
“È APERTA LA CACCIA PERMANENTE AL NERO. DATA LA FEROCIA DI TALI BESTIE E POICHÉ SCORRAZZANO PER IL TERRITORIO IN BRANCHI, SI CONSIGLIA DI OPERARE BATTUTE DI CACCIA IN GRUPPI DI ALMENO TRE UOMINI.”LA VITA E LA MORTE DI JERRY MASSLO

Della vita di Jerry Masslo si possiedono solo poche informazioni, abbastanza, però, perché la sua vicenda possa essere considerata esemplare anche per comprendere il fenomeno dell’immigrazione e il difficile cammino verso l’integrazione in Italia.Nacque a Umtata, attualmente Mthatha, Sudafrica, città che tra il 1976 ed il 1994 fu capitale del Bantustan del Transkei.Nonostante le condizioni di povertà in cui visse, una capanna di legno e lamiere, riuscì a portare avanti gli studi, nelle scuole per “soli neri”. Il padre, dopo un interrogatorio da parte della polizia, non fece più ritorno a casa e diventò uno dei tanti “Missing” (“Scomparsi”); secondo altre fonti, morì durante una manifestazione insieme alla figlia di Masslo, deceduta anch’essa colpita da un proiettile vagante sparato dalla polizia, alla tenera età di sette anni.Da studente politicamente attivo, aveva simpatie per i movimenti di massa che avevano deciso di opporsi all’apartheid.A seguito del colpo di Stato del 1987, decise di andare via dal Bantustan e dopo aver messo in salvo la moglie e i due bambini nel vicino Zimbabwe, raggiunse Lusaka, nello Zambia, dove vivevano alcuni suoi familiari.Aiutati da un loro amico marinaio, insieme al fratello, si imbarcarono clandestinamente per l’Europa, in una nave cargo nigeriana, nascosti in una scialuppa di salvataggio con viveri e acqua per il viaggio. Durante il tragitto, a causa di una violenta febbre che colpì suo fratello, fu costretto a scendere dalla nave alla ricerca di farmaci, a Port Harcourt, in Nigeria, acquistati i medicinali però non riuscì più a risalire sul cargo che salpò proseguendo il suo tragitto; in seguito Masslo non ebbe mai più notizie del fratello. Per raggiungere l’Europa fu costretto a vendere gli unici oggetti di valore che aveva, un bracciale e un orologio, ricordo del padre, per poter così comprare un biglietto d’aereo per Roma-Fiumicino, dove atterrò il 21 marzo del 1988.Al suo arrivo a Roma, fece immediatamente domanda d’asilo politico alle autorità di pubblica sicurezza, le quali, istruite a norma del principio della “limitazione geografica”, furono obbligate a notificare un diniego, perché l’asilo politico poteva essere richiesto solo dai cittadini dei Paesi dell’Est Europa, per cui un cittadino di un paese dell’Africa non poteva avvalersi di questo diritto in Italia; di fronte al diniego opposto dalla Polizia, chiese e ottenne di essere messo in contatto telefonico con la sede italiana di Amnesty International, che dopo avere ascoltato la sua storia lo mise in contatto con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR).Alle sollecitazioni da parte dell’UNHCR presso il Ministero dell’Interno, fu contestato dai funzionari del Viminale che la richiesta non poteva essere accolta in quanto, oltre alla “riserva geografica”, erano interessati dagli “accadimenti in Sudafrica una pluralità di suoi connazionali senza però denotare intenti persecutori diretti e personali nei confronti del richiedente”. La decisione definitiva e non impugnabile però consentiva il rilascio di Jerry Masslo, dopo due settimane di trattenimento in una cella dell’aeroporto di Roma-Fiumicino, in quanto all’epoca non era previsto alcun meccanismo coercitivo di accompagnamento alla frontiera. Poteva così rimanere in Italia, ma senz’alcuno status giuridico definito.In seguito, accolto presso una struttura della Comunità di Sant’Egidio, la “Tenda di Abramo”, fece domanda di espatrio per il Canada, indicando nel modulo la volontà di ricongiungersi con la moglie e i figli. Presso la struttura di accoglienza, incominciò ad imparare la lingua italiana e a esercitare dei piccoli lavori occasionali. Nell’estate successiva decise di spostarsi a Villa Literno, dove gli era stato riferito da altri immigrati, che ci sarebbe stata la possibilità di lavorare per la raccolta del pomodoro.Jerry Masslo, ogni mattina all’alba, insieme a centinaia di immigrati, raggiungeva il quadrivio del paese, ribattezzato dai liternesi la “piazza degli schiavi”, dove si attendeva l’arrivo dei caporali per poi recarsi nei campi a raccogliere il pomodoro. Il lavoro, poteva durare anche quindici ore al giorno e veniva pagato a “cassette” (ottocento o mille lire a cassetta), i contenitori da 25 kg di prodotto che dovevano essere riempiti e contati a fine giornata per il calcolo della paga giornaliera. Per poter raggiungere un salario giornaliero di 40.000 Lire era necessario riempire più di quaranta casse. Nell’estate del 1988 rimase due mesi a Villa Literno, dopodiché, finita la stagione della raccolta, ritornò a Roma presso la struttura di accoglienza che l’aveva accolto, la “Tenda di Abramo”. Le condizioni lavorative nella capitale non cambiarono per lui e nel frattempo, il visto per il Canada non veniva rilasciato. L’estate successiva fece ritornò a Villa Literno per tornare a lavorare alla raccolta del pomodoro.La situazione che vi trovò era diversa rispetto all’anno precedente, nelle baracche dove dormivano gli immigrati stava maturando la consapevolezza sulle condizioni di sfruttamento alle quali gli immigrati erano costretti a sottostare. Alle riunioni partecipava attivamente anche Jerry Masslo. Gli immigrati si erano appellati al sindacato, ma le resistenze erano forti. Intanto a Villa Literno cominciarono a moltiplicarsi gli episodi d’intolleranza nei confronti degli immigrati, essi non potevano più passeggiare liberamente, per timore che venissero malmenati da alcuni ragazzi del paese, dove all’epoca, avevano organizzato dei veri e propri “squadroni” che servivano per picchiare gli immigrati o per terrorizzarli e costringerli a stare lontani dalle vie del centro della città.Per le strade i carabinieri trovarono dei volantini rivolti ai liternesi che venivano incitati alla violenza contro gli immigrati, in cui era scritto: « È aperta la caccia permanente al nero. Data la ferocia di tali bestie […] e poiché scorrazzano per il territorio in branchi, si consiglia di operare battute di caccia in gruppi di almeno tre uomini ».Quasi al termine della stagione di raccolta nei campi, la sera del 24 agosto 1989, Jerry Masslo si era ritirato nel capannone di via Gallinelle, dove dormiva con altri 28 immigrati. Alcune persone, con i volti coperti, fecero irruzione con armi e spranghe chiedendo che venissero consegnati loro tutti i soldi che avevano addosso. Al diniego degli immigrati di consegnare i soldi, uno dei ladri colpì alla testa, con il calcio della pistola, un sudanese di 29 anni, Bol Yansen; a causa di questo gesto da parte dei malviventi, la situazione cominciò a degenerare e uno dei rapinatori sparò tre colpi di pistola calibro 7,65 che colpirono Masslo e un altro suo connazionale. Nel trambusto successivo alla sparatoria, gli assalitori fuggirono via, per timore della reazione di massa da parte degli immigrati. Kirago Antony Yrugo, cittadino keniota, riuscì a sopravvivere; per Jerry Masslo non ci fu nulla da fare, morì prima dell’intervento dei medici.La Cgil per Jerry Masslo chiese i funerali di Stato, che si tennero il 28 agosto alla presenza del Ministro degli affari esteri Gianni De Michelis e di altre rappresentanze delle istituzioni. Ai funerali accorsero le televisioni di tutta Italia per riprendere l’evento.La morte di Jerry Masslo ebbe un grande risalto mediatico.Il 7 ottobre 1989 a Roma si svolse la prima grande manifestazione nazionale contro il razzismo, con alla testa uno striscione che ricordava il profugo politico sudafricano. In quella stagione si formerà la prima generazione di antirazzisti in Italia.