Vivere e morire in Yemen non è facile.
Non lo è se sei maschio, ma peggio è se sei femmina.
La storia che vi vorrei raccontare, con un peso nel cuore, è quella di Nojoud Ali.
Nojoud è nata nel 1998. La sua vita scorre come quella di molte altre bambine, con un destino già segnato fin dalla nascita in quel paese.

La sua famiglia non è benestante e le difficoltà del vivere quotidiano pesano molto sul papà di Nojoud, che non si fa scrupolo di pensare a come utilizzare le figlie femmine come mezzo per arricchirsi.
La loro esistenza viene sconvolta profondamente da un evento drammatico.
La sorella maggiore di Nojoud, Mona, nel 1997 viene rapita e stuprata. Rimane incinta.
Per la famiglia è una macchia indelebile. La bambina viene costretta a sposare il suo stupratore, ma nonostante questo, essendo avvenuto il concepimento fuori dal matrimonio, sono costretti a trasferirsi per mettere a tacere le voci e i pregiudizi.
Vanno a vivere nella città di San’a, ma le difficoltà economiche aumentano perché il padre non lavora. Tutti contribuiscono come possono alla sopravvivenza. Sono una famiglia numerosa: 3 mogli e 16 figli.
È il 2007. Nojoud ha 9 anni. Suo padre prende la decisione di accettare per lei la proposta di matrimonio di un uomo di 30 anni, Faez.

In pochissimo tempo la bambina passa dal gioco alla vita di coppia, con un uomo che la picchia, la costringe ad avere rapporti sessuali, la tratta come una schiava, con la propria madre che vive con loro e assiste complice a questa tragedia ogni giorno, senza fare nulla.
Passano 2 mesi. La piccola piange spesso, chiede di tornare a trovare la sua famiglia, di vedere i suoi amichetti. Non è libera di farlo, fino al giorno in cui il marito-padrone le dà il permesso di tornare a San’a.
Arrivata nella casa paterna, chiede al padre di riaccoglierla in famiglia, ma lui rifiuta. Le loro precarie condizioni economiche non gli permettono di provvedere ad un’altra bocca da sfamare e poi il suo dovere è quello di tornare da quell’aguzzino che ha sposato e di obbedirgli senza fare storie.
Nojoud è disperata; chiede aiuto alla seconda moglie di suo papà, Dowla, che ha pietà della sua sofferenza e le consiglia di fuggire per andare a cercare un tribunale a cui raccontare la sua vicenda.
La ragazza non ci pensa due volte. Scappa, gira per la città in cerca di un tribunale e quando ci arriva trova un magistrato che la ascolta e che decide di aiutarla.
La alloggia presso un collega che si prende cura di lei.
Insieme decidono di fare causa al padre e al marito per ottenere quello che Nojoud desidera più di ogni altra cosa: la libertà!

Nel procedimento viene assistita gratuitamente dall’avvocato Chadha Nasser.
Secondo la legge Yemenita, i matrimoni non possono essere contratti se la sposa ha un’età inferiore ai 15 anni. Nel 1999 viene però introdotto un emendamento a questa disposizione, in cui si fa riferimento all’unione fra il profeta Maometto e la giovane sposa Aisha, di soli 9 anni. Con questa modifica si introduce la possibilità di unirsi con spose di età inferiore al limite previso, ma si stabilisce anche la consegna di una dote alla famiglia della sposa e si fa divieto assoluto di avere rapporti sessuali fino a quando la giovane congiunta non sia entrata nella pubertà.
L’accusa dell’avvocato Nasser è chiara: la legge è stata infranta quando il marito di Nojoud l’ha costretta ad avere ripetuti rapporti sessuali; inoltre sia Faez che il padre della bambina hanno mentito sulla vera età della piccola, durane gli interrogatori di fronte al giudice, per salvarsi.
Nel corso del dibattimento il giudice propone a Nojoud di riunirsi col marito dopo un intervallo di tempo fra i 3 e i 5 anni. Lei rifiuta categoricamente.
Il 15 aprile 2008 ottiene il divorzio. Le costa 1000 Rival, cioè circa 360 €, da pagare al marito come risarcimento per la rottura del contratto. La somma viene raccolta grazie ad una iniziativa dello Yemen Times.
Nojoud è libera. Ora può disporre di sé stessa e della propria vita.
Parte per Parigi, dove ricomincia a vivere e dove scrive la sua storia con l’aiuto della giornalista franco-iraniana Delphine Minoui. Il suo libro, Moi – Nojoud, 10 ans, divorcée, diventa un bestseller tradotto in 15 lingue.
Nel 2008 è anche inserita nell’elenco delle donne dell’anno di Glamour. Ma la cosa più importante per lei, quella che fa la differenza, è che riprende ad andare a scuola.
L’editore Michel Lafon accetta di pagare al padre di Nojoud la somma di 1000 dollari al mese per il mantenimento della ragazza, fino ai 18 anni, a patto che le permetta di frequentare la scuola.
Ma in realtà la giovane dalla casa in cui si è trasferita la famiglia nel frattempo, acquistata sempre dall’editore, è stata cacciata. I soldi per il suo mantenimento sono spariti mentre la violenza del padre è ricominciata.
Va così a vivere col fratello maggiore.
Purtroppo le vecchie cattive abitudini non sono facili da sradicare, infatti il padre di Nojoud ha cercato di vendere la piccola Haifa, sua sorella minore, ad un uomo molto più grande di lei.
Ma Nojoud non molla, si batte anche per la libertà di sua sorella, aiutata e sostenuta dal generoso editore francese, in una battaglia che li vede osteggiati dalla maggior parte dell’opinione pubblica yemenita.
Purtroppo ancora una volta Nojoud ha dovuto lasciare la scuola, per scappare all’inizio della guerra, ma non ha perso la voglia di sognare e il suo coraggio.
Nel mondo sono ancora troppe le spose bambine, figlie di una cultura maschilista e retrograda che vede le bambine come un bene prezioso perché costituiscono merce di scambio.
Nojoud è un simbolo, di forza, di coraggio, come per noi a suo tempo lo è stata Franca Viola.
Io spero ancora che, domani nel mondo, tutte le donne saranno libere di sposare chi vogliono e non chi devono, per diventare schiave.