Questa storia affonda le proprie radici alla fine del 700 in Germania dove il commerciante Johann Peter Bemberg rivendeva, nella natia Elberfeld, materie coloranti importate dalla Francia e destinate ad industrie tessili, divenendo in breve proprietario di varie fabbriche. Le attività di queste aziende furono successivamente trasferite nell’importante centro tessile di Barmen (l’attuale Wuppertal) dove gli eredi di Johann Peter Bemberg continuarono la produzione e la ricerca e sviluppo. A seguito dell’assorbimento da parte della Bemberg di una fabbrica di Oberbruch, perfezionando il procedimento con lo stiro su rulli di vetro e la coagulazione in acido alla fine del settembre del 1900 venne brevettato quel procedimento conosciuto come il “sistema Bemberg” ampiamente diffuso negli anni successivi in tutto il mondo.
Il sistema Bemberg consisteva nell’ estrazione della cellulosa dai linters del cotone, successivamente trattati con una miscela di ammoniaca rame ed acqua purissima e infine lavorati con estrusori producevano un filato molto simile alla seta, utilizzato al tempo principalmente per la calzetteria femminile.
Nel 1924 a Lucerna venne siglato un accordo tra investitori stranieri per realizzare impianti di produzione in altri stati Europei tra cui l’Italia. La zona individuata come sede della fabbrica fu Gozzano che coniugava una particolare conformazione del territorio ad acque limpide del lago D’Orta necessarie per garantire la miglior qualità del processo produttivo.
Come spesso succede in questi casi, le opinioni si divisero sul beneficio o meno della presenza di una fabbrica così impattante per un territorio la cui popolazione aveva sempre vissuto di cose semplici (sebbene a costo di duri sacrifici) in un ambiente salubre. Il paese soffriva anche di una forte componente di emigrazione, specialmente degli abitanti più giovani, e la possibilità di utilizzare maestranze locali avrebbe potuto offrire maggiori opportunità per rimanere. Nonostante le non poche perplessità sui pericoli legati all’inquinamento che la fabbrica avrebbe potuto generare e dure ed estenuanti opposizioni, alla fine il 27 Maggio del 1925 venne firmato l’atto costitutivo della “Seta Bemberg Società Anonima”.
I lavori di costruzione iniziarono immediatamente e anche le assunzioni del personale non tardarono ad arrivare tanto che una squadra di una cinquantina di operai italiani fu spedita in tutta fretta nei pressi di Lucerna per un periodo di apprendistato sulle tecniche utilizzate affinché, a loro volta, la rientro potessero formare i nuovi assunti. Ad inizio di febbraio del 1927 uscirono dalle filiere i primi fasci di fibrille inaugurando così una fabbrica costruita in meno di 2 anni che alla fine del decennio contava già oltre un migliaio di dipendenti.
L’azienda funzionava a ritmi molto serrati e nonostante la crisi del 1929 la Bemberg riuscì ad uscire indenne dalle difficoltà e ripercussioni di questo momento storico sul mercato italiano. Nemmeno la guerra d’Africa, che costrinse l’azienda a rivolgersi a produttori nazionali per l’approvvigionamento delle materie prime, minò lo sviluppo dell’azienda che anzi si dotò di un nuovo reparto di ricerca e spostò gli uffici commerciali a Milano qualche anno prima dell’inizio della 2° Guerra Mondiale.
Il conflitto mondiale mise in difficoltà molte aziende tra le quali anche la Bemberg che, tra l’altro, venne classificata come azienda ausiliaria per la tipologia di produzione che garantiva filati destinati alla fabbricazione di materiale legato all’industria bellica. Sul finire del conflitto il territorio di Gozzano e dintorni vide fronteggiarsi le truppe tedesche e le formazioni partigiane, che si nascondevano nelle montagne e colline circostanti, rendendo quasi impossibile la regolare produzione che riprese all’inizio del mese di Maggio del 1946.

Anche la vita del paese e degli operai si avviò verso la normalità, Bemberg offrì alle proprie maestranze dei vantaggi a quel tempo impensabili per la maggior parte dei lavoratori italiani, degni di imprenditori illuminati: viene aperto un asilo nido, vennero offerti corsi di economia domestica e di lingue straniere e molti altre iniziative che fecero identificare la fabbrica come una grande famiglia e non per nulla si sono succedute circa 3 generazioni tra i macchinari e gli uffici di questa azienda.
La concorrenza è sempre in agguato: l’arrivo del nylon in Italia, un filato sintetico poliammidico derivato da lavorazioni del petrolio, ci mise poco tempo a conquistare la preferenza delle consumatrici sostituendosi al Cupro nettamente più costoso. La situazione costrinse la Bemberg ad inventarsi soluzioni e impieghi doversi e ricercare nuovi mercati ed è così che il Cupro diventò il materiale principe per la realizzazione di fodere per capi di pregio e il nome Bemberg divenne sinonimo di fodere di qualità apprezzate dai migliori stilisti e sarti italiani.
Nel 1951 la sede commerciale della Bemberg si spostò nei prestigiosi uffici di proprietà di Via Brera a Milano proprio di fronte alla Pinacoteca mentre l’anno successivo per dar del “filo da torcere” alla concorrenza vennero inaugurati gli impianti per la produzione di un nuovo filato secondo un processo continuo su bobine che venne chiamato “Cusio” mentre alla fine del 1955 iniziò la produzione del Nylon Bemberg denominato “Ortalion” entrambi in nomi con evidente riferimento al Lago D’Orta a cui l’azienda doveva molto.
La produzione era ormai diventata inarrestabile così come il destino del lago d’Orta che, come prevedevano in molti nel 1925, a causa degli scarichi industriali della Bemberg e in particolare del deposito del rame sui fondali e lo sversamento di ammonio nelle acque, stava distruggendo tutta la ricchissima fauna e flora del Cusio.
Il grido d’allarme venne lanciato da Rina Monti, prima donna nella storia del Regno d’Italia ad ottenere una cattedra universitaria, che a seguito di scrupolose analisi delle acque del lago pubblicò una relazione che inchiodava la Bemberg alle proprie responsabilità. L’azienda fece finta di non aver sentito, anzi montò una campagna denigratoria nei confronti dei pescatori incolpandoli di uno scriteriato utilizzo delle reti e di una pesca troppo intensiva cercando di puntare i riflettori sui più deboli, sottolineando il benessere raggiunto dalle famiglie e invocando, nel nome del progresso, la bontà dell’arrivo della fabbrica giustificando così la moria del lago come una contropartita da dover accettare.
L’anno 1968 segnò l’inizio di numerose manifestazioni e duri scioperi in tutta Italia e anche la Bemberg non fu risparmiata da questo movimento. La battaglia si fece più aspra quando, agli inizi degli anni 70, si fece intravedere la possibilità di licenziamenti dovuti ad esuberi di personale. Su un organico che superava i 2.300 dipendenti sarebbe stato necessario sacrificarne oltre 200 il che portò a una lunga battaglia sindacale che sfociò in uno sciopero di 20 giorni consecutivi e una manifestazione di massa che si riversò per le strade di Borgomanero.
Sindacalisti e lavoratori si davano il turno coprendo le 24 ore asserragliati dietro ai cancelli della fabbrica nonostante le rigide temperature invernali: la situazione fu così grave e compromessa che, quell’anno, persino la sfilata di carnevale a Gozzano venne annullata per motivi di ordine pubblico. Il governo intervenne per un tentativo di mediazione tra proprietà e maestranze addivenendo non senza difficoltà e dopo alcuni mesi ad un accordo.

Bemberg era ormai diventato un affermato brand in ambito tessile, il sodalizio con l’illustratore italiano Renato Zavagli Ricciardelli delle Caminate, meglio noto con lo pseudonimo di René Gruau, ne consacrò il mito. Dalla sua matita nacquero una serie di raffinati manifesti pubblicitari che rendevano unici e riconoscibili i manufatti Bemberg grazie anche alla sua inconfondibile firma formata da un G con in cima una stella.
Negli anni 80 la Bemberg, grazie anche alla “Legge Merli” per la protezione delle acque dall’inquinamento si dota di una serie di impianti di depurazione delle acque e si impegna per selezionare materiali sempre meno tossici ed impattanti. La vita ritorna lentamente nelle acque del Cusio a dimostrazione che è possibile uno sviluppo sostenibile per far coesistere progresso e tutela dell’ambiente. L’acqua è un bene indispensabile, inquinarla è questione di un attimo ripulirla richiede molti sforzi ma soprattutto molto tempo con risultati di ritornare alla situazione iniziale spesso non garantiti.
Arriviamo alla fine degli anni 90 quando anch’io ho avuto il piacere di lavorare per la Bemberg negli uffici commerciali di Milano che oramai si erano trasferiti in anonimi palazzi di Via Caldara – nella più periferica zona di San Siro – dopo alcuni anni passati in fondo a Via Savona, nel quartiere del Giambellino. I lussuosi uffici di Via Brera erano ormai un lontano ricordo: venduti per fare un po’ di cassa e dare fiato ad una produzione che ormai sentiva il peso degli anni e l’avanzare di agguerrita concorrenza formata da gruppi multinazionali e nuove aziende “rampanti”.
A cavallo del nuovo millennio la crisi in Asia aveva portato, ad opera di produttori Coreani, Cinesi, Giapponesi, ingenti quantitativi di Nylon sui mercati Europei, del Nord Africa e Medio Oriente a prezzi decisamente stracciati. Bemberg aveva investito importanti capitali in un nuovo impianto di produzione del Nylon, il momento storico complesso, scelte di produzioni non lungimiranti in un mercato già troppo affollato e con prezzi ridotti all’osso diede l’ultimo scossone all’azienda decretandone la lenta agonia e l’inesorabile fine.
Giovedì 12 Marzo 2009 il quotidiano La Stampa titolava: “Requiem per la Bemberg” e l’articolo continuava “alle ore 10:00 le sirene hanno suonato a lungo: la storica fabbrica ha chiuso. La paura dei lavoratori è che la fermata di ieri che Angelo e Salvatore Amitrano, proprietari dello stabilimento, hanno definito temporanea in attesa di superare la crisi, sia in realtà il ”de profundis” della fabbrica cusiana”. E così fu.
Purtroppo, la Bemberg non si riprese più, fu smembrata in 4 società successivamente commissariate: qualche lavoratore riuscì a trovare un nuovo lavoro qualcuno raggiunse la pensione ma oltre 150 lavoratori rimasero senza protezioni e con arretrati di stipendi per diversi anni.
I commissari che la gestirono tentarono di valutare la strada della bonifica per provare un rilancio del sito produttivo ma l’operazione risultò essere troppo onerosa per investitori medio-piccoli.
A questo punto il complesso produttivo venne messo all’asta 5 anni dopo la chiusura per un valore stimato di poco superiore ai 7 Milioni di Euro. Il lotto in vendita oltre agli uffici, la mensa, i campi da tennis e da bocce comprendeva la vera punta di diamante della Bemberg, la centrale termica di cogenerazione. Costruita nel lontano 1968, fino al 2003 era in grado di produrre 42 milioni di kilowatt/ora, e alimentare quasi 4 mila abitazioni.
A causa di mancanza di compratori, a fine del 2015 il Tribunale abbassò le pretese a 4 milioni, poi il prezzo ha continuato a scendere fino a poco più di 1 Milione di Euro a fine 2016. Aste andate tutte deserte, da qui la decisione del curatore di portare il prezzo a inizio del 2019 alla ridicola cifra di 200 mila Euro valorizzando così a 70 cent al metro la storia industriale di Gozzano. La gara fu aggiudicata ma, ad oggi, la riqualificazione del sito ex Bemberg purtroppo sembra ancora tutta in salita.

Ho voluto scrivere la storia della Bemberg, probabilmente non completa e in qualche tratto imprecisa, ispirato dallo spettacolo teatrale “Crack” messo in scena da Floriano Negri che ho avuto il piacere di gustare il 15 Febbraio 2020 nel teatro del paese in cui vivo.
Con delicatezza e ironia, l’attore ha interpretato tre protagonisti della vicenda, tutti appartenenti alla stessa famiglia, ricordando, ora con un sorriso ora con tragicità, i tempi andati e le tante storie che in molti hanno vissuto sulla propria pelle o ascoltato in famiglia.
Mi ha fatto rivivere con piacere e nostalgia gli anni passati in Bemberg e ho avuto anche occasione di scambiare due parole al termine dello spettacolo: come i Viaggiatori Ignoranti, anche Floriano ha voluto ricordare la storia di una fabbrica che ha unito tre generazioni del paese di Gozzano e dintorni. Chissà se qualcuno dei lettori ha trascorso un periodo della propria vita lavorativa e attingerà con ugual piacere questo piccolo omaggio alla grande Bemberg. Come sempre ogni aggiunta, precisazione o testimonianza è ben gradita.