È il 1973.
Un uomo si lancia dalla scogliera dell’isola del Diavolo nell’ Oceano.
Pochi secondi lunghi un’eternità, sparisce tra i flutti… inghiottito dalle acque impetuose e spumeggianti per poi riemergere senza fiato.
Lui è Steve MacQueen, bellissimo e impavido, che interpreta la parte di Papillon, nell’omonimo film.
Papillon, farfalla.
Un film che racconta una storia vera, narrata in un libro autobiografico pubblicato in Francia nel 1969.
È la storia di Henri Charrière, un uomo il cui volto è segnato dal dolore e dalle privazioni; ha un pollice mozzato, una farfalla tatuata sul petto e lo sguardo da furfante.
Henri nasce nel 1906, sui monti dell’Ardèche, situati sul confine orientale del Massiccio Centrale, nella regione Alvernia-Rodano-Alpi. Il nome del dipartimento deriva dal nome del fiume omonimo che scorre nel suo territorio.
Mamma e papà sono maestri elementari; due persone oneste, come tante, ma lui è diverso, ha uno spirito ribelle e canzonatore.

Dal 1925 al 1927 entra in Marina; sono 2 anni davvero difficili, turbolenti, quella vita piena di regole non fa per lui. Decide di mollare tutto e per farlo si mozza un pollice: viene congedato e si trasferisce a Parigi, dove entra nel giro della malavita di Montmartre. E lì si tatua la famosa farfalla sul petto.
Vive di espedienti, commette piccoli crimini. Quando ha 24 anni conosce una donna che sposa, Georgette Jeanne Fourel. Secondo alcuni la giovane è dedita alla prostituzione, ma non ci sono voci certe.
Dalla loro unione nasce una bambina, ma lui la vede per poco tempo, perché nel 1931 viene accusato dell’omicidio di Roland Legrand, ufficialmente macellaio, in realtà sfruttatore di prostitute, che viene trovato ferito gravemente il 26 marzo del 1930. Colpito allo stomaco da un colpo di pistola, l’uomo viene portato all’ospedale di Lariboisière, dove muore poco dopo. Però prima di morire riesce a fare il nome del suo omicida alla polizia: un certo “Papillon Roger”.
Henri viene arrestato il 26 ottobre del 1931; non è un uomo onesto, in effetti è un criminale, ma non è un assassino… almeno così dice lui.
In aula urla la sua innocenza a gran voce, ma viene condannato a scontare la sua pena, l’ergastolo, nelle famigerate e temibili prigioni della Guyana Francese. Lo aspettano i lavori forzati e una reclusione che nulla ha di umano.
Quando lascia il suolo francese in direzione Guyana, si ripromette di tornare. Ha 25 anni e il suo unico pensiero è quello di trovare un modo per evadere.

E lo fa per 12 anni. Dopo soli 40 giorni dal suo arrivo nel carcere di Saint Laurent du Maroni, tenta per la prima volta l’evasione. È a 120 km dalla costa, in mezzo all’oceano. La colonia penale è composta in totale da 4 isole: Saint Laurent, San Giuseppe, Isola Reale e Isola del Diavolo, dove nel 1895 fu recluso anche il famoso Alfred Dreyfus.
Papillon le abita tutte e quattro, durante il periodo di detenzione, che definirà nel suo libro come il “cammino della putredine”. Più lui tenta di scappare e più le misure verso di lui diventano restrittive e feroci.
Anche il vivere quotidiano è davvero difficile: andare a mangiare, dormire, andare nelle docce, da un momento all’altro c’è il rischio di trovarsi un coltello alla gola o conficcato in un fianco. Le guardie non sono certo delicate, e per trovare il colpevole procedono a perquisizioni violente, a bastonare braccia e gambe con i manganelli. Gli arti fratturati non vengono curati da nessuno, perché a nessuno interessa il bene o il male degli uomini che sono lì, considerati rifiuti irrecuperabili dalla società.
Papillon è spesso nei guai: il suo carattere ribelle facilita le punizioni esemplari. Finisce in isolamento, in una buca nel terreno sotto al sole per giorni, oppure ammanettato dietro alla schiena, oppure il uno stretto cunicolo buio; ha i polsi piagati e feriti, ma non si perde mai d’animo e fa amicizia con un falsario, Louis Dega, di cui diventa il protettore in cambio del denaro che gli servirà per corrompere le guardie durante la prossima fuga. Le banconote che riceve le nasconde in un bussolotto in metallo che tiene nascosto nell’ano. Con quello che accumula compra una piccola imbarcazione per 1000 Franchi, ma è sfondata. Con lui ci sono André Maturette e Joanes Clousiot: scappano navigando lungo la costa fino in Colombia fino ad arrivare a Riohacha. Un temporale ferma la loro fuga. I tre uomini vengono catturati e imprigionati, ma Papillon riesce a fuggire e ad arrivare a La Guajira dove rimane nascosto per diversi mesi.
Qui però viene denunciato da una religiosa. Riacciuffato, finisce in una cella che si allaga ogni volta che sale la marea, infestata da topi e insetti che piagano la sua pelle.

Torna alla colonia penale.
Dopo l’ennesimo tentativo di evasione, finisce in isolamento per 2 anni sull’isola di San Giuseppe, in una minuscola cella al buio, un corridoio, che nessuno gli apre mail. Per non impazzire ogni giorno percorre la cella avanti e indietro camminando: 5 passi avanti, 5 passi indietro. Il direttore spera di piegarlo, di domarlo, ma lui non cede. Finge di piegarsi alle regole, ma il suo cervello ha già pensato al prossimo tentativo.
Ci ragiona a lungo e poi decide. Si finge pazzo e riesce a farsi trasferire nel reparto psichiatrico della prigione, da cui sembra sia più facile fuggire.
Come lui, anche altri tentano di riconquistare la libertà; per sedare le continue intemperanze, viene istituita la pena di morte per chiunque tanti di scappare.
Papillon ci ripensa. Aspetta.
È il 1943. Con un espediente riesce a farsi trasferire all’Isola del Diavolo. I prigionieri lì sono meno controllati perché vivono in baracche isolate, lontano dalle guardie. Quell’isola è la più remota, in mezzo all’oceano infestato di squali. Chi potrebbe mai fuggire?
Papillon, lui ce la fa.
Costruisce una zattera con una rete da pesca e centinaia di noci di cocco. Poi studia, per settimane. Tempo ne ha molto.
Studia le onde, il loro moto, come si infrangono sulla scogliera. Studia e poi si decide.
Arriva il giorno giusto. Getta la zattera nell’acqua e si tuffa. Riemerge vivo, senza fiato, ma vivo.
“Maledetti bastardi, sono ancora vivo.” Ce la fa.
Sale sulla zattera di fortuna, rimane in acqua 48 ore, fra gli squali, ma è determinato a farcela, mentre i suoi carcerieri lo credono morto inghiottito dai flutti.

Supera i crampi, sempre più frequenti, la paura di essere divorato da un momento all’altro, l’ansia di cadere in acqua a causa di un colpo di sonno.
Raggiunge la terraferma, attraversa la foresta e il confine. Sparisce. Ha 37 anni, è un uomo libero.
Arriva in Venezuela, dove viene nuovamente arrestato e portato nel carcere di El Dorado dove ha un trattamento completamente diverso.
Papillon viene rilasciato il 18 ottobre del 1945. Si stabilisce a vivere a Caracas dove ottiene la resistenza grazie al matrimonio con Rita Alcover. Dalla prima moglie divorzia nel 1970….
Fonda il ristorante Gran Café sul Boulevard de Sahara Grande, che vien distrutto da un terremoto nel 1967. Questa tragedia lo spinge a scrivere la sua autobiografia che pubblica poi in Francia nel 1969.
Sarà un successo planetario.
Nel 1970 ottiene la grazia. Ora è davvero un uomo libero.
Fra realtà e fantasia questa è la storia di Henri Charrière, al secolo Papillon, l’uomo che non si piegò mai alla brutalità della colonia penale francese della Guyana.