«Nella parte occidentale dell’Italia, dalla catena dell’Appennino si leva il Monviso, un monte altissimo, isolato, che, innalzandosi con la sua vetta oltre le nuvole, si slancia nell’aria limpida. Francesco Petrarca
Il Monviso è più di una montagna, esso rappresenta da sempre l’affascinante e silente gigante protagonista dei nostri orizzonti di pianura, ma anche l’antico e poderoso protettore delle genti che abitano le sue valli. Inserito nella catena delle Alpi Cozie lungo lo spartiacque italo-francese, oltre a costituire paesaggi e ambienti unici, racchiude significati profondi, evoca le radici, la storia e la cultura di intere comunità, unite e solidali nonostante le barriere naturali ed i confini geografici. La monumentale piramide del “Re di Pietra”, alta quasi 4000 m. (3.841) è visibile ben oltre l’Alta pianura piemontese e per questo ha sempre attirato l’interesse delle genti italiche, sin dall’antichità.
Virgilio nell’Eneide e Dante nella Divina Commedia, sono solo alcuni dei molti personaggi che hanno elogiato nelle loro opere la figura della grande montagna. Ai suoi piedi nasce il fiume più lungo d’Italia, il Po, che da Pian del Re inizia il suo lungo cammino fino al mare. È qui che dalla sorgente, citata già da Plinio il vecchio circa duemila anni fa, il grande fiume emette i suoi primi vagiti mediante i numerosi rivoli di acqua limpida, isolando nuclei di vegetazione erbacea in una delle poche torbiere alpine rimaste in alta quota.
Dal 1990 il parco naturale del fiume Po si snoda su quasi 235 km di fascia fluviale, dalle sorgenti del Monviso fino al confine lombardo, per una superficie di oltre 25.000 ettari. In particolare, il primo dei tre settori del parco comprende buona parte della valle Po, con la riserva naturale di Pian del Re e altre cinque aree consimili scaglionate più a valle.

Dal 2013 inoltre, l’ambiente montano del Monviso è diventato patrimonio dell’UNESCO, come riserva della biosfera transfrontaliera con la Francia. Infine dal 2016 esso fa parte del Parco Naturale del Monviso sul settore italiano, mentre su quello francese insiste il Parco Naturale del Queyras. Iniziative importanti si sono susseguite negli ultimi anni per la tutela e la conservazione di emergenze naturalistiche di grande pregio. Occasioni da non perdere per conoscere ed approfondire il legame culturale tra l’uomo e la grande montagna, un itinerario di profondo rispetto che affonda le radici nel passato e che può costituire una insostituibile risorsa per il futuro. Tra boschi, laghi e praterie montane, innumerevoli sono i sentieri in cui, oltre nella presenza discreta di stambecchi, camosci e marmotte, ci si imbatte in toccanti “segni dell’uomo” che ne testimoniano la presenza diluita in un arco temporale plurimillenario.
Dalle misteriose incisioni rupestri alle umili cappellette votive, dai rustici ricoveri pastorali agli insediamenti organizzati al riparo delle balme, poderose grotte alpine sotto le quali si sono sviluppati nuclei abitativi simili a quelli degli indiani Pueblo americani. Tali peculiarità fanno di questo territorio un paradiso naturale ricco di cultura e storia dove alpinismo ed escursionismo trovano il loro ambiente ideale. E la montagna si offre in tutta la sua generosità, regalando albe e tramonti irripetibili e panorami mozzafiato.
I primi insediamenti umani di una certa consistenza nelle valli del Monviso risalgono al 4.000 a.c., quando i cacciatori nomadi antenati dei liguri montani, si spingono fin sulle pendici del Re di Pietra, probabilmente provenendo dalla rocca di Cavour, vicina agli sbocchi delle valli Pellice e Po, i cui anfratti costituiscono strategici ripari ed un buon punto stanziale da cui muoversi verso la montagna. È però solo dopo la controffensiva glaciale della fase fredda (3.000/2.500 a.c.) che viene datata la rozza ascia di pietra, ritrovata nella avangrotta di Rio Martino presso Crissolo. L’antica colonizzazione delle valli del Viso è comunque comprovata da sepolture e cremazioni ritrovate sempre a Crissolo ed a Pontechianale. Tra gli scheletri sono state rinvenute fibbie e bracciali in bronzo, addirittura dodici al braccio di un defunto ad indicare il grado di benessere di quell’ignoto abitante delle pendici del torreggiante Monviso.

Con il primo secolo a.c. le Legioni Romane, dopo aver piegato le tribù liguri ed aver acquisito ormai saldamente il controllo del territorio, intensificano la loro avanzata verso quel settore della catena alpina sorprendentemente attraversato circa 150 anni prima da Annibale. Le monete ed il medaglione di Settimio Severo ritrovati a Casteldelfino, ma soprattutto le lapidi epigrafate di Piasco e Venasca, testimoniano la presenza di un solido avamposto per la penetrazione Romana sino ai valichi delle Alpi Cozie. Potrebbero essere di origine Romana anche i toponimi di varie località della valle Po, come Crissolo (Cruesolum) Ostana (Augustana) Oncino (Hulcium) e Paesana (Padusiana). Tutti centri dai quali ammirare l’impressionante montagna, talmente “visibile” da meritarsi l’appellativo latino di “Vesulus mons”.
Con la progressiva cristianizzazione e dopo le incursioni barbariche e saracene (queste ultime ricordate da alcune parole della lingua occitana) si verifica un progressivo rifiorire delle vallate. La “via del sale” sotto l’amministrazione del marchesato di Saluzzo, viene battuta sempre più intensamente ed il traffico delle mercanzie comporta benefiche ricadute economiche sui valligiani. L’apertura del mirabile “buco del viso” a quota 2882 m. verso la fine del XV secolo consente di superare le insidie dell’impervio passaggio sulla cresta spartiacque delle Traversette tra Italia e Francia.

È la più antica galleria delle Alpi e viene subito impiegata da uomini e muli per il trasporto del sale e di altri generi di commercio. Il transito è talmente utile all’economia delle valli che viene lasciato libero da dogane e gabelle tra il marchesato e la Provenza. A quell’epoca tuttavia le due aree attorno al Monviso sono già unite culturalmente da anni, grazie alla concessione da parte del Delfinato di Francia (1343) della “Chastelado” ai comuni più alti della valle: Pontechianale, Bellino e Casteldelfino. Si tratta di una sorta di carta costituzionale che – accorpandoli al Querias francese ed ai centri di Exilles, Oulx e Fenestrelle nelle valli confinanti di Susa e del Chisone – prevede una rappresentanza di consoli e conferisce loro un pacchetto di garanzie autonomistiche di sorprendente modernità, la cosiddetta Repubblica Brianzonese degli Escartouns.
Tale modello di efficienza durerà per i successivi quattro secoli, fino al trattato di Utrecht del 1713, allorquando i valligiani provano sulla propria pelle l’arrogante prepotenza dei Savoia e dei Francesi, pagando in prima persona le ostilità tra i due Regni. Fortificazioni e baluardi, infatti, costruiti dai due eserciti grazie al legname reperito in zona e puntualmente smantellati e incendiati dall’avversario, sacrificano irrimediabilmente intere foreste secolari.

Anche la Storia dei Valdesi si interseca nei secoli XV e XVI con quella del Re di Pietra. Scomunicati da Papa Lucio III nel 1182 i seguaci di Pietro Valdo consolidano la propria presenza nelle alte valli del Monviso, coltivando le zone più elevate e meno fertili. Dal 1400 in avanti l’inquisizione piemontese li perseguita in maniera spietata, scacciandoli più volte ad ondate dalle Valli Po e Varaita, per confinarli tra i fiumi Pellice e Chisone. Oltre 12.000 valdesi vengono imprigionati verso la fine del ‘600, due terzi dei quali muoiono per le sevizie subite (1).
Solo anni dopo giunge la riappacificazione con i Savoia, che li arruolano in massa nel luglio 1744 per la battaglia dell’Assietta contro i franco-spagnoli. Tuttavia, solo con Carlo Alberto (1848) il popolo valdese è ammesso a “godere di tutti i diritti civili e politici dei sudditi”. Negli ultimi due secoli i valligiani cominciano a migrare verso la pianura cuneese e torinese: merciai ambulanti dall’alta valle Varaita, canapini dall’alta valle Po. Gli uomini mietono e le donne spigolano. Gli opifici tessili resistono in val Pellice mentre giungono al cospetto del Re di Pietra i tremendi echi delle due guerre mondiali.
Attorno alla grande montagna si sono susseguiti nei secoli storie di vita, di speranza ma anche di ingiustizia e persecuzione. Il Monviso è sempre stato il testimone impassibile di eterni valori, oggi come nei tempi lontani. La sua figura imponente che si staglia contro il cielo è ancora là ad alimentare i sogni dei giovani che vogliono raggiungerne la vetta, a nutrire i ricordi di quanti la conquistarono nei loro giorni migliori, ma anche solo a rassicurare coloro che, alzando lo sguardo, se lo trovano dinnanzi come silenzioso compagno sul proprio cammino.