questo scritto è dedicato con infinita gratitudine per l’esempio che sono stati e per aver condiviso una parte del cammino della vita.

“E ti prendono in giro se continui a cercarla. Ma non darti per vinto, perché chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle, forse è ancora più pazzo di te.”

E adesso … chiedeteci se siamo felici!

BIBLIOGRAFIA

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