ERAVAMO BAMBINI: viaggio nell’abisso delle scuole residenziali canadesi

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Sono 215 i corpi rinvenuti a Kamloops, 182 a Cranbrook, nelle pertinenze di strutture gestite dai missionari oblati di Maria immacolata, nonché ben 751 a Marieval, nel terreno della casa gestita dalle suore di San Giuseppe di Saint Hyacinthe....

We were children” eravamo bambini.
Questa scritta è apparsa qualche giorno fa insieme a piccole impronte di mani di pittura rossa, sulla porta della cattedrale di St. Paul a Saskatoon, la città più popolosa della provincia occidentale del Saskatchewan in Canada. La frase richiama il titolo di un documentario – denuncia presentato nel 2012 al festival internazionale del cinema di Vancouver, che ripercorre le drammatiche esperienze di due donne indiane, Lyna Hart e Glen Anaquod, sopravvissute alle rispettive scuole residenziali per bambini indigeni. Le ultime notizie che provengono in queste ore dal Canada, ci parlano di altre scritte anonime e atti vandalici contro chiese cattoliche, almeno otto delle quali sono state bruciate e rase al suolo in varie località del nord ovest.
Cosa sta succedendo esattamente in questa parte del mondo occidentale? La polizia nazionale canadese ritiene che gli attentati potrebbero essere collegati con i recenti ritrovamenti dei resti di oltre un migliaio di bambini nativi, seppelliti in fosse anonime rispettivamente nelle pertinenze di tre ex scuole residenziali cattoliche, attive fino alla fine degli anni ’70 del secolo scorso. Sono 215 i corpi rinvenuti a Kamloops, 182 a Cranbrook, nelle pertinenze di strutture gestite dai missionari oblati di Maria immacolata, nonché ben 751 a Marieval, nel terreno della casa gestita dalle suore di San Giuseppe di Saint Hyacinthe.

Quel che è peggio, i macabri ritrovamenti potrebbero essere solo la punta di un iceberg, una vera e propria fabbrica degli orrori voluta e organizzata fino a qualche anno fa dal governo canadese con la complicità delle chiese cristiane, soprattutto quella cattolica romana. Un genocidio per troppo tempo taciuto.
Ma andiamo per ordine: secondo le politiche di assimilazione forzata che Canada e Stati Uniti hanno imposto alle tribù di nativi americani dalla fine dell’800 fino più o meno agli anni ’70 del secolo scorso (anche se l’ultima scuola, la Gordon’s indian residential school di Punnichy in Saskatchewan, ha chiuso i battenti solo nel 1996) i bambini indigeni potevano venire strappati alle rispettive famiglie per essere inseriti forzatamente nel sistema di scuole cristiane (cattoliche per il 70%) denominate “boarding school”, con l’intento di ricondizionarli e crescerli nella cultura dominante. L’idea venne nel 1879 al veterano della guerra di secessione ten. col. Richard Henry Pratt, il quale istituì il primo collegio residenziale a Carlisle (Pennsylvania). Pratt era un militare appartenente a quella scuola di pensiero eurocentrista che riteneva l’assimilazione alla cultura europea l’unica possibilità di sopravvivenza per gli indiani americani; fu lui a coniare il motto “uccidi l’indiano e salva l’uomo”, mutuato pienamente anche dal confinante governo canadese. In realtà le scuole si rivelarono in molti casi veri e propri lager, dove ai bambini deportati veniva spesso negato il contatto con i familiari, cambiato il nome, tagliati i capelli, vietato di parlare la propria lingua ancestrale, oltre ad essere sottoposti a metodi coercitivi di ogni tipo, finalizzati a fiaccarne le resistenze, annientarne la cultura di appartenenza e sottometterne ogni aspetto istintivo e affettivo. La punizione corporale, infatti, era spesso giustificata dai metodi di insegnamento religioso, nella convinzione che fosse l’unico modo per salvare le anime e scoraggiare i fuggiaschi.

Già agli inizi del secolo scorso, per la verità, vi furono segnali ben precisi che nei territori del Canada, in particolare, fosse in atto qualcosa di grave, con abusi fisici e psicologici nei confronti di molti bambini delle prime nazioni, metis ed inuit avviati in tali strutture. Nel 1907 la testata quotidiana “Montreal Star” riportava che il 42% dei bambini che frequentavano le scuole residenziali moriva prima dei 16 anni chiamando la situazione una “vergogna nazionale”. Risale però al 1918 la prima denuncia circostanziata, inoltrata dal dottor. Peter Bryce – già funzionario del dipartimento della salute dell’Ontario – al Ministero per gli Affari Indiani (riportata dettagliatamente in un libro pubblicato nel 1922, The Story of a National Crime: Being a Record of the Health Conditions of the Indians of Canada from 1904 to 1921) nella quale si fornivano prove dell’altissima mortalità per tubercolosi tra i bambini nativi delle boarding school, dovuta per lo più a sovraffollamento, scarsa igiene e mancanza di cure mediche. Il governo insabbiò l’inchiesta e, per voce del vice sovrintendente D.C. Scott, per tutta risposta vietò esplicitamente di combattere la malattia nelle scuole residenziali, affermando che la frequenza delle epidemie e la conseguente mortalità “non giustificano un cambiamento nella politica di questo Dipartimento, che è orientato verso una soluzione finale del nostro problema indiano“.

Purtroppo per molti anni nessuno si occupò ufficialmente del disperato grido di aiuto che proveniva dalle nazioni indiane, anche perché alcune leggi statali e regionali, ben lontane dal garantire i diritti dei nativi di qualsiasi età, tendevano addirittura a facilitarne la sottomissione, l’annichilimento culturale e identitario, nonché l’esproprio della terra con la complicità delle congregazioni cristiane impegnate nei progetti scolastici. Nonostante le numerose proteste scoppiate a cavallo degli anni ’70, bisognerà attendere fino al 2008 perché il governo decida di costituire un’apposita “Commissione per la verità e la riconciliazione sulle scuole residenziali indiane”, deputata a verificare l’attendibilità delle gravi accuse. L’organismo governativo, presieduto da C.M.
Sinclair già membro del Senato, dall’inizio dell’attività fino al 2015 ha vagliato oltre 7.000 testimonianze, ricostruendo un quadro criminale di una portata sconcertante. Dei circa 150.000 bambini avviati al sistema scolastico residenziale, 70.000 sono risultati ancora in vita nel 2008, dei quali quasi la metà risulta avere subito abusi sessuali in tenera età. La commissione ha accertato che nei 100 anni di attività del progetto siano deceduti per malattia, fame, stenti e abusi 3.200 bambini nativi. Secondo altre fonti le morti in tenera età sono molte di più, probabilmente 6.000, ma alcune stime indipendenti ipotizzano fino a 50.000 morti e oltre. Nonostante la commissione abbia terminato la propria indagine da circa 6 anni, pervenendo all’agghiacciante responso di “genocidio culturale”, nessuna iniziativa giudiziaria concreta risulta sia stata intrapresa nei confronti di prelati, medici e funzionari vari ancora in vita.

Nonostante ciò, le ricerche delle organizzazioni umanitarie non sono mai cessate – il ritrovamento dei resti umani di questi giorni ne è la prova – ed il vaso di pandora sembra ormai scoperchiato: numerosi episodi criminali a carico di ecclesiastici, suore e preti, personale sanitario, militari, grandi corporazioni, giudici. Nomi e cognomi di vittime e di carnefici. L’elenco dei crimini contro i piccoli indiani, dai primi anni di vita fino all’età puberale, è lungo e comprende abusi efferati come percosse, scosse elettriche, sterilizzazione forzata, fame, stupro, fino all’omicidio. Nell’indagine figurano prove che gli studenti sono stati inclusi in diversi esperimenti di ricerca scientifica a insaputa loro e dei genitori: malnutrizione intenzionale, prove sui vaccini, studi sulla percezione extrasensoriale, integratori alimentari di vitamina D, amebicidi, isoniazide, emoglobina, enuresi notturna e dermatoglifici.
Le testimonianze narrano di neonati soppressi perchè partoriti da suore o da ragazze stuprate dagli insegnanti. Emergono casi come quello di Maisie Shaw, la ragazzina uccisa la notte di natale del 1946 dal reverendo Caldwell, preside pedofilo della Alberni indian school della chiesa unita canadese, oppure come quello di Elaine Dik di anni 5, picchiata a morte nel 1966 da suor Pierre (Ethel Lynn) nella “Catholic day school di North Vancouver. Secondo Ethel Wilson di Bella Bella in British Columbia, un certo George Darby, medico missionario della chiesa unitaria, fra il 1928 ed il 1962 sterilizzò intenzionalmente un grande numero di indiani non cristiani presso l’R.W. Large Memorial Hospital. Un lungo elenco di orrori che mette i brividi.
A questo punto è lecito chiedersi come sia possibile tutto ciò, ai giorni nostri, in uno degli Stati occidentali ritenuti più attenti e all’avanguardia. Ma soprattutto ci si interroga se siamo di fronte ad un’eccezione, ad un caso isolato di becero rigurgito colonialistico. Purtroppo pare che non sia così.

Nel 2008 il governo australiano, in una apposita seduta del parlamento di Canberra, ha chiesto pubblicamente scusa di fronte ad una delegazione composta da un migliaio di aborigeni provenienti da varie parti del Paese. Tra il 1930 ed il 1970 oltre 500.000 bambini nativi – insieme a circa 30.000 bambini europei orfani, provenienti dall’Inghilterra e da Malta – furono strappati alle proprie famiglie e deportati in istituti di correzione e ricondizionamento, venendo sottoposti ad abusi di ogni genere. Nei territori del nord, in particolare, quando furono create “riserve” sul modello americano per contenere le tribù aborigene, i bambini di etnia mista – frutto dello sfruttamento sessuale delle giovani donne aborigene da parte degli europei – vennero strappati alle famiglie e affidati a missioni gestite dalla Chiesa, nella convinzione che solo i meticci, con fattezze semi europee, sarebbero sopravvissuti nel breve termine, poiché di lì a poco le tribù native sarebbero state eliminate. Anche in Nuova Zelanda, secondo i risultati di una commissione recentemente costituita (Royal Commission into Abuse in Care) dei 655.000 bambini assistiti per vari motivi negli istituti statali e religiosi tra il 1950 ed il 2019, si stima che il 40% abbia subito abusi, con un picco di 48.000 vittime solamente negli anni ’70 del secolo scorso. L’81% dei bambini abusati risultano essere di etnia Maori.
E come spesso succede, sull’onda dello shock che ha colpito in questi giorni l’opinione pubblica mondiale, emergono altre infamie, passate in secondo piano in momenti diversi, come la scoperta nel 2014 di numerosi resti umani in una vasca di liquami in disuso della ex casa di accoglienza “Bon Secours Mother and Baby Home” di Tuam, nella contea di Galway in Irlanda, gestita dalle suore cattoliche del buon aiuto. I corpi appartenevano probabilmente a 800 bambini orfani, oppure partoriti dalle ragazze incinte indigenti ospitate nella casa di accoglienza, la cui sepoltura non fu mai registrata.
La testata britannica “BBC news” ha raccolto indizi che a Lanarkshire, nel sud della Scozia, siano stati seppelliti almeno 400 bambini nella fossa comune di una vecchia sezione del cimitero della casa di accoglienza religiosa per orfani di St. Mary, a Smyllum park, gestita dalle suore figlie della carità di san Vincenzo de’ Paoli.

I dibattiti ed i forum di questi giorni circa le morti taciute e occultate di tutti questi minori, riemersi prepotentemente grazie alla sovraesposizione mediatica del caso canadese, si concentrano ora non solo sulle modalità indegne in cui i bambini sono stati fatti sparire, ma anche sul presunto severo regime punitivo attuato dalle diverse scuole religiose – non solo cristiane – finalizzato a convertire forzatamente più che a insegnare. Ecco che emergono casi di abusi sistematici dall’India, da Papua occidentale, dal Messico e dal Sudamerica. I governi si indignano e le Chiese si scusano, invitando gli ecclesiastici locali a collaborare. Papa Francesco ha finalmente rotto gli indugi accettando di ricevere in vaticano, dal 17 al 20 dicembre 2021, una delegazione delle prime nazioni, metis e inuit canadesi. Certo, l’imbarazzo delle autorità coinvolte è palpabile, il rischio di umiliazioni pubbliche e di pesanti azioni legali è concreto, ma da più parti ormai si segnala la necessità che i vertici delle istituzioni responsabili interrompano il silenzio su fatti così vergognosi, su un torbido passato fin troppo recente. Sulle moltitudini di bambini innocenti che pretendono giustizia. Ed è ormai tempo che l’educazione dei popoli indigeni e tribali sia gestita da loro stessi, rimanendo radicata nella terra che appartiene loro, nella lingua e nella cultura che li contraddistingue, trasmettendo ai bambini l’orgoglio e la consapevolezza della propria identità.

BIBLIOGRAFIA

Sul tema canadese:

https://www.rcaanc-cirnac.gc.ca/eng/1100100014597/1572547985018

https://en.wikipedia.org/wiki/Truth_and_Reconciliation_Commission_of_Canada

https://ehprnh2mwo3.exactdn.com/wp-content/uploads/2021/01/NCTR_5_Year_Report_Final.pdf

https://ehprnh2mwo3.exactdn.com/wp-content/uploads/2021/04/IAP_Final_Report_English_Feb-1678.pdf

http://www.12qw.de/genocide_canada/index.php

Sul tema australiano e neozelandese:

https://www.terranuova.it/News/Stili-di-vita/L-Australia-chiede-scusa-agli-aborigeni?fbclid=IwAR0YJgLWfiK5sIoMOrhDCdMXqZBYozSlOoLuge0VoRv3J32SzA_51mJYimk

https://www.abc.net.au/news/2015-05-17/bid-to-shed-light-on-oprhan-graves-in-hobart-burial-ground/6476122?fbclid=IwAR1cIbsxHykmh_5kV-EqnnRH7IobHbkmMEGDvG-ZskEHUTWy2IF6p5PwMjc

https://www.rnz.co.nz/news/national/432925/250-000-estimated-to-have-been-abused-in-state-and-faith-based-care

Sul tema irlandese e scozzese:

https://www.reuters.com/article/us-ireland-church-children-tuam-idUSKBN29I1SO

https://www.theguardian.com/world/2017/mar/03/mass-grave-of-babies-and-children-found-at-tuam-orphanage-in-ireland

https://www.rte.ie/news/ireland/2018/1207/1015857-tuam/

https://en.wikipedia.org/wiki/Catherine_Corless

https://www.bbc.com/news/uk-41200949?fbclid=IwAR3oajZiQixbNPmsojxpxFt9_M0SLEnL_BQxG-1d4o1w3q8zjl1M4ti878A

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