Amba Aradam, la montagna della vergogna italiana

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Tutto l’ambaradan. Probabilmente vi sarà capitato di sentire questa parola, o magari di pronunciarla, almeno una volta. Ma che cos’è l’ambaradan?


Si tratta di un termine coniato dai reduci dalla campagna in Etiopia, una guerra che ha violato la Convenzione di Ginevra, che fa riferimento alla battaglia per la conquista di un altopiano.
Entriamo nel dettaglio della battaglia.
Alle 8.00 del mattino del 10 febbraio, Badoglio lanciò il primo attacco della Battaglia di Amba Aradam. L’esercito era composto da soldati regolari del Regio Esercito e da volontari delle camicie nere, mentre gli àscari formavano la riserva. Il I e III corpo italiani si spostarono sulla piana di Calaminò e quando calò la notte entrambi i corpi si accamparono lungo le rive del fiume Gabat. Badoglio aveva avuto una formazione come generale d’artiglieria e come tale era fortemente intenzionato a promuovere l’utilizzo di questa arma. Il suo quartier generale fungeva poi anche da posto di osservazione della battaglia e da luogo di partenza degli aerei della Brigata aerea da bombardamento mandati in ricognizione sul fronte ogni cinque minuti. Questi aerei identificarono le posizioni delle forze etiopi per gli artiglieri italiani. Durante l’offensiva preparatoria, le forze italiane usarono massicciamente gas venefici, in primis granate all’arsina.

Gli aerei italiani, inoltre, mapparono l’area attorno all’Amba Aradam e scoprirono le varie debolezze delle difese di Ras Mulugeta. Fotografie aeree mostrarono che l’attacco da sud dell’Ambaradam sarebbe stato il migliore. Badoglio, pertanto, decise di accerchiare l’Amba Aradam e di attaccare Mulugeta dal retro così da forzare le sue truppe a spostarsi verso il piano di Antalo dove sarebbero state distrutte dai restanti corpi d’armata italiani.
L’11 febbraio la 4ª Divisione CC.NN. “3 gennaio” e la 5ª Divisione alpina “Pusteria” del III corpo avanzarono da Gabat presso la parte ovest dell’Amba Aradam. Nello stesso tempo, il I corpo si mosse a est del monte. Il Ras Mulugeta si accorse troppo tardi del piano degli italiani per accerchiare le sue posizioni.
Al mezzogiorno del 12 febbraio, gran parte delle forze etiopi scese dal fianco occidentale dell’Amba Aradam e attaccò la Divisione Camicie Nere che fu duramente provata, ma così non fu per la divisione alpina Pusteria che continuò l’avanzata verso Antalo. I bombardamenti d’aria e d’artiglieria da parte degli italiani, colpirono duramente le posizioni dei nemici. Alla sera del 14 febbraio, gli italiani avevano raggiunto le posizioni desiderate e si raggrupparono con l’artiglieria per l’assalto finale. Dalla mattina del 15 febbraio, sotto la copertura dell’oscurità e di una densa nebbia, gli italiani completarono l’accerchiamento della montagna. Quando giunse la luce del giorno e le dense nubi si diradarono, gli etiopi decisero di attaccare nuovamente ma senza successo. Al calar della sera la battaglia poteva dirsi conclusa. Le camicie nere del Duca di Pistoia piantarono per prime il Tricolore sulla cima dell’Amba Aradam dopo un violento assalto all’arma bianca guidato dal duca in persona.

Le perdite, come dal comunicato di Badoglio, vedono un totale, fra morti e feriti, di 36 ufficiali, 621 nazionali e 143 indigeni da parte italiana e una stima di circa 20.000 uomini da parte Etiope.
Badoglio non lasciò scampo alle truppe etiopi che si erano opposte agli italiani: per i quattro giorni seguenti egli fece sganciare dagli aeroplani italiani delle bombe al gas sulle colonne in rotta e inoltre la locale tribù di Azebu Galla si alleò con gli italiani per attaccare gli etiopi in ritirata.
La battaglia dell’Amba Radam si risolse grazie al gas iprite rilasciato a bassa quota dall’aviazione. Anche sui civili. A terra, i soldati spararono proiettili all’arsina e al fosgene, fortemente tossici. Di fatto, si tratta di una evidente, ma rinnegata per decenni, violazione della Convenzione di Ginevra del 1928.

Fabio Casalini

BIBLIOGRAFIA

  • Franco Bandini (1980). Gli italiani in africa (1882 -1943). Arnoldo Mondadori editore
  • Matteo Dominioni, Lo sfascio dell’Impero – Gli italiani in Etiopia 1936-1941, Laterza 2008.

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