Quando parliamo dell’olocausto raccontiamo spesso di persone che ci hanno dimostrato nel tempo come per loro la vita umana non avesse alcun valore. Abbiamo ricordato personaggi negativi, aguzzini, torturatori, angeli della morte, brutali assassini.
Oggi, nel giorno della memoria mi piacerebbe raccontare una storia diversa, qualcosa che mi ha colpita nel profondo e che mi ha fatto pensare a come non si debba solo raccontare del male ma anche del bene che è stato fatto durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1943, all’ospedale Fatebenefratelli di Roma, prestavano servizio il dottor Giovanni Borromeo e il dottor Vittorio Emanuele Sacerdoti, che lavorava nella struttura sotto falso nome in quanto anche lui di origine ebraica. Tra i loro studenti specializzandi vi era il giovane Adriano Ossicini.
Pensando a come salvare dalla deportazione decine di ebrei romani inventarono la sindrome di K.
Perché proprio sindrome di K?

K era l’iniziale degli ufficiali nazisti Kesselring e Kappler.
Albert Konrad Kesselring assunse il comando supremo di tutte le forze tedesche in Italia e condusse la lunga campagna difensiva contro gli Alleati.
Herbert Kappler fu colui che individuò il luogo dove Mussolini era tenuto prigioniero a Campo Imperatore e ne pianificò la liberazione.
Nel 1943 dopo l’armistizio che l’Italia firmò con gli Alleati, la Germania occupò la città di Roma. Il 16 ottobre le truppe tedesche entrarono nel ghetto e in altre zone della città per un rastrellamento che portò all’arresto di oltre 1000 persone, la maggior parte delle quali fu deportata direttamente ad Auschwitz.
Moltissimi di quelli che riuscirono a fuggire, cercarono rifugio nel vicino ospedale Fatebenefratelli.
I tre medici decisero, per aiutarli, di compilare false cartelle cliniche per i fuggitivi, diagnosticando loro la contagiosissima malattia Sindrome K , la cui virulenza avrebbe scoraggiato i nazisti dal controllo dei nominativi dei pazienti malati.
Al terribile morbo fu dedicato un reparto intero, isolato, in cui furono ricoverati sotto falso nome ebrei e polacchi; i pazienti restavano qualche giorno in reparto, in attesa che da una tipografia arrivassero clandestinamente falsi documenti di identità, che avrebbero permesso loro la fuga dopo essere stati dichiarati morti con il loro vero nome.
Un piano ben architettato, ma molto rischioso.

A seguito di un controllo da parte dei tedeschi , vennero verificati tutti i degenti nell’ospedale; arrivati al padiglione della sindrome di K, il dottor Giovanni Borromeo, che parlava bene tedesco, spiegò ai soldati la pericolosità del morbo e quanto fosse contagioso. Le sue parole fecero desistere i nazisti dal proseguire l’ispezionare del padiglione.
Da quel giorno il Fatebenefratelli, che si trovava in territorio vaticano, divenne destinazione di molti fuggitivi “carabinieri, polizia dell’Africa orientale, partigiani, ebrei e, successivamente, fascisti”.
Questa è una storia diversa da quelle a cui siamo abituati. È una storia di amore, coraggio, altruismo e tenacia. Tre medici, con la complicità dei frati dell’ospedale, riuscirono a salvare molti ebrei dalla deportazione e dopo di loro tante persone che cercavano di sfuggire dalla guerra.
La storia li ricorderà come uomini Giusti, noi come un grande esempio perché anche poche persone sole possono fare la differenza se sono unite contro l’odio.