Livia Bianchi, la Partigiana fucilata in nome della libertà

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Furono tutti arrestati e condotti di fronte al muro di cinta del cimitero del paese, per essere fucilati. A Livia venne offerta la possibilità di aderire al fascismo e di rinnegare i suoi compagni, ma la giovane donna rifiutò decisamente unendosi agli altri Partigiani nel triste destino che li attendeva....
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Livia Bianchi fu una delle nostre Partigiane attive nella Resistenza dopo l’armistizio del 1943.
Nacque a Melara, nel Polesine, il 19 luglio 1919.
Si sposò molto giovane, a soli 16 anni, con un ragazzo di Revere, un paesino in provincia di Mantova, Bruno Bizzarri.
Un brutto giorno Bruno venne chiamato alle armi e spedito al fronte durante la guerra. Purtroppo fu fatto prigioniero dagli alleati. Livia rimase sola con un figlio molto piccolo, senza l’appoggio del marito e senza un lavoro. Decise così, verso la fine del 1942, di raggiungere la propria famiglia, che nel frattempo si era trasferita in Piemonte, a San Giacomo Vercellese.
In quel luogo ricominciò a vivere.
Trovò lavoro come bracciante in una risaia. Successivamente si trasferì a Torino dove per la prima volta, entrò in contatto con i gruppi antifascisti attivi in città. Condividendo le loro idee e le loro azioni, decise di affidare il figlioletto ai propri genitori, iniziando così una militanza attiva. Dopo l’8 settembre entrò nella Resistenza, nel gruppo “Umberto Quaino” della 52ª Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”.
Il suo nome di battaglia era Franca.
Divenne immediatamente operativa come staffetta portaordini e come combattente nella zona montuosa del Lago di Lugano.
Livia svolgeva molte attività, come ad esempio raccogliere il cibo per i compagni travestendosi da mendicante. Fu anche  dattilografa al posto di blocco di Fino Mornasco.
Nel novembre del 1944, un gruppo di fascisti di istanza a Menaggio, organizzò un rastrellamento utilizzando 1400 uomini.
Lo scopo di questa azione di rappresaglia era quello di scovare ed eliminare le formazioni Partigiane attive nelle valli occidentali Del Basso Lario.
Insieme al comandante Giuseppe Selva – Falco, ad Angelo Selva – Puccio, ad Angelo Capra – Russo, ad Ennio Ferrari – Carlino e a Gilberto Carminelli – Bill, Livia riuscì a rifugiarsi in una baita dell’Alpe vecchio.
Il gruppo sopravvisse per qualche tempo in condizioni estreme, soffrendo la fame e il freddo, fino a metà gennaio.
Non riuscendo più a resistere, decisero di scendere a valle, a Cima, e di rifugiarsi in casa di un loro conoscente antifascista.
Il 20 gennaio, in seguito alla denuncia di un delatore, i militi della Brigata
Nera circondarono la casa.
Dopo un violento combattimento durato tutta la notte, il 21 gennaio il gruppo fu costretto alla resa.
Furono tutti arrestati e condotti di fronte al muro di cinta del cimitero del paese, per essere fucilati.
A Livia venne offerta la possibilità di aderire al fascismo e di rinnegare i suoi compagni, ma la giovane donna rifiutò decisamente unendosi agli altri Partigiani nel triste destino che li attendeva.
Il corpo di Livia fu tumulato nel cimitero di Melara, dove ancora oggi si trova.
Alla sua memoria, il 14 giugno 1947, è stata conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare:
“Nel settembre 1943, accorreva con animo ardente nelle file dei partigiani, trasfondendo nei compagni di lotta il fuoco della sua fede purissima per la difesa del sacro suolo della Patria oppressa. Volontariamente si offriva per guidare in ardita ricognizione attraverso la impervia montagna una pattuglia che, scontratasi con un grosso reparto nemico impegnava dura lotta, cui essa, virilmente impugnando le armi, partecipava con leonino valore, fino ad esaurimento delle munizioni. Insieme ai compagni veniva catturata e sottoposta ad interrogatori e sevizie, che non piegarono la loro fede. Condannati alla fucilazione lei veniva graziata, ma fieramente rifiutava per essere unita ai compagni anche nel supremo sacrificio. Cadde sotto il piombo nemico unendo il suo olocausto alle luminose tradizioni di patriottismo nei secoli fornite dalle donne d’Italia. Cima Valsolda, settembre 1943-gennaio 1945”.

BIBLIOGRAFIA

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