Uccide, scuoia, decapita e cucina il suo compagno – la storia Katherine Mary Knight

Tempo di lettura: 11 minuti

Ero brava con il coltello, mi piaceva fare a pezzi le carcasse degli animali morti dopo averli scuoiati. Ma la cosa che più mi dava soddisfazione era vedere il sangue schizzare sulle piastrelle bianche del macello...

Il mio nome é Katherine Mary Knight.
Ho 65 anni.
Qualcuno di me dice che sono un Ed Gein con la gonna.
L’8 novembre 2001 un tribunale australiano mi ha condannata all’ergastolo per aver cucinato il mio compagno.
La sua testa che cuoceva piano piano nella pentola in cucina, tra aromi e sughetto, non è piaciuta alla polizia…non hanno apprezzato le pietanze che quel giorno ho preparato.
Non aspettavo nessun ospite a cena… se avessi saputo mi sarei impegnata di più.
Ma veniamo alla mia storia.
Sono nata il 24 ottobre 1955, a Tenterfield, una piccola città nel New Galles.
Mia madre Barbara era sposata e aveva già 4 figli prima della mia nascita. Io sono il frutto di una relazione extraconiugale che ha avuto con un ex collaboratore del suo primo marito.
Una volta rimasta incinta, ha lasciato marito e figli: 2 sono rimasti col padre e 2 sono andati a vivere con un zia a Sidney. Ha ricominciato una nuova vita, col nuovo compagno, Ken Knight, mio padre, e ha avuto altri 4 figli, tra cui me. Ci siamo stabiliti ad Aberdeen dopo aver cambiato molte volte città.
Nel 1959 vengono a stare con noi 2 dei miei fratellastri, perché l’ex marito di Barbara muore.
Mio padre non è un genitore modello. Beve, è spesso ubriaco e violento, con mia madre e con noi.
Era malato di sesso.


Non si faceva scrupolo a violentare lei e i miei fratelli, nello stesso giorno, anche più volte.
A molestare me a violentarmi non era lui, erano gli altri membri della famiglia. Non ho mai capito perché non mi toccasse, perché mi guardasse con occhi diversi.
Da bambina non sono mai stata un modello da seguire, detestavo andare a scuola, non mi piaceva studiare e appena potevo ero prepotente e violenta con i miei compagni.
Man mano che crescevo con me crescevano i guai.
Una volta ho dato una coltellata a un altro studente con cui stavo litigando. Ricordo anche che non esitavo a prendermela con gli insegnanti.
Ero talmente un disastro che a 15 anni non sapevo nemmeno scrivere in maniera decente. Così un giorno ho deciso che ero veramente stufa e ho abbandonato gli studi.
A 16 anni ho trovato lavoro. Ero felice perché mi hanno assunta al macello della città di Aberdeen.
Ero brava con il coltello, mi piaceva fare a pezzi le carcasse degli animali morti dopo averli scuoiati.
Ma la cosa che più mi dava soddisfazione era vedere il sangue schizzare sulle piastrelle bianche del macello.
In poco tempo quella soddisfazione si è trasformata in qualcos’altro.
Provavo una vera e propria eccitazione sessuale nel fare quello che facevo.
Mi sentivo fremere dalla testa ai piedi. L’odore della morte per me era inebriante.
A 17 anni mi sono innamorata di David Kellett, che ho sposato un anno dopo.
Il mio appetito sessuale cresceva ogni giorno di più, fino a diventare smisurato. Ben presto mio marito non è più riuscito a soddisfare la mia continua voglia di fare sesso e questo mi ha trasformata in una donna isterica e violenta.
Ma David avrebbe dovuto capirlo fin da subito che qualcosa in me non andava. La prima notte di nozze invece di essere dolce e romantica ho tentato di strangolarlo quando, dopo aver avuto tre rapporti sessuali, si è addormentato.
Il mio carattere è peggiorato rapidamente. Una sera mio marito si è fermato in un bar con gli amici per partecipare ad una gara di freccette. È tornato molto tardi e io avevo voglia di fare sesso. Quando é entrato in casa ha trovato tutti i suoi vestiti e le sue scarpe che bruciavano. Abbiamo iniziato a litigare perché lui non capiva il mio comportamento, la mia rabbia. Io sentivo di avere ragione e così ho preso una padella e l’ho colpito in testa.
David non ce l’ha più fatta. Aveva paura che io lo uccidessi e così dopo solo 2 anni di matrimonio mi ha lasciata, con nostra figlia nata da pochi mesi.
Ma come si può lasciare una bambina indifesa nelle mie mani? Come si può abbandonare la propria figlia con una donna come me?


Non riuscivo proprio ad accettare che David mi avesse abbandonata, così ho deciso di vendicarmi: volevo farlo soffrire come avevo sofferto io il giorno in cui lui se n’era andato.
Così una mattina ho preso nostra figlia, l’ho avvolta in una coperta e sono andata verso la ferrovia. L ‘ho asciata sui binari in attesa che arrivasse il treno e me ne sono andata.
Un senzatetto che era lì vicino l’ha sentita piangere e l’ha salvata.
Nel frattempo io sono stata arrestata in città, con l’accusa di aver minacciato con un’ascia alcuni passanti fuori da un supermercato.
David ha ottenuto la custodia di nostra figlia mentre a me é stata diagnosticata una forte depressione post partum.
Quando uscivo di casa anche solo per fare la spesa, mi piaceva portare nella borsa qualche coltello. Un giorno sono andata al mercato e ho iniziato a rovistare tra i vestiti ammucchiati su una bancarella. Poco dopo si è avvicinata a me una donna che ha cominciato a fare la medesima cosa. Nello stesso momento abbiamo afferrato insieme un abito. Non so come sia iniziata la discussione, sinceramente non lo ricordo, ma ricordo molto bene che poco dopo ho afferrato uno dei miei coltelli e gliel’ho ficcato in mezzo alle scapole.
Quella s aveva esagerato e io non ho fatto altro che difendermi, ma la polizia non la pensava così.
Tentato omicidio.
Questa volta non hanno esitato ad internarmi per un breve periodo di tempo.
Dopo 10 anni di matrimonio io e David abbiamo divorziato.
A 31 anni ho iniziato una nuova relazione, con un minatore di 38 anni, David Saunders.
Sono rimasta incinta di nuovo ed è nata un’altra bambina.
I problemi con lui sono iniziati quasi subito.
David aveva un cagnolino che amava molto.
Detestavo quell’animale pulcioso.
A maggio del 1987 dopo che abbiamo avuto una lite piuttosto accesa, ho deciso di fare quello che da un po’ stavo pensando. Ho preso quell’inutile bestia, l’ho sgozzata e l’ho messa in padella per cucinarla, così David avrebbe compreso che con me non c’era nulla da scherzare.
Il messaggio é passato forte e chiaro.


Siamo rimasti insieme ancora qualche mese, ma sono certa che avesse paura di dormire accanto a me.
In poco tempo ho trasformato casa nostra in una specie di tempio della morte: in ogni angolo avevo messo pelli di animali, teschi, corna, vecchie trappole arrugginite, maceti e forconi. Mi piaceva anche accumulare consunte giacche di pelle e stivali logori.
Quando iniziavo ad essere violenta non riuscivo più a fermarmi. Durante la nostra ultima lite mi ha fatto davvero arrabbiare, così ho afferrato il ferro da stiro che stavo usando e l’ho colpito in faccia. David è caduto a terra, frastornato, sanguinante. Non mi è bastato e così ho preso delle forbici da sarta e l’ho infilzato come un pollo.
Mi veniva da ridere a guardarlo mentre si contorceva. Si è alzato coperto di sangue, ha afferrato nostra figlia che urlava disperata e se n’è andato.
Non mi ha denunciata.
Non ho mai più rivisto né lui né nostra figlia.
Ho ripreso la mia vita come se nulla fosse successo, come se quell’episodio non mi avesse neppure toccato.
Dopo qualche tempo ho iniziato una nuova relazione con un uomo di nome John Chillingworth.
Io e John ci conoscevamo bene. Eravamo colleghi al macello. Quando sono rimasta incinta nel 1990, lui aveva 43 anni.
Abbiamo avuto un maschietto, Eric.
Siamo rimasti insieme solo 3 anni, poi mi sono stufata e l’ho lasciato per quello che da qualche mese era il mio amante, John Price.


La mia vita con lui non è stata molto diversa da quella che conducevo con gli altri uomini che ho avuto.
Sesso e violenza erano le compagne della nostra quotidianità.
La differenza questa volta è che John mi ha amata tanto. Ha resistito.
Siamo stati insieme tanti anni nonostante il mio pessimo carattere, la violenza domestica, i miei attacchi d’ira sempre più frequenti.
Ma ancora una volta ho esagerato, non ho saputo controllarmi. Nel 2000, durante una lite in casa, ho afferrato un coltello e l’ho colpito.
A quel punto John non ce l’ha più fatta. Mi ha lasciata ed è andato in tribunale per ottenere un’ordinanza per cacciarmi fuori di casa. Ci è riuscito.
Ancora mi domando come ha solo potuto pensare di liberarsi così di me… Ha davvero creduto che lo avrei lasciato andare? Ha pensato che avrei ricominciato a vivere da un’altra parte senza fargliela pagare?
Non ci ho pensato tanto, ho capito subito quello che avrei dovuto fare per far capire al mondo intero che nessuno poteva buttare via Katherine Mary Knight come uno straccio vecchio.
Il 29 febbraio del 2000 mi sono presentata in quella che é stata la nostra casa per tanti anni.
John non voleva farmi entrare, ma alla fine l’ho convinto. Abbiamo parlato, gli ho chiesto scusa, ho cercato di riconquistare la sua fiducia. Siamo finiti a letto e abbiamo fatto sesso.
Quando abbiamo finito mi sono alzata, sono scesa e sono andata a prendere dalla borsa uno dei miei preziosi coltelli.
L’ho colpito, 37 volte.
Quando mi sono fermata c’era sangue dappertutto: sul pavimento, addosso a me, sulle pareti, perfino sul soffitto. Mi sembrava di essere ritornata ai giorni felici del macello. Ho provato la stessa inebriante sensazione.
Il corpo di John era un disastro. Ho iniziato a scuoiarlo con calma e poi gli ho tagliato la testa. L’ho messa in una padella per cucinarla. Ho tagliato anche altri pezzi della sua carne e poi ho preparato la cena.
Carne stufata con contorno di patate al forno, zucca, barbabietola rossa, zucchine, cavoli e zucca gialla. Ho apparecchiato la tavola e ho messo accanto ad ogni piatto un segnaposto con il nome dei figli che John ha avuto da una relazione precedente.
Poi ho mangiato.
Avevo sentito dire più di una volta che la carne umana è davvero deliziosa. Avevano ragione, é stata una cena speciale.
Alla fine ero così stanca che ho deciso di prendere delle pillole e di riposarmi nello stesso letto in cui qualche ora prima avevamo fatto l’amore.
La testa di John è rimasta nella pentola, insieme al sughetto e alle verdure.
Ho dormito benissimo, tutta la notte. A dire la verità ho perso conoscenza.
La mattina dopo il vicino di John si è accorto che la sua macchina era ancora nel vialetto mentre avrebbe dovuto essere già uscito per andare al lavoro. Così ha pensato che John non si sentisse bene e ha bussato alla porta della nostra casa.
Non ho sentito nulla perché avevo esagerato con le pillole, ero in coma.
Alle 8 è arrivata la polizia e ha sfondato la porta sul retro. Pensate che sorpresa quando hanno visto la pelle del mio John appesa a una delle travi in legno del soggiorno con un gancio da macellaio, e lì accanto i suoi genitali ancora sanguinanti.


Il resto di lui, quello che non avevo cucinato, era per terra in un mare di sangue rappreso.
Quando mi sono svegliata ero ammanettata a un letto d’ospedale. La polizia mi ha arrestata.
Mi sono dichiarata colpevole di omicidio colposo, ma l’accusa ha respinto con un sarcastico sorriso la mia richiesta.
Il processo è stato una specie di circo mediatico. Durante il primo giorno di udienza il giudice ha chiesto scusa per le fotografie che avrebbe dovuto mostrare alla giuria e che immortalavano una scena del crimine, secondo lui, davvero raccapricciante.
In aula erano presenti anche i figli di John, che mi hanno guardata tutto il tempo con grande disprezzo.
L’avvocato dell’accusa è stato duro nei miei confronti. Mi ha fatto apparire come una pazza sanguinaria, una donna senza scrupoli che aveva progettato un omicidio brutale e spietato. Non sopportavo più di sentire quelle parole e ad un certo punto sono esplosa, ho iniziato ad urlare e a dare di matto tanto che i poliziotti sono stati costretti a portarmi via e a farmi sedare.
Come si è concluso il processo è facile immaginarlo. Mi è stato diagnosticato un disturbo borderline di personalità. Il giudice mi ha condannata all’ergastolo senza condizionale.
Ora sono in carcere. Passerò qui il resto della mia vita. Forse è meglio così, senza di me in circolazione l’Australia è un luogo più sicuro.

BIBLIOGRAFIA

  • https://murderpedia.org/female.K/k/knight-katherine.htm
  • https://www.google.com/amp/s/amp.abc.net.au/article/12006996

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