Giovannino Guareschi nell’immediatezza della vittoria cattolica alle elezioni della primavera del 1948 sostenne: “Ci salvarono le zie, Don Camillo e Bartali”. Se appaiono simpatiche le affermazioni riguardanti le zie e Don Camillo, più complesso da analizzare risulta il riferimento a Gino Bartali. Per comprendere dobbiamo risalire la linea del tempo. Nell’effettuare questo viaggio a ritroso non possiamo che ritornare al tempo in cui il nostro, grandissimo, ciclista sfidava le perfide divise degli invasori tedeschi.

Se tutti conoscono il Bartali campione, quello dei tre giri d’Italia e dei due Tour de France vinti, non tutti sono a conoscenza della sua attività a favore degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Il rapporto di sfiducia, odio secondo molti, tra Bartali ed il regime fascista inizia nel 1938, anno in cui le istituzioni sportive, rette dai fascisti che nel frattempo si erano impossessati di tutti i ruoli di comando, costrinsero Gino a gareggiare nel Tour de France. Bartali quel Tour lo vinse, ma non provando stima ne simpatia per il fascismo, non dedicò la vittoria a Mussolini come era d’obbligo in quel periodo. Il tempo, insieme alla miseria umana della dittatura, qualunque essa sia, corre veloce. Sul finire dell’estate del 1943, dopo l’arresto di Mussolini e la firma dell’armistizio con le Forze di Liberazione Alleate, il paese si trovò spezzato in due; la Germania nazista si impadronì completamente delle regioni del Nord Italia. All’interno di quelle regioni le condizioni di vita degli Ebrei peggiorarono ulteriormente, se mai fosse possibile.
Nella Toscana di Bartali un cardinale, Elia Dalla Costa, segretamente aiutava gli ebrei. Quello stesso cardinale nel settembre dello stesso anno chiese al campione un incontro segreto. Dalla Costa spiegò a Bartali che aiutava i profughi ebrei che avevano trovato rifugio in Italia, ponendo l’attenzione sul fatto che necessitavano di documenti falsi. Il cardinale chiese a Gino di nascondere i documenti contraffatti, insieme alle le foto necessarie alla falsificazione, nel telaio della propria bicicletta durante lo svolgimento delle sedute di allenamento. Bartali accettò. Per oltre un anno percorse le strade della Toscana trasportando da un luogo all’altro i documenti falsi dei profughi ebrei. Alcune sessioni di allenamento le svolgeva con i propri compagni, ignari di quanta storia si stesse scrivendo sotto le ruote di quelle biciclette. Il ciclista non si limitò al trasporto dei documenti, ma riuscì a nascondere anche una famiglia di ebrei, Giorgio Goldenberg con la moglie e il figlio, nella cantina della propria casa sino alla liberazione della città di Firenze.

Nell’autunno del 1943 Bartali venne arrestato dalla polizia fascista: a Firenze c’era il temutissimo comandante Mario Carità, persona crudele e spietata – racconta Dini Gandini -. Venne fermato ma nessuno ispezionò la sua bicicletta: grazie a questa dimenticanza il campione si salvò.
Gino collaborava per la salvezza degli oppressi, non solo ebrei. Nel Settembre del 1944 salvò una quarantina di soldati inglesi che si erano rifugiati a Villa La Selva. Indossando la divisa fascista, liberò gli uomini consegnandoli ai partigiani sulle colline di Bagno a Ripoli.
Nel maggio 2005 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha consegnato alla moglie di Bartali, Adriana, la medaglia d’oro al valore civile (postuma) allo scomparso campione per avere aiutato e salvato molti ebrei durante la seconda guerra mondiale. Il 2 ottobre 2011, inoltre, Bartali è stato inserito tra i Giusti dell’Olocausto nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova, sempre per l’aiuto offerto agli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Fabio Casalini