Conosciamo tante cose del nazismo. Molte le dobbiamo ancora scoprire.
Conosciamo i cattivi.
Conosciamo i buoni, anche se ne scriviamo meno.
Sophie Magdalena Scholl era tra i buoni e per questo fu uccisa, decapitata.
Sophie nacque a Forchtenberg il 9 maggio 1921. La sua era una famiglia numerosa.
Aveva 5 tra fratelli e sorelle: Inge, Hans, Elisabeth, Werner e Thilde. Lei era la quarta.
Nel 1930 la famiglia si trasferì a Ludwigsburg. Due anni dopo andarono a vivere a Ulm.
Le fu impartita un’educazione profondamente religiosa: in parte luterana, in quanto la madre Magdalena era stata prima di sposarsi diaconessa, in parte cattolica, per seguire le idee del padre.
La sua infanzia fu molto spensierata. Nel 1933, come tutti i giovani tedeschi in quel periodo, venne iscritta alla gioventù hitleriana. Questa fase della sua vita durò poco.
Delusa dall’ideologia diffusa dalla propaganda nazista, si avvicinò ad un gruppo giovanile che il regime aveva vietato, chiamato DJ.1.11, Deutsche Jungenschaft, fondato da Eberhard Köbel. Era un movimento di opposizione attiva al regime.
Sempre in quel periodo si avvicinò definitivamente alla chiesa cattolica, abbracciando completamente l’idea di un cristianesimo distante dalla politica.
Nel 1937 lei è il fratello Hans, a cui era molto legata, furono arrestati e trattenuti per diversi giorni, per il loro legame con il Deutsche Jungenschaft.
Qualche tempo dopo conobbe Otto Aicher, un giovane che viveva a Söflingen, un quartiere di Ulm.
Con lui entrò in contatto per la prima volta con le idee politiche di un movimento chiamato Sorgente di Vita.
Nel 1940 Sophie iniziò a lavorare come maestra d’asilo. Successivamente fu costretta a servire come ausiliaria per alcuni mesi in un istituto statale a Bloomberg.
Nel frattempo l’amato fratello Hans era stato mandato al fronte orientale, dove aveva potuto vedere con i propri occhi quali atrocità il regime nazista stava commettendo nei confronti degli ebrei.
Tornato a Monaco di Baviera, insieme alla sorella, iniziò a frequentare alcuni studenti dell’università Ludwig Maximilian, coi quali organizzarono degli incontri per decidere quale fosse la maniera migliore per opporsi al regime.
Nacque così spontaneamente la Rosa Bianca, un gruppo di resistenza formato da studenti e basato essenzialmente su valori cristiani. Fece ricorso ad azioni non violente per diffondere le proprie idee.
Decisero di preparare dei volantini con i quali invitavano la popolazione a resistere passivamente. Purtroppo la loro attività non passò inosservata. Nello stesso periodo, il padre di Sophie fu arrestato e condannato ad un breve periodo di detenzione, proprio per aver espresso apertamente delle critiche alla politica di Adolf Hitler.
Tra il mese di giugno e luglio del 1942, la Rosa Bianca distribuì centinaia di volantini: li spedì ad indirizzi scelti per caso, gli lasciò alle fermate dei mezzi pubblici, nelle cabine telefoniche, fuori dai negozi, sulle panchine.
Il 18 febbraio 1943, mentre distribuiva alcuni manifesti all’Università di Monaco, Sophie fu scoperta dal custode, denunciata e arrestata, insieme al fratello Hans.

Con loro in cella c’erano anche un altro attivista, Christoph Probst. Venne sottoposta a quattro lunghi giorni di interrogatorio, alla fine dei quali fu processata perché riconosciuta colpevole di alto tradimento.
Il processo iniziò il 22 febbraio.
Durante le udienze, le venne chiesto di denunciare degli altri attivisti della Rosa Bianca.
Sophie non cedette. Con il fratello e l’amico Christoph si addossò tutte le colpe e non firmarono nessuna ritrattazione perché convinti di ciò che avevano fatto.
Furono tutti condannati a morte dal Tribunale del Popolo presieduto dal giudice Roland Freisler.
Condotti alla prigione di Stadelheim, dove si eseguivano le pene capitali, riuscirono ad incontrare per l’ultima volta i loro genitori.
I tre ragazzi furono ghigliottinati nel cortile della prigione da Johann Reichhart, sotto lo sguardo vigile del dottor Walter Roemer.
Quando la ragazza salì le scale del patibolo, aveva una gamba rotta, ecchimosi su tutto il corpo e segni di torture. Le sue ultime parole furono: «Come possiamo aspettarci che la giustizia prevalga quando non c’è quasi nessuno disposto a dare sé stesso individualmente per una giusta causa? È una giornata di sole così bella, e devo andare, ma che importa la mia morte, se attraverso di noi migliaia di persone sono risvegliate e suscitate all’azione?»
Sophie, Hans e Christoph furono tre delle tante vittime della Resistenza tedesca al regime nazista. Quando pensiamo alla resistenza di chi ha combattuto per la nostra libertà, dobbiamo ricordare anche loro, che con la non violenza hanno cercato di fermare quell’onda mortale di distruzione rappresentata da Hitler e dal Terzo Reich.