In India la pratica della sati è stata ufficialmente vietata nel 1839.
Ma di cosa di tratta?
La sati o suttee, in sanscrito significa fedeltà. Viene anche chiamata anugamana, che significa seguire, oppure sahanarana, morte insieme.
Questa antica pratica si traduce letteralmente con il sacrificio della vedova che segue il marito morto sulla pira funebre.
Viene arsa viva.
Il corpo del defunto viene preparato per la cremazione e deposto sulla pira. La vedova, lo segue nel suo destino.
Si veste con gli abiti nunziali, recita girando tre volte attorno alla pira dei mantra e poi si adagia volontariamente accanto al cadavere del marito.
Un parente, dopo aver compiuto a sua volta tre giri attorno alla catasta, appicca il fuoco.
La donna attende di morire fra atroci dolori.

Il alcune remote regioni dell’India questa pratica sopravvive ancora.
L’ultimo caso di cui abbiamo notizia è del 2008, quando una vedova di 75 anni si è gettata sulla pira del marito nello stato del Chattisgarh.
Altri casi che sono arrivati a noi risalgono al 1973, al 1978, al 1987, al 1988, al 2002 e due casi al 2006. Probabilmente di altri non sappiamo nulla.
In alcuni casi l’autoimmolazione è volontaria, in altri c’è stata coercizione fisica e psicologica da parte dei parenti del defunto, per convincere la vedova al sacrificio.
Quello del 1987 è un caso che ha attirato grande attenzione in India.
Una giovane donna di 18 anni, Roop Kanvar, ha deciso di seguire il marito morto in un tragico incidente. Ciò che ha fatto dubitare sulla libera scelta della giovane, sono stati alcuni fattori come la giovanissima età e l’alto livello di istruzione.
Subito dopo il suo sacrificio è stata trasformata in una specie di eroina, una martire.
In passato sono stati purtroppo accertati casi in cui la moglie è stata legata sulla pira funebre, e altri in cui è stata drogata con bhang o oppio per vincerne la resistenza e la volontà.
Della sati non si fa menzione nei Veda, i principali testi sacri dell’induismo, che invece auspicano per la vedova un nuovo matrimonio con il fratello del marito o con parente prossimo. La ritroviamo invece nell’Atharva Veda, una suddivisione dei Veda, dove si dice che “ogni donna virtuosa si brucia assieme al cadavere del marito”.
Alla sati sono legati altri fenomeni come il matrimonio in giovane età con marito molto più anziano, le cosiddette spose bambine, il divieto a contrarre nuovo matrimonio per le vedove ed altre restrizioni.
Questa visione arcaica va fatta risalire alla convinzione che per la donna indiana il marito è come un dio, da venerare, accudire e servire, senza il quale non ha ragione di esistere e pertanto di vivere.

Ha il dovere di seguirlo nella vita e di precederlo nella morte; se così non avviene, deve morire con lui.
Se la vedova ha la fortuna di sfuggire alla sati, ha il dovere di servire a famiglia del marito, di accudirla in ogni sua necessità, di dormire per terra e di cibarsi solo di alimenti non conditi.
In altri casi viene condotta in convento o in case di accoglienza dove vestita di bianco, il colore del lutto in India, completamente rasata, passa il suo tempo a pregare nei templi oppure a prostituirsi, se ancora giovane e bella.
Attualmente la legge indiana prevede pene severe per chi organizza, promuove, incentiva o anche assiste ad una sati. È anche severamente vietato costruire altari o templi o recarsi a pregare sui luoghi dove la sati è avvenuta.