Il piroscafo norvegese Oria naufragò il 12 febbraio 1944, provocando la morte di oltre 4000 persone, per la maggior parte italiani. Ancora oggi, il suo affondamento, è considerato uno dei peggiori disastri navali della storia dell’umanità, e sicuramente il più grave mai registrato nel Mediterraneo.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e gli accadimenti della campagna del Dodecaneso, i tedeschi decisero di trasferire decine di migliaia di prigionieri dall’isola di Rodi, via mare, verso il continente, per destinarli ai campi di prigionia nazisti. Questi trasferimenti avvenivano frequentemente con l’utilizzo di imbarcazioni inadeguate, per lo più navi commerciali, in cui i prigionieri venivano stipati nelle stive oltre ogni limite consentito e senza nessuna norma di sicurezza.
L’Oria non fu la sola nave ad affondare in quel periodo, sia a causa degli attacchi degli Alleati, sia per incidenti.
In totale si parla di circa 15000 vittime.
Il giorno 11 febbraio, fra le navi a disposizione fu scelta l’Oria.

Il carico umano era costituito prevalentemente da prigionieri italiani. Salpò da Rodi scortata dalle torpediniere TA 16, TA 17 e TA 19, direzione Pireo. A bordo vi erano 4046 militari internati (43 ufficiali, 1189 sottufficiali, 3885 soldati), 90 tedeschi e l’equipaggio.
Il 12 febbraio la tempesta colse la nave e il suo carico umano. Il piroscafo si infranse contro l’isolotto di Patroclo, presso Capo Colonna ed in breve si inabissò fra le acque spumeggianti e agitate.
I soccorsi, ostacolati dalle pessime condizioni meteorologiche, giunsero il giorno seguente.
Furono salvati solo 37 italiani, 6 tedeschi, 1 greco, 5 uomini dell’equipaggio, inclusi il comandante e il primo ufficiale di macchina.
Tutti gli altri perirono dell’affondamento.
La stessa sorte, per motivi diversi, toccò il giorno prima della partenza al piroscafo Petrella. Anche in quel caso molte delle vittime erano italiane.